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Trieste e poi

I portuali di Trieste si sono trovati nel mezzo di una lunga lista di problemi – parte internazionali, parte tutti “italici” – che hanno avuto un grande peso sul risultato negativo della loro mobilitazione.

Ma non tutti quelli che si sono espressi su questo sembrano esserne minimamente consapevoli, o almeno informati. E se questo appare tutto sommato “normale” nelle frange qualunquiste o reazionarie che si usano definire “no vax”, è invece sorprendente tra chi – su sponda decisamente opposta – si dichiara orgogliosamente antagonista, rivoluzionario, comunista e via aggettivando.

Come sempre, in qualsiasi conflitto, lo scarto tra conoscenza del contesto e spinte soggettive è a fondamento di cantonate più o meno memorabili.

Proviamo a vedere perciò, a grandi linee, almeno i problemi principali.

 

Interessi strategici sul porto di Trieste

E’ nota a tutti i protagonisti l’importanza strategica del porto in questione nelle catene logistiche italiane e mittel-europee, punto di confluenza per molti paesi dell’Est, la Germania e l’Austria.

Una precisa analisi di Gudo Salerno Aletta, sull’agenzia Teleborsa, ne mette in risalto sia gli aspetti storici che quelli futuribili, mettendo in luce gli interessi europei, cinesi, statunitensi e russi intorno ai moli triestini (lo potete trovare in fondo a questo articolo).

Va da sé che quando ci si trova in mezzo a un grumo di interessi così grandi e conflittuali tra loro – che è davvero riduttivo identificare solo con la parola “capitale multinazionale”, ignorandone le dinamiche e le faglie ogni iniziativa andrebbe studiata con grande attenzione, preparata attentamente, coordinata in base a una ricerca di alleanze sociali in grado di costruire un fronte sufficientemente ampio e robusto da reggere il confronto.

Questo vale sia per le soggettività coinvolte, che devono avere interessi e motivazioni “confluenti”, sia per le “parole d’ordine” messe a simboleggiare la protesta.

 

 

Parola d’ordine centrale

No green pass”, da questa angolatura, è un grido che non poteva e non può raccogliere che appoggi socialmente minoritari (l’85% della popolazione – dunque anche dei lavoratori – è vaccinata), arretrati come cultura e mentalità, senza alcun orizzonte programmatico (né “politico”, né – tanto meno – “di classe”).

L’incidenza negativa del “certificato verde” sui rapporti di lavoro, l’accresciuto potere conferito in tal modo alle aziende, è indubbio. E questo ha spinto molte strutture operaie e sindacali (soprattutto “di bae”) a solidarizzare inizialmente con i portuali di Trieste.

Ma fare di questa questione l’epicentro, o addirittura, l’unico tema della mobilitazione – mentre accade di tutto su pensioni, sanità, mercato del lavoro, licenziamenti, fisco, ecc – non poteva e non può avere alcun effetto aggregativo di un fronte sociale ampio.

Non era difficile neanche all’inizio vedere che il green pass è un diversivo temporaneo, uno straccio agitato davanti agli occhi di un malcontento popolare crescente e ultra-motivato (si è visto anche nella marea di astensionismo alle elezioni comunali). Lo capiscono quasi tutti istintivamente, senza necessità di essere dei “fini analisti”.

Ma soprattutto non era difficile capire che questa questione, per quanto antipatica efastidiosa”, non costituiva una molla mobilitante, se non per poca gente, non sempre raccomandabile.

 

Direzione politica

E’ evidente, a chi vive a Trieste ma anche a chi guarda da lontano, che l’emergere di una “parola d’ordine” così vuota di prospettive politiche e sociali corrisponde a una situazione particolare.

Due dati oggettivi sono da tener presente: a) solo a Trieste, praticamente, il “partito” 3V-Verità, Libertà, Azione, apertamente “no vax”, ha ottenuto un risultato elettorale significativo; il 4,6%; b) solo tra i portuali di Trieste i lavoratori non vaccinati raggiungono il 40%.

Questo naturalmente non significa che “i portuali triestini sono tutti no vax”, come hanno strumentalmente semplificato tutti i media di regime; ma certamente c’è un “clima”, o un “senso comune triestino”, che ha un peso anche tra i portuali. Anche chi non è d’accordo con il rifiuto del vaccino deve comunque tenerne conto…

Come ci è già capitato di scrivere, e dovrebbe risultare anche “logico” per chi dice di essere marxista, il fatto di essere lavoratori garantisce notevoli possibilità di comprendere la conrapposizione tra interessi propri e interessi padronali, ma al di fuori dei rapporti lavorativi si è esseri umani come tutti gli altri, esposti a idee e mode che magari fanno a cazzotti con la “condizione di classe” che si vive in fabbrica o sul molo.

