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Morire per informare nella “guerra sbagliata”. Da Raffaele Ciriello a Shireen Abu Akleh

Giovedi 9 giugno presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa si terrà un incontro importante dedicato a Raffaele Ciriello, reporter ucciso dalle truppe israeliane a Ramallah nel 2002 e a Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese uccisa dai soldati israeliani lo  scorso 11 maggio a Jenin.

Raffaele Ciriello, nonostante fosse un medico chirurgo, seguì la sua passione e divenne reporter. Aveva realizzato reportage in aree di crisi e di guerra: dal Sud America, all’Africa, al Medio Oriente.

Nel 2002 durante la seconda Intifada si trovava in servizio a Ramallah. Il 13 marzo del 2002 Raffaele Ciriello fu crivellato a freddo da cinque pallottole 7,62 Nato, mentre altre due andarono a finire su un muro.

Il governo israeliano ha parlato di errore: Raffaele Ciriello sarebbe stato scambiato per un soldato palestinese armato di un lanciagranate Rpg. Una svista a cui è difficile credere, perché Ciriello aveva in mano soltanto una piccola telecamera portatile, quando fu ucciso. Nel 2010 è stato riconosciuto dal Governo italiano quale vittima del terrorismo internazionale, ma ancora oggi i responsabili della sua uccisione sono rimasti sconosciuti. Le autorità israeliane non hanno ritenuto di dover procedere con una seria inchiesta.

Inutile dire che, essendo stato ucciso dai soldati israeliani, Raffaele Ciriello non è mai entrato nel Pantheon dei giornalisti uccisi sul campo, anzi. Molto spesso la sua vicenda è stata vissuta con fastidio perché significa entrare in collisione con l’ambasciata israeliana e gli apparati ideologici dello Stato israeliano anche nel nostro paese.

Fin troppo evidente la connessione con l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, ammazzata a Jenin l’11 maggio 2022, venti anni dopo.

Raffaele Ciriello e Shireen Abu Akleh sono due esempi del prezzo che paga l’informazione che documenta i crimini di guerra.

Di questo si parlerà giovedi 9 giugno alla Fnsi, alle ore 11. È prevista la partecipazione di Raffaele Lorusso, segretario della Fnsi, Tony Abu Akleh, fratello di Shireen; Nasser Abu Bakr, leader del Sindacato dei giornalisti Palestinesi; Nacera Benali, giornalista algerina della Rete NoBavaglio; Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento Europeo; Abeer Odeh, ambasciatrice di Palestina in Italia; Tina Marinari, coordinatrice campagne Amnesty International Italia; Tano D’Amico, fotoreporter; Michele Giorgio corrispondente dalla Palestina del Manifesto; Vincenzo Vita, già presidente dell’associazione Italia-Palestina; Guido D’Ubaldo, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio.

I giornalisti della Rete NoBavaglio hanno poi esteso l’invito a rappresentanti di varie associazioni, dalla Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese, agli Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, ad Assopace Palestina e Fotografi Senza Frontiere.

Sono previsti collegamenti con giornalisti in Palestina, contributi video e audio e, al termine dell’incontro un flash mob per chiedere #GiustiziaPerShireenAbuAkleh.

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1 Commento


  • leandro locatelli

    Petizione diretta al Presidente Mario Draghi e al ministro Cartabia
    Andrea Rocchelli, fotogiornalista italiano era andato a documentare gli orrori della guerra in Ucraina, precisamente nel Donbass, ed è stato ucciso per questo. E’ stato assassinato insieme all’attivista per i diritti umani (e interprete) Andrej Nikolaevič Mironov, dal fuoco ucraino, il 24 maggio 2014. William Roguelon, unico sopravvissuto all’attacco, dichiarerà che il gruppo è stato bersagliato da numerosi colpi di mortaio e armi automatiche dalla collina Karachun, dove era stanziata la Guardia nazionale dell’Ucraina e l’esercito ucraino. Gli assassini non sono i russi ma i nostri alleati, addestrati e armati da noi. I “buoni”. Quelli che difendono la libertà. Nel luglio 2017 le indagini hanno portato all’arresto di Vitaly Markiv mentre rientrava in Italia, militare della Guardia nazionale ucraina col grado di vice-comandante al momento dell’arresto ma soldato semplice all’epoca dei fatti, con cittadinanza italiana. Markiv è stato sottoposto a misure detentive di custodia cautelare in attesa del processo che si è aperto a Pavia nel maggio 2018. Durante lo svolgimento del processo, Markiv viene anche accusato dentro e fuori l’aula di simpatie neonaziste. Si legge su Wikipedia: “Il 12 luglio 2019 la corte penale di Pavia ha giudicato Vitaly Markiv colpevole per concorso di colpa nell’omicidio di Rocchelli e Mironov e lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Lo stato Ucraino è stato anch’esso giudicato colpevole nella medesima sentenza quale responsabile civile”. Markiv però se la cava, dopo l’intervento delle autorità dell’Ucraina che prendono le sue difese. Ed ecco il colpo di scena: “Il 3 novembre 2020 la Corte d’Assise d’appello di Milano, pur ritenendo colpevoli le forze armate ucraine dell’omicidio dei giornalisti, ha assolto Vitaly Markiv con formula piena escludendo alcune testimonianze chiave dall’impianto accusatorio per un vizio di forma”. Sul tablet e sullo smartphone sequestrati a Markiv, secondo i Ros, sono conservate oltre duemila fotografie. Alcuni scatti mostrano un uomo incappucciato, con una catena di ferro al collo, rinchiuso nel bagagliaio di un’automobile, una Skoda Octavia. In alcune immagini scattate poco dopo, si vede lo stesso uomo, con il volto ancora coperto, gettato in una fossa mentre qualcuno non inquadrato nella ripresa lo ricopre di terra. Altre fotografie ritraggono Markiv davanti alla stessa Skoda Octavia. Quando nell’aula è stata mostrata una foto di agenti della guardia nazionale ucraina con alle spalle una bandiera nazista, Markiv ha chiesto di prendere la parola e ha detto: «Non voglio che la guardia nazionale sia presentata come nazista. La bandiera ritratta in quella foto è soltanto un bottino di guerra» Peccato che il nemico fossero gli autonomisti del Donbass. Non c’è pace senza giustizia, non si annulla una sentenza per vizio di forma, dopo l’intervento delle autorità Ucraine che hanno parlato di complotto e di processo politico, intervento supportato anche da politici di lungo corso italiani. Chiediamo al presidente del consiglio Draghi ed al ministro della Giustizia Cartabia la revisione del processo. Ci sono due vittime innocenti, assassinate perché testimoniavano con il loro lavoro verità scomode, non ci possono essere colpevoli in libertà. La responsabilità penale è personale, indicare come responsabile l’intero esercito ucraino è inutile e sbagliato. Verità e giustizia per Andrea e Andrej.
    Puoi firmare la petizione qui: https://chng.it/J4kY6Zdj

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