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L’antifascismo sotto processo e lo sdoganamento del neo-fascismo

Il 2 dicembre ci sarà la prima udienza del processo monstre nei confronti più di 50 antifascisti genovesi per la mobilitazione contro il comizio elettorale di CasaPound del 23 maggio del 2019, nella centrale piazza Marsala.

La manifestazione elettorale della formazione neo-fascista era stata concessa nonostante gli appelli trasversali al sindaco Bucci (dal PD a Genova Antifascista, passando per la Camera del Lavoro, l’ANPI e l’ARCI), a poche settimane dalla tensione registrata in occasione della commemorazione del missino Ugo Venturini, in Piazza della Vittoria.

La concessione della piazza centrale era una chiara forzatura politica voluta dall’alto, cui era seguita una pesante militarizzazione con 300 circa agenti delle forze dell’ordine impiegati, con la DIGOS che ha scortato qualche dozzina di “camerati” giunti in auto.

Una gestione folle dell’ordine pubblico, con una serie di 4 lanci di lacrimogeni nella prima mezz’ora del comizio verso gli antifascisti, una piazza che veniva trasformata in una tonnara chiusa quasi ermeticamente, cariche e pestaggi punitivi a comizio concluso.

Il procedimento giudiziario – diviso in due tronconi – ha in sé due fatti rilevanti: l’elevato numero delle persone coinvolte ed i pesanti capi di imputazione.

Tranne per i sei sotto accusa per “travisamento” – in uno dei filoni del processo, un imputato che ha ammesso gli addebiti ed è stato condannato, ed i 5 che hanno chiesto la “messa la prova” per l’altro filone – la stragrande maggioranza degli imputati che andrà a dibattimento verrà giudicata come minimo per “resistenza aggravata”, più alcuni per differenti svariati reati specifici.

Si tratta, com’è stato scritto nell’appello di Genova Antifascista che riportiamo in appendice, di:

«uno dei processi “politici” con più imputati e per reati più gravi che abbia visto la storia giudiziaria di Genova dal dopo-guerra ad oggi. Un tentativo di punire collettivamente chi ha voluto rispondere alla provocazione neo-fascista quel giorno, di annichilire il corpo di attivisti che in questi anni hanno portato avanti importanti battaglie politiche e sindacali in questa città che sono tra gli imputati, ed un monito verso le nuove generazioni che vogliono organizzarsi efficacemente contro la macelleria sociale e la deriva autoritaria, e l’assenza di prospettive in questo Paese.»

A questi due aspetti se ne aggiunge un altro altrettanto inquietante, e pressoché inedito, il calendario delle udienze (10 in meno di un mese) con cui si vorrebbe concludere tale procedura giudiziaria entro il 23 dicembre, arrivando ad un primo grado di giudizio quindi entro Natale.

Un’accelerazione quanto meno sospetta per un processo con così tanti imputati e per la gravità delle accuse dal punto di vista dell’elevato numero di anni che potrebbero essere comminati in caso di condanna per i singoli imputati, tutti e tutte attivisti ed attiviste della Superba.

Va ricordato che per i fatti relativi a quella mobilitazione è stato celebrato con rito abbreviato e a porte chiuse un processo a carico di quattro poliziotti del reparto mobile di Bolzaneto, condannati in febbraio in primo grado a 40 giorni di reclusione per lesioni colpose – più il pagamento delle spese legali ed i danni morali -, contro cui la Procura di Genova ha presentato ricorso ad aprile.

Il PM aveva chiesto infatti un anno e quattro mesi per ciascuno. Per il Procuratore Capo che ha firmato il ricorso in appello i poliziotti avrebbero agito con una violenza tale da configurare un reato di tipo doloso.

Stefano Origone era stato infatti “scambiato” per un manifestante dagli agenti, che lo avevano perciò pestato in quattro prima che un graduato – riconoscendo il cronista della redazione di Genova di La Repubblica – gli si gettasse sopra per “schermarlo” dai colpi, nonostante avesse gridato in precedenza che si trattasse di un giornalista.

Per dovere di cronaca, le richieste dell’Ordine dei Giornalisti e Ossigeno per l’Informazione di costituirsi come parte civile al Processo sono state respinte.

Una sentenza particolarmente lieve per gli agenti, considerato che Origone ha avuto  due dita fratturate, una costola rotta, un trauma cranico e ferite in tutto il corpo, causa il pestaggio mentre era a terra.