Sui portuali di Trieste – 950 in tutto – si è riversata una massa di interessi e persone che ben poco hanno a che fare con gli interessi dei protuali. Ma il fatto che facessero dei portuali – e del “no green pass” – la loro bandiera ha finito per imporre una “direzione politica” alla mobilitazione. Una direzione suicida, per esser chiari.

Pretendere “il ritiro del decreto” – di qualsiasi decreto governativo – è un obbiettivo politico, perché non può essere deciso dall’Autorità portuale (la “controparte aziendale”) e mette in discussione l’autorità del governo. Se lo si vuole davvero ottenere bisogna ovviamente che esista una forza sociale all’altezza della sfida, oppure cercare di costruirla.

Non basta insomma che si abbia la possibilità di “bloccare un porto strategico”. Perché proprio il fatto che lo è davvero mette in moto forze potenti contrarie. E tutto alla fine si risolve con i famosi rapporti di forza.

E’ il problema che incontra ogni situazione di classe, da oltre 30 anni a questa parte. Ogni volta che si arriva ad identificare un problema, un obbiettivo, un bisogno, che può essere risolto solo con un cambiamento delle leggi esistenti, ci si rende conto le lotte che abbiamo costruito sono ancora troppo poco per vincere. Manca una “rappresentanza politica” autonoma e indipendente che sappia tradurre quele spinte in progetto politico, ma manca persino una qualsiasi “sponda democratica” in grado di limitare i danni.

 

Le conseguenze

La represssione poliziesca di questa mobilitazione, però, non è un fatto che riguarda solo i protuali triestini e i loro sostenitori meno credibili. Riguarda tutte le lotte presenti e future. Idranti e cariche contro manifestanti pacifici, seduti in terra, contro lavoratori abbracciati tra loro, hanno rotto un tabù repressivo che separava i regimi “democratici” dal fascismo puro e semplice.

Il doppio standard applicato dal governo nell’uso delle forze di polizia – rivendicato dal ministro Lamorgese e di fatto anche da Draghi, oltre che da quei reazionari del Pd – è l’annuncio di una linea politica che verrà applicata in ogni piazza che non sia riempita di “complici”.

I fascisti vengono accompagnati e protetti nelle loro scorrerie. Tutti gli altri – che siano soggetti di classe con obbiettivi incompatibili o squinternati sostenitori di fantasie sanitarie – vedranno levarsi il manganello.

Mentre il green pass sarà un lontano ricordo durato tre mesi…

*****

Trieste: commercio libero e proteste bloccate

Le mani pesanti di Berlino e di Roma

Guido Salerno Aletta – TeleBorsa

A differenza della Repubblica di Venezia che dominò per secoli il Mediterraneo nei suoi rapporti con l’Oriente, la centralità geopolitica di Trieste non è mai venuta meno: deriva dalle sue relazioni con la Mittle Europa.

Trieste è sempre stata il porto dell’Impero Austroungarico, quale che fosse l’origine delle merci che vi arrivassero: e non è un caso che una delle sue ancor oggi più gloriose istituzioni, le Assicurazioni Generali, furono fondate in occasione della apertura del Canale di Suez. E non è un caso, ancora, che la questione del Territorio Libero di Trieste fu una delle pagine più complesse della definizione del Trattato di Parigi, alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Londra voleva assicurarsi il controllo di Trieste: d’altra parte, l’Impero Britannico era stato sin da metà Ottocento l’arcigno controllore del Mediterraneo, presidiando la rotta che la collegava con l’India, la sua gemma più preziosa, passando da Aden, per Suez e poi da Gibilterra.

Controllare Trieste significa ancor oggi avere in mano le chiavi dell’accesso delle merci e dei rifornimenti di petrolio di una parte rilevante dell’Europa continentale. L’oleodotto che parte dal porto di Trieste rifornisce del 100% il fabbisogno petrolifero della Baviera e del 40% quello dell’intera Germania.

Va poi tenuto conto del ridotto afflusso di gas russo attraverso la pipeline che attraversa la Ucraina, del fatto che fino all’Ungheria i rifornimenti arrivano ora attraverso il Turkish Stream passando attraverso la Bulgaria e la Serbia, e che il North Stream 2 non è ancora in esercizio.

In un momento in cui i rifornimenti energetici sono a rischio e la continuità della catena logistica è interrotta in più punti, la centralità di Trieste emerge con ancora maggiore nettezza: la crisi dei trasporti nel Mediterraneo che è stata innescata appena pochi mesi fa dall’intraversamento nel Canale di Suez della portacontainer Evergreen aveva già fatto scattare l’allarme rosso.

