Quella sui condizionatori, per Mario Draghi, non era solo una battuta. Il governo ha deciso che, dal primo maggio, la temperatura dei condizionatori all’interno di uffici ministeriali, enti locali e scuole non potrà essere inferiore a 27 gradi. Con un margine di tolleranza di due gradi, quindi il termostato non potrà segnare meno di 25 gradi.
La norma è compresa – sembra – nel decreto bollette.
Che si tratti di una linea di politica energetica, e non soltanto di una “sacrificio temporaneo”, è confermato dalla durata: le nuove norme valgono fino al 31 marzo del 2023. In inverno, infatti, la media ponderata della temperatura negli uffici della Pubblica amministrazione non dovrà superare i 19 gradi.
Anche in questo caso con due gradi di tolleranza. Perciò da novembre in poi la temperatura rilevata nei locali potrà arrivare al massimo a 21 gradi.
I cronisti dominati dalla mentalità sbirresca si sono immediatamente chiesti “chi e come farà i controlli” – anche perché sono previste multe – senza neanche chiedersi la ragione di un provvedimento del genere.
Certo, si tratta di un tentativo – limitato – di riduzione dei consumi, a causa della necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo (che non si sa se arriverà ancora, a seconda delle decisioni che prenderanno Nato ed Unione Europea subito dopo le elezioni in Francia).
Ma l’incidenza di una simile misura sui consumi effettivi è una goccia nel mare. Non ha insomma valore “energetico”, ma solo di “esempio”.
Il rebus della continuità dell’approvvigionamento energetico in assenza del gas russo ha infatti un gran numero di variabili. Per la parte occidentale, di certo c’è la pressione Usa perché l’Europa tronchi immediatamente l’importazione di gas da Mosca. E pare che, obtorto collo, e nonostante la dura resistenza della Confindustria tedesca, l’Unione Europea cercherà di accontentare l’invadente “alleato”.
Ma anche se la decisione fosse diversa, più “elastica”, c’è comunque la scadenza del 1 giugno, data a partire da cui la Russia pretende di essere pagati in rubli per il suo gas e petrolio. In caso di “orecchie da mercante” da parte europea potrebbe partire immediatamente la chiusura dei rubinetti.
E in quel caso non ci sarebbe ancora né il promesso (e costoso) gnl americano, né quello di altri fornitori (impegnati su contratti precedenti a lunga scadenza). Anche perché i rigassificatori in funzione in Italia, indispensabili per riportare il metano liquefatto allo stato gassoso, sono soltanto tre. Servirebbero anni per costruirne di nuovi…
Dunque l’”esempio” dato da Draghi sui pubblici uffici è un preannuncio di prossimi razionamenti. Sia dell’energia elettrica (molte delle centrali italiane vanno a gas), che del metano ad uso cucina.
Chiaro che, oltretutto, si cercherebbe di salvaguardare la continuità energetica per le imprese, e quindi il peso maggiore dei razionamenti – ore giornaliere senza corrente – sarebbe a carico della popolazione.
Questa è, fra l’altro una “economia di guerra”. In questa condizione ci stanno portando i demenziali “migliori” dell’Occidente neoliberista, in capaci di trovare soluzioni a una guerra annunciata che si trascinava da almeno otto anni.
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