Le motivazioni di tale sentenza sfiorano il giustificazionismo: “hanno fatto un uso eccessivo della forza e dei mezzi di coazione a loro disposizione, trascinati dalla foga che ha loro impedito una lucida valutazione della situazione”.

Silvia Campanini, giudice per l’udienza preliminare afferma nelle motivazioni che “le cariche di alleggerimento furono legittime” e che Origone si trovava “praticamente in mezzo ai manifestanti, ed è stato confuso con questi”.

Parole come pietre, che danno la cifra di come vengono giudicati i comportamenti delle forze dell’ordine e, al contrario, svalutato il diritto a manifestare. Affermazioni ancora più paradossali, se si pensa che il comizio era già finito e dunque che lo sgombero della piazza aveva solo un intento punitivo.

Occorre fare un piccolo passo indietro, e ricordare alcune aggressioni (e relative vicende giudiziarie) che hanno coinvolto i neofascisti di CasaPound, cui era stata così “fermamente” concessa la piazza.

Due vicende giudiziarie che vedevano coinvolti esponenti neofascisti colpevoli di un’aggressione e di un accoltellamento hanno portato a condanne piuttosto lievi, il cui corso delle indagini ha lasciato piuttosto a desiderare.

Otto mesi di reclusione – con la condizionale – per i tre militanti di CasaPound (Christian Corda, Federico Gatti e Manuel Di Paolo), con 2.200 euro di risarcimento, condannati in rito abbreviato nel luglio 2020 per avere accoltellato un attivista antifascista durante l’attacchinaggio dei manifesti non lontano dalla sede di CP, la sera del 12 gennaio del 2018.

Inizialmente il reato ipotizzato – poi derubricato – era di tentato omicidio in concorso, e le perquisizioni si erano svolte alcune settimane dopo i fatti, nonostante fosse chiaro dalla sera stessa chi fossero gli aggressori.

Corda aveva stranamente dichiarato: “Continuo a ribadire che noi quella sera ci siamo difesi, non è stato un tentato omicidio”.

Corda, insieme a Monica Deiana, era  già stato condannato a 10 mesi con la condizionale per l’aggressione ad un giovane svizzero in un pub a Bocadasse, il 6 maggio dello stesso anno, colpito con una bottigliata in faccia dopo avergli mostrato la foto di Hitler dalla Deina, mentre l’ex responsabile di Casa Pound lo tratteneva.

L’anno precedente una militante del PCL venne aggredita e buttata a terra da due neofascisti durante la festa del Partito nel Levante Genovese. Per il fatto un membro di Cas Pound residente a Vigevano era stato condannato – nell’autunno del 2019 – a 2 anni e quattro mesi per furto, minacce e lesioni.

Non si contano poi le inchieste sul fenomeno neofascista a Genova ed in regione. connesse a reti ben più ampie, indagini che trovano l’attenzione di un giorno, ma che poi vengono rimosse dal cono di luce dei media e dall’omertà della giunta: come l’inchiesta “Ombre Nere” sulla costituzione di un Partito Nazista, quelle su “Ultima Legione” del maggio scorso (che ha coinvolto anche Genova), o quella su Andrea Cavalleri, “suprematista” di Savona e gestore della chat Telegram “Sole Nero”, che avrebbe voluto progettare attentati ben più in grande di stile di quelli commessi a Macerata o a Firenze.

In conclusione.

La giunta Bucci in questi anni ha certamente contribuito a sdoganare il neofascismo e fatto emergere in superficie i legami tra il sindaco che voleva far divenire Genova “il più bel sobborgo di Milano”, le forze che lo sostengono ed i movimenti neofascisti – un modello, mutatis mutandis, non molto diverso da quello messo in luce dall’inchiesta di Fanpage – ma una parte cospicua della “sinistra” non si è certo preoccupata di  contrastare il fenomeno, scoperto solo quando veniva tragicamente a galla (per un giorno…).

Anche per questo è necessario dare il proprio supporto alle mobilitazioni degli antifascisti ora sotto processo a Genova. Qui di seguito l’appello di Genova Antifascista, che invitiamo a firmare, con le adesioni aggiornate.

*****

L’antifascismo non si processa!

