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Il nucleare di guerra in Italia una presenza negata e illegale

Per tre generazioni ci siamo attrezzati a considerare normale l’era contrassegnata dalla dottrina strategica militare nota come Mutual Assured Destruction (Mad, “pazzo”, nell’inconsapevole sapienza degli acronimi), cullandoci nella certezza di una Pax europaea garantita dalla costruzione della Ue, premiata nel 2012 con il Nobel per la pace per aver «contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace».

Dopo il disastroso incidente avvenuto nella centrale di Chernobyl nel 1986, abbiamo votato a larghissima maggioranza contro la presenza del nucleare civile in Italia, distogliendo lo sguardo dall’evidenza che fin dal 1957 il nostro Paese era utilizzato dagli Stati Uniti per lo schieramento di missili rivolti contro l’Urss e i Paesi dell’Est europeo riuniti nel Patto di Varsavia.

Durante la guerra fredda, all’Italia era stato affidato il compito di rispondere a un eventuale attacco contro i Paesi Nato sganciando testate nucleari americane su Praga e Budapest, come affermato dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga in un’intervista del 2005. La potenza di anche una sola testata sarebbe stata sufficiente a radere al suolo le due città.

Il Muro di Berlino è caduto da più di tre decenni, eppure nella base statunitense di Aviano, in Friuli Venezia Giulia, oggi si trovano almeno venti ordigni nucleari trasportabili con caccia F-16; altre venti bombe atomiche destinate ai caccia Tornado del Sesto stormo dell’Aviazione italiana si trovano nell’aeroporto di Ghedi, vicino a Brescia.

In attuazione degli accordi bilaterali con gli Usa e conformemente alla politica Nato, la “condivisione nucleare” prevede che i Paesi ospitanti custodiscano le bombe statunitensi e che, in caso di guerra, i cacciabombardieri possano sganciare gli ordigni atomici sugli obiettivi stabiliti.

Per essere pronti a svolgere un simile compito, i piloti delle forze armate nazionali si esercitano regolarmente anche in tempo di pace, mentre lo Stato italiano, secondo l’osservatorio sulle spese militari italiane Milex, affronta un costo direttamente riconducibile alla presenza di testate nucleari che può raggiungere i cento milioni di euro annui.

Le basi di Ghedi e Aviano sono sottoposte alla disciplina del segreto di Stato e il governo italiano non ha mai ammesso, ma nemmeno smentito, la presenza di testate nucleari sul nostro territorio.

Un labirinto di irrealtà tiene in ostaggio i cittadini del Nord Est, privati persino della gravitas connessa a una situazione la cui enormità è ben spiegata in un’analisi del ministero della Difesa, riservata ai membri del Nuclear Operations Working Groupe, resa nota da Greenpeace nel 2020.

Secondo gli autori del documento, in caso di attacco terroristico, gli ordigni nucleari custoditi nei caveau di Ghedi e Aviano potrebbero deflagrare; gli hangar farebbero da camera di scoppio e diffonderebbero una nube tossica su tutto il Nord Est, causando un numero di vittime che potrebbe oscillare tra due e dieci milioni.

Per strappare il velo su una realtà tanto più agghiacciante nell’attuale rincorrersi di minacce atomiche tra superpotenze, ventidue associazioni pacifiste hanno commissionato un Parere giuridico sulla presenza delle armi nucleari in Italia alla sezione italiana di Ialana, l’Associazione internazionale degli avvocati contro le armi nucleari, con status consultivo presso le Nazioni Unite.

Lo studio che ne è risultato – una chiara denuncia dell’illegalità della presenza degli ordigni nucleari sul suolo italiano, in violazione del Trattato di pace del 1947 e del Trattato di Non Proliferazione del 1968, ratificato dal nostro Paese nel 1975, oltre che di varie norme nazionali e internazionali – non nasconde la paradossale difficoltà di ottenere una condanna in via giudiziaria e un conseguente ordine di rimozione delle armi atomiche statunitensi, ma assume una potenzialità che va oltre l’azione giuridica: farci guardare ai vestiti dell’imperatore, per dire che è nudo.

