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Anche la scuola “deve convivere” con il Covid

A poche ore dal rientro a scuola dopo le vacanze di fine anno, fissato tra il 7 e il 10 gennaio, ancora non si sa esattamente come riprenderanno le lezioni e quali misure saranno prese, nel solito grottesco balletto stato/regioni, alla luce dell’enorme aumento dei contagi da virus Covid 19.

Ancora una volta, invece, nel mondo della scuola, si confrontano la linea più cauta e prudente, che vorrebbe l’aumento delle restrizioni, arrivando in qualche caso sino alla ripresa della Dad e la posizione opposta che invece insiste per la ripresa in presenza a ogni costo, anche se ciò comporta dei rischi evidenti.

Si tratta di un dibattito ormai stucchevole e di poco senso se non si allarga la critica a tutto quanto è stato fatto dai governi Conte e Draghi negli ultimi due anni.

Infatti, è evidente che se ancora oggi ci si trova a discutere su come affrontare la pandemia nelle scuole è per la totale inadeguatezza dei provvedimenti presi nell’arco di due anni, dal febbraio 2020 e ancor più dopo la prima fase pandemica, cioè da giugno 2020 a oggi.

Di tutto quanto era stato richiesto da studenti, lavoratori e genitori e in parte almeno promesso dal governo, nulla è stato fatto.

Riduzione del numero degli alunni per classe, adeguamento delle strutture, ripristino del servizio di medicina scolastica: tutti provvedimenti di cui si è molto discusso ma che sono stati sepolti sotto gli ormai polverosi banchi a rotelle della ministra Azzolina che giacciono negli scantinati delle scuole.

Quanto all’assunzione di nuovi insegnanti e collaboratori, requisito indispensabile per costituire classi meno numerose (vantaggio che sarebbe stato anche didattico e non solo sanitario) non se ne parla, anzi, a tutt’oggi molte scuole ancora esitano a rinnovare sino al termine massimo del 31 marzo le “supplenze Covid” a causa di una nota ministeriale ambigua e cosparsa di troppi “potrà” che da molti dirigenti sono interpretati come facoltà di confermare o no, dato che oltretutto per tali riassunzioni è previsto un limite di bilancio (400 milioni) che non si sa ancora come sarà ripartito tra le regioni.

In tutto ciò hanno avuto un ruolo anche i sindacati CGIL-CISL-UIL-SNALS-GILDA che hanno continuato a compiacersi alle evanescenti promesse del governo e a firmare “patti” che erano solo carta straccia con il risultato di trovarsi oggi a negoziare sul numero di “positivi” che si possono accettare in classe.

Tuttavia, esiste una causa ancora più importante del disagio vissuto nella scuola, senza la cui adeguata considerazione si perde l’orientamento. Infatti, quanto si vive oggi nella scuola è l’esatto risultato della strategia governativa di “convivere con il virus” anziché cercare di arrivare a contagi zero.

La politica di convivenza con il virus, motivata dall’esigenza prima di sostenere e poi di rilanciare il PIL, è quella che ha provocato a oggi milioni di contagi e buona parte delle 140.000 morti registrate sinora in Italia.

La scuola fa parte della società e tutto quanto vi accade è collegato agli altri settori della vita della comunità e alle scelte politiche del governo. Non è quindi pensabile che la scuola possa sottrarsi alla logica di sottomissione alla “produzione” e di “convivenza” con il virus.

Tutte le ultime decisioni del governo Draghi sono orientate a diminuire i provvedimenti preventivi e le soglie di protezione dei cittadini: abolizione della quarantena (del resto erano già stati tagliati i fondi all’INPS per questa voce), rinuncia al tracciamento, poca prevenzione sui posti di lavoro.

Tutto è affidato miracolisticamente ai vaccini, peraltro non obbligatori, che non possono, da soli, risolvere la pandemia. L’indicazione è quindi chiara: si deve convivere con il virus e se vi contagiate è un problema vostro, sperate, se ne avete bisogno, di trovare un posto negli ospedali, che sono già assai affollati.

