Alla fine sono iniziate ad arrivare le notifiche dal Tribunale de L’Aquila, a firma della Giudice Guendalina Buccella, i rinvii a giudizio a 31 attivisti politici di varie associazioni e gruppi di diverse parti d’Italia che, il 24 novembre 2017, avevano con numerosi altri solidali manifestato con fermezza contro la tortura del 41 bis.
In particolare contro le ulteriori vessazioni che la prigioniera politica Nadia Lioce, in regime di isolamento speciale dal 2003, subiva da parte della direzione del carcere speciale aquilano.
Quel giorno della manifestazione la detenuta Lioce doveva presenziare in video conferenza, alla terza udienza di un processo penale perché avrebbe, attraverso una “battitura” (unico mezzo possibile per richiamare un minimo di attenzione in una condizione di detenzione durissima) “disturbato la quiete ed il riposo delle persone”.
La denuncia giudiziaria alla prigioniera era partita naturalmente dai suoi carcerieri. La protesta sacrosanta della detenuta risaliva al 2014, allorquando una circolare del DAP e la pronuncia della Cassazione, avevano stabilito l’impossibilità, per chi è recluso in regime di 41 bis, ovvero seppellito vivo dal mondo (sono diverse centinaia in Italia i detenuti a 41 bis), di detenere libri o riviste in cella o di riceverne dall’esterno. Se questa non è tortura…
Va ricordato che già diversi Tribunali e Corti sovranazionali hanno richiamato i governi italiani a dismettere questa atroce misura detentiva. Invece, i governi del Bel Paese – di destra e “di sinistra” – che anche su questo non si differenziano, hanno proseguito in questi ultimi decenni a mantenere questo regime carcerario che viola platealmente i diritti basilari umani. Ulteriori informazioni le troviamo su questo stesso giornale.
Le denunce contro i solidali erano scattate il giorno stesso della manifestazione, perché l’allora questore de L’Aquila, Antonio Maiorano, aveva disposto in modo del tutto immotivato un divieto di manifestare per ragioni di ordine pubblico.
Una decisione a dir poco bislacca visto che non c’erano state da nessuna parte minacce di fare di quella giornata di denuncia e solidarietà, un momento di azioni eclatanti tali da mettere in pericolo la sicurezza pubblica.
La decisione di vietare il diritto democratico di esercitare la libertà di espressione, di manifestazione del dissenso contro il 41 bis in quanto tortura, in realtà era semplicemente un modo per tenere silenziata una vicenda che era a dir poco vergognosa per uno “stato di diritto”.
Per questa ragione, tutto sommato rispettosa del dettame costituzionale, fu deciso dai promotori di quella giornata di lotta di non rinunciare a manifestare la solidarietà alla prigioniera Lioce sotto processo per avere rivendicato un suo diritto.
Fu così, dopo un anno da quell’evento, che i 31 denunciati ricevettero una condanna pecuniaria di 500 euro. Ma per le stesse ragioni legittime di non rinunciare al diritto di manifestare, questa condanna pecuniaria priva di fondamento fu da molti destinatari impugnata legalmente.
Non è un caso che sul 41 bis si preferisca censurare. D’altra parte sul tema del carcere e delle condizioni generali di migliaia di detenuti rinchiusi in stato di sovraffollamento, di scarsa igiene, di carenza di servizi sanitari, di mancanza di presidi atti ad un vero recupero riabilitativo sociale e culturale, la tendenza in voga nello Stato è quella di tacere, di mettere la sordina a fatti e comportamenti gravi che avvengono dentro gli istituti di pena, ma non solo.
Sappiamo che sempre più le carceri sono delle vere discariche sociali, specie in questi ultimi decenni caratterizzati dalla crisi generale economica e sociale di un sistema in decadenza. In questi ultimi due anni di pandemia le contraddizioni si sono acutizzate.
Come sappiamo, le rivolte carcerarie che sono state sedate con una dura e brutale repressione che ha causato decine di detenuti torturati e pestati. E parecchi uccisi.
I fatti del 2020, nel carcere S. Anna di Modena e in quello di Santa Maria Capua Vetere, sotto amministrazione dell’allora governo “Conte 1” e con Bonafede ministro della giustizia, stanno lì a testimoniare le responsabilità della politica.
Il processo contro i 31 manifestanti de L’Aquila del 24 novembre 2017, si baserà sulla violazione dell’articolo 18 comma V de RD del 18 giugno 1931, e si terrà il 18 maggio prossimo.
Questo processo potrà diventare occasione per riprendere la parola e la critica contro un sistema politico che fa della repressione poliziesca e della barbarie del carcere, allo stesso tempo “duro” e fatiscente, gli strumenti principali per il controllo sociale.
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