Come Genova Antifascista scriviamo quest’appello in forma di lettera aperta che invitiamo a sottoscrivere alle realtà politiche, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni ed ai singoli riguardo al processo in cui sono imputati una cinquantina di compagni e compagne per la manifestazione antifascista del 23 maggio 2019.

Per il 23 maggio del 2019 viene concessa alla formazione neo-fascista Casa Pound l’autorizzazione per la tenuta del comizio finale della sua campagna elettorale per le “europee” in una piazza centrale del capoluogo ligure.

La piazza concessa, antistante a Piazza Corvetto, viene data nonostante le varie forme di pressione e gli appelli alle autorità locali nel non far tenere tale iniziativa. Appelli e iniziative che sono cadute nel vuoto.

È una settimana particolare per Genova.

Lunedì mattina, grazie ad una mobilitazione che ha portato allo sciopero dei lavoratori addetti al carico-scarico del terminal e ad un presidio solidale ai varchi, era stato impedito l’imbarco di materiale militare che sarebbe stato impiegato nella guerra in Yemen sulla nave saudita Bahri Yanbu attraccata alle banchine genovesi.

Sarà la prima di numerose iniziative di azione e denuncia nella città contro il traffico di armi nello scalo ligure.

Mercoledì, vi era stata una mobilitazione degli insegnanti a Genova – come nel resto d’Italia – contro i provvedimenti per la docente in Sicilia che aveva osato criticare l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, e lo stesso giovedì in cui si sarebbe dovuta tenere la kermesse elettorale neo-fascista vi era stato uno sciopero di 24 ore in porto proclamato da differenti sigle sindacali.

La tenuta del comizio di Casa Pound è giustamente valutata come una provocazione quindi da una parte non trascurabile della città, ancor più per la sordità delle istituzioni cittadine e l’ingente militarizzazione che sin dalla mattina costruisce una specie di “cordone sanitario” attorno alla piazza concessa ai neo-fascisti.

Saranno circa 300 gli agenti impiegati per difendere alcune dozzine di neo-fascisti che si erano resi responsabili in precedenza di diverse aggressioni, tra cui un accoltellamento.

Bisogna ricordare che in quelle settimane, in differenti forme, in diverse città la presenza neo-fascista e leghista era stata duramente contestata con determinazione a Casalbruciato a Roma, come a Firenze e a Bologna.

Un segno tangibile dell’opposizione ad un governo guidato da Lega e Movimento 5 Stelle e alle loro politiche.

Per le 16:30 del 23 maggio veniva lanciato un concentramento in piazza Corvetto che in breve tempo si riempie di persone di ogni età, tra cui molti giovanissimi, mentre un nutrito numero di agenti protegge la piazza concessa ai fascisti.

Ai tentativi di forzare il cordone sanitario predisposto a difesa di Casa Pound cinturato dietro alte gabbie di metallo in direzione della piazza, viene risposto con un continuo lancio di lacrimogeni (il primo, colpisce la vetrina di una celebre pasticceria frantumandola) e la pressoché chiusura ermetica delle vie di fuga dalla piazza che però non smobilita né arretra. Il comizio che conta un numero irrilevante di persone viene svolto in fretta e furia disturbato dal fumo dei lacrimogeni che la direzione del vento sposterà verso i “camerati”, i cori contro i neo-fascisti e le canzoni partigiane.

Finito il comizio, le forze dell’ordine si impegneranno a sgomberare la piazza con cariche e manganellate ed il lancio di lacrimogeni ad altezza uomo, dando luogo a ripetuti pestaggi. Una persona, che si scoprirà essere un giornalista, verrà letteralmente massacrato di botte, “salvato” per così dire da un graduato che riconoscendolo si getta su di lui per schermarlo dagli agenti che lo stavano picchiando.

In questo contesto due persone vengono fermate. Saputa la notizia dalla piazza, parte un nutrito corteo che si dirige fuori la questura per chiedere la liberazione immediata dei manifestanti.

Per i “fatti di piazza Corvetto” sono stati denunciati ed ora sono sotto processo (diviso in due tronconi) più di una cinquantina di compagni e compagne, una parte consistente dei quali con accuse per reati che prevedono per ciascuno decine di anni di galera, qualora fossero condannati con il massimo della pena.