Lo scenario geopolitico in cui si viene a trovare Trieste è assai complesso:

  • i cinesi hanno avuto l’ambizione di estendere la Via della Seta fino all’Alto Adriatico dopo aver messo sotto controllo il Pireo, mettendo così a profitto il raddoppio del Canale di Suez che hanno finanziato al fine di consentire il passaggio di navi mercantili di più elevato tonnellaggio, riducendo i tempi ed i costi del trasporto dalla Cina;
  • i tedeschi hanno cercato a loro volta di presidiare una parte del porto, quella in fase di avanzato sviluppo infrastrutturale, al fine di evitare una pressione concorrenziale distruttiva nei confronti dei suoi porti sul Mare del Nord, come Amburgo;
  • gli Anglo-Americani devono valutare a loro volta l’impatto che queste dinamiche hanno sugli equilibri geopolitici più generali, e sulla pressione che stanno esercitando nei confronti della Cina mediante la nuova Alleanza Aukus (Australia, UK, USA) e l‘accordo a Quattro (Usa, Australia, India e Giappone). Le tensioni nel Mar della Cina meridionale, attorno a Taiwan sono un segnale;
  • a Bruxelles, dopo le fanfare per il NGUE, c’è fermento per una possibile crisi dei prezzi energetici e per il conflitto ulteriore, sul piano giuridico, insorto di recente tra la Ungheria e la Commissione europea, circa la prevalenza delle Costituzioni nazionali sul Trattato istitutivo dell’Unione. Non solo riecheggiano i contrasti già insorti con la Polonia, ma diviene ancora più profonda la divaricazione in materia di controllo dell’immigrazione, soprattutto per la preoccupazione di nuovi flussi incontrollabili provenienti dall’Afghanistan.


Soprattutto oggi,
Trieste è l’anello di snodo di tante catene: c’è chi tira da una parte e chi dall’altra.

La confusione apparente è frutto del sovrapporsi di fenomeni molteplici, che investono equilibri assai più delicati di quelli che si manifestano all’apparenza.

La questione dell’obbligo del green pass per lavorare, sollevata dai portuali di Trieste, si correla alla libera circolazione garantita invece in ogni caso agli autisti dei camion provenienti dall’Europa dell’est e diretti oltrefrontiera: senza vaccino e senza tampone, vanno e vengono senza controlli.

Se è dunque impensabile bloccare le merci che transitano per le frontiere delle Alpi, il porto di Trieste deve essere sempre accessibile alle merci ed alle petroliere per rifornire la Germania e la Baviera.

Nello stesso tempo, la protesta dei portuali triestini ed ogni altra manifestazione anti-Green pass devono essere stigmatizzate, isolate e represse in modo esemplare. La mano pesante di Roma sulla protesta triestina serve a che vada in frantumi l’intero assetto dei controlli imposti in Italia.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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6 Commenti


  • Franco Sicilia

    Tutte le vere forze di sinistra, partitiche, movimentiste e sindacali (di base) devono appoggiare e guidare questo dissenso nato nell’ambito della crisi sanitaria. Perché motto è solo uno: basta aggraviare la già difficile situazione dei lavoratori con l’introduzione di un assurdo elemento discriminatorio che nega la possibilità di lavorare ad una parte di essi. Punto. Il vaccino deve essere un diritto. Mai un obbligo. Il perchè di una scelta, quale che sia, è secondario. Sarebbe come dire che gli atei debbano spiegare a cattolici cristiani, ortodossi, musulmani, buddisti e induisti il perchè delle loro scelte filosofiche e viceversa. Non è necessario. E’ solo indispensabile che i reciproci fondamendalismi non vadano a nuocere chicchessia con comportamenti vessatori e discriminatori. Chi non si vaccina non porta danno a nessuno, o perlomeno non nell’attuale situazione di immunità di gregge pressocchè raggiunta. Non serve lanciarsi in speculazioni sull’importanza del pensiero scientifico. Lo diamo per scontato. Altro è considerare sempre che lo scopo fondamentale delle scienze, quindi della medicina, debba sempre essere quello di migliorare la condizione umana. Sappiamo bene che questo, storicamente, è tutt’altro che garantito. Tutti i compagni dovrebbero sempre sostenere e difendere i lavoratori oggetto di discriminazioni e tenere sempre a mente la differenza tra diritto e coercizione.


