Gentile Prof.ssa Polimeni,
scriviamo questa lettera per esprimere il nostro rammarico per il veto di fatto imposto all’iniziativa “Amnesty International sull’Apartheid in Palestina” in programma martedì 22 marzo alla facoltà di Lettere e Filosofia, Villa Mirafiori.
Come Lei sa, la richiesta di un incontro per presentare il rapporto pubblicato a febbraio da Amnesty International sull’apartheid di Israele nei confronti della popolazione palestinese era stata regolarmente richiesta dagli studenti e approvata oltre una settimana prima dal referente, Prof. Piergiorgio Donatelli.
All’università erano noti i nomi delle relatrici, Maya Issa, che a nome dei giovani palestinesi avrebbe introdotto il tema, Tina Marinari, Responsabile Campagne di Amnesty International Italia; Vera Pegna, scrittrice di origine ebraica, nota per il suo impegno politico, già in passato a fianco di Danilo Dolci contro la mafia, figura di spicco nel panorama culturale contemporaneo.
A maggior ragione dunque sconcerta la richiesta di modifica del programma a poche ore dall’incontro, che imponeva un relatore in rappresentanza dei Giovani Ebrei Italiani (UGEI), «per garantire il contraddittorio».
E’ anzitutto questa malintesa idea di “neutralità”, di equidistanza che perplime e francamente indigna: non può essere oggetto di discussione affermare che Israele è una “potenza occupante”, come riconosciuto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la Corte Internazionale di giustizia e l’Unione Europea, tra gli altri.
Inoltre, il rapporto pubblicato da Amnesty International, che ha richiesto tre anni di lavoro e studio, ha preso in esame tutti gli aspetti della realtà passata e presente, le condizioni dei palestinesi sia all’interno di Israele, che nei Territori palestinesi occupati e nell’esilio: il risultato è una denuncia di Israele che commette il crimine contro l’umanità di apartheid che non è possibile ignorare, sia nel merito di quello che documenta, sia per l’autorevolezza stessa di Amnesty International.
Ma anche perché Amnesty International non è la sola ad arrivare alla stessa conclusione.
Human Rights Watch, la principale organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, Ilan Baruch and Alon Liel, già ambasciatori israeliani al Sudafrica, Prof. Richard Falk e Prof.ssa Virginia Tilley per conto della Economic and Social Commission for West Asia dell’ONU, studiosi palestinesi e, proprio in questi giorni, il Relatore speciale ONU Michael Lynk, tra gli altri, hanno tutti concluso che Israele pratica l’apartheid, secondo la definizione legale, contro la popolazione palestinese.
“Chi si dice neutrale in condizione di ingiustizia e disparità di forze, di fatto ha già scelto il lato dell’oppressore”: sono parole del recente scomparso arcivescovo Desmond Tutu, premio Nobel per la pace, in riferimento alla Palestina.
Noi, come cittadini prima che come attivisti, non possiamo e non vogliamo dirci neutrali, né dover accettare che ci venga imposta come dovuta “par condicio” la voce di chi difende l’oppressore: ciò sarebbe offensivo, tanto nei confronti dei palestinesi, che da decenni vedono con impunita straffottenza calpestati i propri diritti, quanto dei diritti stessi, universali e non negoziabili, di cui ognuno, in primis le istituzioni, dovrebbe farsi con coerenza portavoce.
L’incontro era aperto, dopo gli interventi era previsto uno spazio per il dibattito: ma è l’intervento impositivo e di censura a gamba tesa che è inaccettabile.
Per questo, tanto più ci sconcerta che sia l’Università a farlo, che dovrebbe al contrario essere spazio privilegiato di confronto e luogo di scambio.
La Sapienza non è purtroppo nuova a questo tipo di chiusure e di censure. Nel 2017 ha revocato gli spazi concessi per un convegno sulla giustizia in Palestina organizzato da ARCI e CGIL, tra gli altri, con la partecipazione di parlamentari e esponenti della società civile israeliana e palestinese. Nel 2016 ha revocato gli spazi concessi, a seguito di una telefonata dell’Ambasciata israeliana, per un incontro alla facoltà di Economia sul tema del boicottaggio.
Nel 2015 ha revocato gli spazi concessi, sempre a seguito di una telefonata dell’Ambasciata israeliana, alla facoltà di Ingegneria per la proiezione del documentario The Fading Valley della regista israeliana Irit Gal.
A mettere a tacere chi studia, difende e sensibilizza sulle violazioni da parte di Israele dei diritti dei palestinesi non è solo La Sapienza e non succede solo a Roma. In tutto il mondo, il governo israeliano e i suoi sostenitori agiscono perché non se ne parli, perché non si prendano misure per porre fine all’ingiustizia, e perché venga punito chi lo fa, creando un clima di intimidazione e ostacolando il dibattito e la consapevolezza.
La responsabilità, a nostro avviso, però è di chi asseconda queste tattiche repressive. Lungi dunque dall’essere una questione solamente legata alla Palestina: è una questione di agibilità democratica nel Paese, e negli spazi preposti al suo esercizio.
Ci sarebbe pertanto gradito un incontro con Lei, per affrontare questo argomento da troppo tempo latente, per poter discutere un tema sul quale sembra non voler esserci a priori discussione e dibattito, ma solo volontà di rimozione.
Intanto Le alleghiamo il rapporto completo di Amnesty International e la sintesi (una trentina di pagine).
Sperando che vorrà accordarci questa occasione di confronto, porgiamo i migliori auguri per un proficuo lavoro.
BDS Roma, Comunità Palestinese di Roma e del Lazio, Giovani Palestinesi, Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese, Riabitiamo Mirafiori
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