Si tratta di uno dei processi “politici” con più imputati e per reati più gravi che abbia visto la storia giudiziaria di Genova dal dopo-guerra ad oggi. Un tentativo di punire collettivamente chi ha voluto rispondere alla provocazione neo-fascista quel giorno, di annichilire il corpo di attivisti che in questi anni hanno portato avanti importanti battaglie politiche e sindacali in questa città che sono tra gli imputati, ed un monito verso le nuove generazioni che vogliono organizzarsi efficacemente contro la macelleria sociale e la deriva autoritaria, e l’assenza di prospettive in questo Paese.

Ma questo processo non è che un segmento di una repressione più ampia che si è abbattuta su attivisti e movimenti anche a Genova con inchieste, altri processi e provvedimenti di Sorveglianza Speciale.

È necessario fare sentire la solidarietà ai compagni ed alle compagne sotto processo e chiedere a gran voce il proscioglimento delle accuse per cui sono imputati, così come promuovere un’ amnistia politica e sociale generalizzata per chi in questi anni non ha piegato, e non intende piegare, la testa nonostante la repressione subita.

***

Per chi volesse sottoscrivere l’appello scrivere a: genovaantifascista@gmail.com

Primi Firmatari in ordine alfabetico:

Alessandro Parodi (delegato Fiom Rsu AlgoWatt, Direttivo Camera del Lavoro CGIL Genova)

Alessio Lega

Andora Antifascista

Antonella Avolio ed Ernesto Rascato della Libreria Quarto Stato

Ascanio Celestini

Assalti Frontali

Associazione Senza Paura

Aurelio Macciò (Direttivo Camera del Lavoro CGIL Genova)

Banda Popolare dell’Emilia Rossa

BandaBardò

Bruno Morchio

Cambiare Rotta – Organizzazione Comunista Giovanile

Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali – Genova

Circolo Arci 30 Giugno

Checchino Antonini (giornalista, direttore del periodico “L’Anticapitalista”)

Collettivo Edera

Collettivo Genova City Strike

Collettivo Studentesco Vedo Terra

Coordinamento Antifascista Savona

Chico Mendes Sampierdarena

CSOA Terra Di Nessuno

Donatella Rizzo (Direttivo CGIL Liguria)

Eliana Como (Direttivo nazionale CGIL, portavoce dell’Area “Riconquistiamo Tutto” – Opposizione CGIL)

Emanuela Abbatecola (prof.ressa Univ. di Genova)

Emergency Genova

Erri De Luca

Federico Rahola (prof. Univ. Genova)

Franco Turigliatto (Segretaria Nazionale Sinistra Anticapitalista)

Frazione Internazionalista

Fronte Comunista- Federazione Liguria

Fronte Comunista-Ufficio Politico del Comitato Centrale

Gabriella Petti (prof.ssa Univ. Genova)

Gang

Giorgio Cremaschi (ex portavoce nazionale di Potere al Popolo)

Giovanni Russo Spena (ex parlamentare Prc e costituzionalista)

Giuliano Granato (Portavoce nazionale Potere al Popolo)

Giuseppe Vassallo (direttivo CGIL Liguria)

I Resistenti di Piazza Pittaluga

Lalli

La redazione di Contropiano

La redazione di Lotta Continua

Leonardo Barbigli (Università di Firenze)

Luca Bassanese

Luca Queirolo Palmas (prof. Univ. Genova)

Lsoa Buridda

Marco Bersani-Attac Italia

Marco Rovelli

Mars On Pluto

Marta Collot (Portavoce nazionale Potere al Popolo)

Mauràs

Maurizio Acerbo (Segretario Nazionale Rifondazione Comunista)

Modena City Ramblers

Non una di Meno – Genova

Opposizione Studentesca d’Alternativa

Osservatorio Repressione

Paolo Bonfanti

Paolo Ferrero (Vice Presidente Sinistra Europea)

Partito Comunista dei Lavoratori Genova

PCI Federazione di Genova

Partito della Rifondazione Comunista Genova

Potere al Popolo

Pierpaolo Leonardi (Esecutivo Nazionale USB)

La Resistente Genova

Rete Antifascista di Brescia

Rete Dei Comunisti

Rossana Aluigi (Direttivo Camera del Lavoro CGIL Genova)

SAP 470

Sinistra Anticapitalista

Sergio Morra (prof. Univ. di Genova)

Stefania Consigliere (ricercatrice all’Univ. di Genova)

Unione Sindacale di Base (USB)

Zero Calcare

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