    • Redazione Roma

      Abbiamo contestato insieme ai sindacati di base l’introduzione del green pass nei luoghi di lavoro come ulteriore strumento di comando e discriminazione contro i lavoratori, ma sosteniamo il ricorso al vaccino e alla vaccinazione di fronte ad un virus pandemico come quello con cui abbiamo fatto e stiamo facendo i conti. La pubblicistica no vax non ci ha mai persuaso. Paragonare la “scelta vaccinale” – basata su un secolo e mezzo di lavoro scientifico (con successi e insuccessi) – a una “scelta religiosa” qualifica il vero pensiero che c’è dietro il tuo argomentare…


  • Franco Sicilia

    È corretto sospendere o allontanare dal luogo di lavoro chi è contro il green pass ? Barrare la casella corrispondente. Io ho scelto NO e ne ribadisco le motivazioni.
    Prima si difendono i lavoratori discriminati poi gli si può chiedere, e casomai discutere, sul perché di certe scelte sottraendo, tra l’altro, la protesta alle destre. Semplicemente proclamarsi contro l’obbligo vaccinale e di green pass è solo un enunciato. Era questo il senso della mia metafora sulle religioni. Non voleva certo essere il tentativo di legittimare il dissenso paragonandolo al pensiero scientifico in generale o alla ricerca storica sui vaccini in particolare. La strumentale retorica contro i cosiddetti no vax, appannaggio di una certa tipologia di media … non pensavo pure di Contropiano…, è penosa come le stesse teorie dei “veri” no vax. Il fare un unico pacchetto di tutta la protesta contiene elementi quasi reazionari.
    Non si tratta quindi di avallare la ridicola storiella del microchip inoculato per il controllo del pensiero o negare il Covid e l’importanza di mascherine e degli altri DPI, ci mancherebbe altro. Ma, pare che vi sfugga, il considerare anche le altre posizioni in seno ai tantissimi dubbiosi, più che contrari a prescindere. Tra queste trovo legittimo il mettere in discussione la narrazione complessiva della crisi sanitaria fin qua vissuta.
    A fronte di mancanza criminale di un piano pandemico aggiornato, di una privatizzazione selvaggia della sanità, di RSA con condizioni di lavoro e risorse ridotte al lumicino (vedere il recente Report di Amnesty International ), di una assurda strategia sanitaria che ha voluto incredibilmente ignorare la possibilità di cure tempestive da parte dei medici di base (ricordate tachipirina e vigile attesa ?) vengono proposti dei vaccini per forza di cose sperimentali, fase necessaria certo, che possono provocare, tra gli effetti collaterali accettabili, anche una “irrisoria” percentuale di gravi conseguenze fino alla morte. È scritto nel recente nono rapporto dell’AlFA. Non entro nella girandola dei numeri. Basta leggerlo. Sono percentuali veramente bassissime ma rientrano nell’ordine delle centinaia di casi. Effetti gravi fino eventualmente alla morte. Su 84 milioni di inoculi. Ripeto pochissimi, e senza ironizzare, per ribadire che ciononostante l’iter scientifico che sottende la pratica vaccinale non è messo in discussione. Ma l’applicazione di questo iter non può essere assolutamente obbligatorio. Non si può obbligare, cioè, poche centinaia di martiri a sacrificarsi per il bene collettivo. Questo è possibile su base volontaria. Ecco perché vengono tirati in ballo leggi e trattati internazionali e finanche la Costruzione. Credo sia semplicemente un Assunto scolpito nella pietra. Penso che contemporaneamente alla ricerca di vaccini ragionevolmente più sicuri si debbano seguire altre strade.
    È quanto.
    Se per voi è più sbrigativo bollare tutto questo come un semplicistico pensiero no vax…fate pure.


    • Redazione Roma

      Come al solito parti bene (sul green pass come discriminazione sui luoghi di lavoro) ma poi passi subito alle solite conclusioni contro il “vaccino sperimentale”, e chiedi se questo è “liquidare tutto come semplicistico pensiero novax”?


  • salvatore

    una redazione di un giornale comunista, di fatto referente di PaP che sistematicamente si perde in polemiche sanitarie è veramente una cosa stravagante, la pervicacia con cui vi schierate con i vaccinisti invece, se pur soggettiva, è fuorviante delle prerogative di un foglio comunista, oltre che miopemente riduttiva in senso generale.
    L’articolo, haimè, è la solita tiritera vagamente centrata sul piano teorico che si scontra con l’incapacità ormai trentennale di coniugare le parole all’azione politica sul campo.


    • Redazione Roma

      Restiamo in trepida attesa della “linea giusta” e soprattutto dei risultati che ottiene sul campo sui quali confrontarsi, è questo l’unico modo per sostanziare le cose, altrimenti sono chiacchiere e lamentazioni di cui francamente si può cominciare a fare a meno.

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