Peraltro è singolare la campagna di alcuni media vicini al governo per convincere i cittadini che la variante Omicron provoca “poco più che un forte raffreddore“, in presenza di un numero di morti che ormai supera i 250 al giorno e di ricoveri che aumentano drammaticamente.

Non ci si deve quindi stupire se, nella scuola, si sentono fare ragionamenti allucinanti su quanti debbano essere i casi “positivi” – se tre, quattro o cinque – perché una classe sia messa in quarantena, dimenticando ogni criterio di sicurezza se non le mascherine FF2P (assai difficili da trovare), la cui efficacia in ambienti affollati e in presenza di più persone colpite dal virus non è scontata.

Per fortuna, si è almeno scartata l’ipotesi della didattica in presenza per i vaccinati e telematica per i non vaccinati, impossibile da realizzare e che sarebbe servita solo a scatenare ulteriori polemiche no-vax, data la codardia del governo che non vuole decidere per la vaccinazione obbligatoria.

Ciò anche nel momento in cui dagli ospedali giunge notizia che circa un quarto degli attuali ricoveri riguarda giovani sotto i 19 anni, che erano scampati alla falcidia della prima ondata.

Come abbiamo scritto, il vaccino non può da solo risolvere la pandemia, ma è un mezzo importante nella lotta al Covid ed è difficile comprendere per quale ragione il governo non inserisca anche questa vaccinazione tra quelle (ce ne sono già una decina) obbligatorie per la frequenza scolastica.

E’ chiaro che tornare alla Dad significherebbe rivivere le difficoltà pedagogiche e relazionali già molte volte denunciate e sarebbe anche uno sbugiardamento delle ipocrite e demagogiche dichiarazioni del ministro Bianchi sulle “scuole sicure”.

Ma forse c’è anche un altro motivo, per il governo, per voler evitare la Dad, ed è che in un momento in cui i genitori devono andare a “produrre” per sostenere e rilanciare il PIL gli alunni delle scuole primarie e, in parte, delle medie, non si possono lasciare a casa.

È però altrettanto chiaro che in una classe con tre o più positivi al Covid studenti e insegnanti non sono sicuri e non lavorano certo serenamente.

La questione non è quindi, al momento, di discutere di rientro in presenza o di ripresa della Dad, ma di farla finita, più in generale, con la logica della “convivenza” con il Covid e di presentare a Draghi, a Speranza e a Bianchi il conto della devastazione che abbiamo di fronte agli occhi.

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3 Commenti


  • Rita

    “Per fortuna, si è almeno scartata l’ipotesi della didattica in presenza per i vaccinati e telematica per i non vaccinati, impossibile da realizzare e che sarebbe servita solo a scatenare ulteriori polemiche no-vax, data la codardia del governo che non vuole decidere per la vaccinazione obbligatoria.”
    Questa l’ultima decisione del Governo per la scuola Superiore:
    alle Superiori in presenza di tre contagi gli studenti non vaccinati vanno in DaD.


  • Flo

    Con il record assoluto di oltre 200.000 contagi al giorno (era stata promessa l’immunità di gregge), con l’evidenza empirica che i vaccinati si contagiano come i non vaccinati, state ancora sostenendo di discriminare i cittadini che per le più disparate ragioni non hanno voluto sottoportsi a questa terapia?
    Archiviato il discorso che il vaccino dovrebbe proteggere gli altri, si entra nel tema di voler entrare nella valutazione personale di come e quali rischi ognuno decide di correre nella sua esistenza.
    Pensate davvero che obbligando ragazzini e bambini, che nulla hanno mai rischiato da questa pandemia, a sottoporsi a un vaccino che non protegge gli altri risolva qualcosa?
    Errare è umano, perseverare è diabolico.


  • Maurizio Disoteo

    Esatto, proprio cosi e ne discuterò in un prossimo intervento. Quando ho scritto l’articolo tale ipotesi sembrava caduta, poi è riemersa. Ora vedremo cosa succede perché la gestione di una classe metà in presenza e metà in virtuale è estremamente complicata e inoltre le scuole, per motivi di privacy, non hanno elenchi di vaccinati e non vaccinati. Per la stessa ragione, sino a pochi giorni fa non si poteva nemmeno chiedere agli studenti se avessero fatto il vaccino

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