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Scuola: la padella o la brace?

La riapertura delle scuole di lunedì 10 gennaio avviene in un clima di polemiche straordinariamente accese e di accuse reciproche tra chi vuole che essa avvenga in presenza e chi, al contrario, preferirebbe la didattica a distanza.

Tale contrapposizione, che raggiunge il massimo livello con la decisione del presidente campano De Luca di chiudere le scuole primarie e medie inferiori, coinvolge anche altre regioni, come la Sicilia e diverse amministrazioni comunali, soprattutto del meridione, che hanno emanato ordinanze di rinvio più o meno lungo del rientro alle lezioni in presenza.

Altre regioni (Toscana e Veneto in particolare) hanno variamente criticato la scelta del governo di tornare comunque tra i banchi e ad esse si associano il documento di oltre 2.000 presidi (il 25% della categoria) che chiedono l’attivazione della Dad, i sindacati CGIL CISL e UIL e varie associazioni di categoria.

Si tratta di una questione difficile da comprendere nei suoi diversi aspetti se non si prende in esame quanto fatto, o meglio non fatto, negli ultimi due anni dai governi Conte e Draghi e dai relativi ministri Azzolina e Bianchi ma anche le attuali scelte generali dell’esecutivo.

In primo luogo, tornando alla storia recente della pandemia in Italia è facile rilevare che i provvedimenti necessari per avere una scuola in sicurezza non sono stati presi: classi meno numerose, assunzione di nuovi docenti, rinnovamento delle strutture, ripristino della medicina scolastica, tracciamenti, sono rimasti parole al vento.

Queste urgenze sono state più volte ribadite nelle mobilitazioni degli insegnanti e anche degli studenti, che però hanno incontrato il muro di gomma del Ministero. Il governo Conte e ancor più l’esecutivo presieduto da Draghi sono stati esempi di inettitudine e di indifferenza e ora la pandemia presenta il suo tragico conto.

Sul piano dell’attualità, ci si deve rendere conto che il governo Draghi non vuole assolutamente rinunciare al rientro in aula, così come, tuttavia, non vuole fermare ma nemmeno rallentare alcuna attività, seppure a fronte di una situazione sanitaria ormai totalmente fuori controllo, dove si prevedono a giorni almeno 400.000 contagi quotidiani e centinaia di morti, con una prospettiva di imminente tracollo degli ospedali.

Ciò che interessa a Draghi non è certo la salute dei cittadini, ma ancora una volta, la produzione e la ripresa del PIL. A guidare le scelte del governo, orientate in realtà verso una riduzione delle tutele sanitarie, è semplicemente l’economia, anche sapendo che un rallentamento nello sviluppo del PIL metterebbe l’Italia in grave difficoltà di fronte alla UE per quanto riguarda la prosecuzione del PNRR e della restituzione dei fondi a esso legati, che prima o poi – questo è sempre taciuto – dovranno rientrare a Bruxelles.

Di fronte a queste priorità, la strage che si annuncia, per il governo, è un prezzo necessario.

Anche una persona abituata a moderare le parole come il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli, ha dichiarato che il governo vuole il rientro in aula perché i genitori devono andare a lavorare, a fare economia, e un ritorno alla Dad creerebbe evidenti problemi alle famiglie degli alunni più giovani.

Da un altro punto di vista, molti osservano che chiudere le scuole lasciando che tutte le altre attività si svolgano regolarmente avrebbe poco senso e ancor meno produrrebbe un risultato sul piano sanitario. Ma il governo non accetterà mai di rallentare la corsa alla ripresa economica.

I provvedimenti assunti dal governo, in generale, e non solo sulla scuola, sono assolutamente inadeguati a fermare la pandemia; si ha sempre più l’impressione che Draghi voglia che tutto continui a scorrere in una normalità simulata, che la vita appaia regolare, senza dar peso alla tragedia che si consuma.

Ma si tratta della solita storia del treno lanciato verso il precipizio in cui qualcuno prima o poi dovrebbe azionare il freno d’emergenza.

Peraltro, la testardaggine della coppia Draghi-Bianchi sarà molto probabilmente sbugiardata dai fatti nei prossimi giorni. Infatti, è molto probabile che le scuole ripartano in carenza di personale, poiché ammalato o in quarantena, e che anche molti alunni non siano presenti per le stesse ragioni, oltre che perché, come si sente ormai spesso più che mormorare, i genitori non si fidano a mandare i figli a scuola in una situazione così precaria.

Un caso tra tanti, ma esemplare, è quello delle scuole per l’infanzia milanesi, dove il comune ha già dovuto ridurre l’orario del sevizio per la carenza di educatrici. Inoltre, è anche probabile che molte classi debbano passare alla modalità telematica per il rialzo dei contagi.

A questo proposito, è assolutamente assurda la disposizione – esclusa in un primo momento – di gestire le classi in parte in presenza e in parte telematica, dedicando questa seconda modalità ai non vaccinati.

A parte la difficoltà pratica di lavorare in tale modo, è da ricordare che, per motivi di privacy, le scuole non hanno elenchi di alunni vaccinati o non vaccinati, e che quindi si dovrà passare molto probabilmente attraverso le ATS, con uno scambio di documenti tutto da sperimentare e che comunque si presenta vulnerabile a ricorsi sul non rispetto della riservatezza.

Infine, a ridurre la credibilità dei provvedimenti governativi sulla scuola, contribuisce anche il fallimento di una linea analoga seguita dal governo francese, che sta dimostrando in questi giorni tutta la sua fragilità, con l’avvio massiccio della Dad e un aumento dei contagi nelle scuole.

Un ulteriore problema, trascurato dalla stampa e spesso incredibilmente anche “a sinistra” nel mondo della scuola, ma che merita al contrario attenzione, è quello della sicurezza dei lavoratori.

Si tratta di una questione anche sindacale rilevante, anche alla luce del protocollo governativo che prevede che perché si passi alla Dad, nella secondaria, siano necessari tre casi positivi in una classe.

In un paese che ha un’età pensionabile di 67 anni e il corpo docente più anziano d’Europa è grave imporre a un docente sessantaseienne, magari con qualche problema di salute, di entrare in una classe dove ci sono due casi positivi, con il solo sostegno di una FFP2.

Questa è la situazione che hanno provocato i governi Conte e Draghi, rispetto alla quale, ancora una volta, la scuola si trova a dover decidere tra la mancanza di sicurezza in caso di rientro in presenza e un ritorno alla Dad i cui effetti negativi, dal punto di vista pedagogico e sociale e delle discriminazioni che provoca, sono ormai acclarati.

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1 Commento


  • Sergio

    Sulla scuola ricordo prese di posizioni stucchevoli all’inizio della pandemia, del tipo di “difesa del diritto all’istruzione”, quindi scuole aperte mentre gli operai scioperavano denunciando giustamente di essere “carne da macello”, voglio dire cioè che sulla scuola non bisogna scivolare in una posizione corporativa…

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