I vestiti sono l’insipienza e le convenienze di un potere che sacrifica la sicurezza dei cittadini a un altro concetto di sicurezza; la nudità è la semplice, non nascondibile, presenza in Italia – a 85 chilometri da Milano nel caso di Ghedi, a 95 chilometri da Venezia nel caso di Aviano – di un enorme arsenale atomico, dove le bombe nucleari B61-3 e B61-4 inizieranno a essere sostituite nei prossimi mesi dalle più sofisticate B61-12, dotate di quattro opzioni di potenza, fino a un massimo di 50 chilotoni ciascuna, vale a dire una forza di distruzione superiore a tre bombe di Hiroshima.

I cittadini, se informati, si esprimono con nettezza: il 74% degli italiani, secondo un sondaggio condotto da You-Gov, e addirittura l’80%, secondo un sondaggio commissionato a Ipsos da Greenpeace, sono a favore della rimozione delle armi atomiche dislocate nel nostro Paese.

Dal Parere giuridico redatto dagli avvocati Joachim Lau e Claudio Giangiacomo possono nascere iniziative legali a livello nazionale e internazionale, ma anche un’opera di informazione capace di rendere tutti noi non bersagli inermi e svagati – o, al contrario, troppo oppressi per reagire – ma cittadini consapevoli, decisi a tornare allo spirito della fondazione delle Nazioni Unite, quando, con il documento finale della Sessione speciale sul Disarmo dell’Assemblea generale del 1978 (risoluzione S-10/2), venne chiesto agli Stati di abbandonare l’utilizzo della forza nelle relazioni internazionali e rafforzare la sicurezza tramite il disarmo.

Nonviolenza, disarmo ed educazione alla pace continuano a essere gli strumenti che i cittadini del mondo possono, con determinazione, opporre agli interessi che fanno della violenza e della morte un lucroso mercato globale. Il potere nucleare è l’antitesi della democrazia, è un potere esclusivo, politico e militare, chiuso, segreto, che, senza alcun controllo, esercita un arbitrio di vita o di morte sulle comunità umane e sull’ecosistema che le ospita. Nessun diritto all’autodifesa degli Stati ‘sovrani’ precede il diritto alla sopravvivenza dell’umanità.

«Nella convinzione che un mondo senza armi nucleari è possibile e necessario – disse papa Francesco in visita a Nagasaki nel 2019 – chiedo ai leader politici di non dimenticare che queste non ci difendono dalle minacce alla sicurezza nazionale e internazionale del nostro tempo. Occorre considerare l’impatto catastrofico del loro uso dal punto di vista umanitario e ambientale, rinunciando a rafforzare un clima di paura, diffidenza e ostilità, fomentato dalle dottrine nucleari. Lo stato attuale del nostro pianeta richiede, a sua volta, una seria riflessione su come tutte queste risorse potrebbero essere utilizzate, con riferimento alla complessa e difficile attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile».

Le armi nucleari, tra tutte le invenzioni umane, sono quelle che più chiaramente mostrano come il delirio di onnipotenza proprio della cultura antropocentrica si sia costituito in politiche di morte, contro le quali è necessario agire una nuova cultura del diritto alla pace, per la sopravvivenza delle comunità umane, dell’ecosistema e di tutti i viventi.

IL VOLUME

La denuncia dei giuristi disponibile in libreria

Dal 26 maggio è in libreria il volume Parere giuridico sulla presenza di armi nucleari in Italia (185 pp., Multimage) redatto dagli avvocati Joachim Lau e Claudio Giangiacomo, di Ialana Italia. Fondata nel 1988 a Stoccolma, Ialana ( International Association of Lawyers Against Nuclear Arms) è un’associazione internazionale di legali che operano per l’eliminazione delle armi nucleari e il rafforzamento del diritto internazionale umanitario, con status consultivo presso le Nazioni Unite.

Il volume, con un’introduzione di Elio Pagani e Ugo Giannangeli (associazione Abbasso la guerra) e una prefazione di Daniela Padoan (Associazione Laudato sì, ne pubblichiamo in questa un estratto) e Patrizia Sterpetti (Women’s International League for Peace and Freedom – Wilpf) sarà presentato in anteprima il 4 giugno 2022 nell’ambito di EireneFest, il Festival del libro per la pace e la nonviolenza, che si terrà a Roma tra il 2 e il 5 giugno.

* da Avvenire

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