In previsione dello sciopero operaio e studentesco del 22 aprile e della manifestazione nazionale a Roma prevista per quella giornata, abbiamo intervistato Pierpaolo Leonardi coordinatore nazionale dell’Usb.
D: Una domanda corre d’obbligo. Non possiamo non partire dalla provocazione avvenuta alla sede nazionale dell’Usb. E’ stata piuttosto grossolana ma non per questo meno inquietante. Che idea vi siete fatti?
R: Diciamo subito che non ce l’aspettavamo: abbiamo sempre pensato che le sedi sindacali, le case dei lavoratori, fossero per loro natura inviolabili per tutti. La provocazione, grossolana nell’esecuzione ma molto pesante sul piano politico, che abbiamo subito ci dice invece che quando c’è da mandare segnali, intimidire, far comprendere a tutti che l’aria è cambiata e non si scherza più, allora tutto è lecito e tutto, anche l’assurdo, diventa possibile.
D: Questa provocazione è arrivata alla vigilia di due eventi importanti per il sindacato: lo sciopero operaio del 22 aprile e il congresso a Roma della Federazione Sindacale Mondiale ai primi di maggio. In più c’è un contesto di altissima tensione nel paese per via della guerra. Secondo te c’è un nesso?
R: E’ chiaro che l’azione dei Carabinieri è nata dalla consapevolezza che nel Paese si va affermando, e finalmente anche manifestando, una opposizione reale, non il chiacchiericcio da bar, al Governo Draghi espressione delle politiche dell’Unione Europea e alla guerra. Colpire l’USB che è pienamente dentro questa opposizione di classe, anzi forse ne è il pezzo sociale più attrezzato e avanzato, far balenare l’idea che chi si schiera contro la Nato, per l’uscita dell’Italia dalla guerra, chi conferma di non volersi arruolare rischia di subire l’aggressione dello Stato, con ogni mezzo lecito e illecito.
La provocazione, va sottolineato, è scattata nel bel mezzo della preparazione dello sciopero generale operaio e della manifestazione nazionale del 22 aprile a Roma, a urne aperte per le votazioni in tutto il pubblico impiego per il rinnovo delle RSU e a poche settimane dall’avvio del 18 congresso della federazione Sindacale Mondiale che la USB ospiterà a Roma agli inizi di maggio.
Credo che le iniziative forti, partecipate e che hanno assunto rilievo internazionale del blocco dell’aeroporto di Pisa e del blocco del porto di Genova hanno contribuito molto a dare il senso della “pericolosità” della nostra azione.
D: Sulle mobilitazioni di Pisa e Genova vorremmo tornarci tra un attimo. Volevamo invece chiedere di come la giornata del 22 aprile, che era stata pensata in un contesto diverso, sia stato bruscamente cambiato dalla guerra. Il paese era già dentro una pesante crisi economica e sociale, gli operai della produzione e della circolazione delle merci che cosa hanno da mettere in campo contro le cause e le conseguenze della guerra sulla società?
R: Da mesi, da ben prima che la guerra in Europa divampasse e divenisse realtà, l’USB aveva avviato un percorso di rilancio dell’iniziativa operaia di classe nel Paese. La ripresa dell’inflazione, il prodotto delle sanzioni alla Russia sui salari e sulla tenuta economica delle famiglie sono entrate a forza nella preparazione del 22.
Abbassare le armi, alzare i salari è diventata una nuova parola d’ordine che si affianca a quelle su cui era partita la mobilitazione.
Il carovita aggredisce direttamente il blocco sociale del lavoro dipendente, precario, falsamente autonomo che diventano oggettivamente interessati al cambiamento di politiche economiche e che sono direttamente interpreti della necessità di uscire dall’ambito strettamente vertenziale sindacale e, come negli anni 70, di mettersi alla testa di un movimento più ampio che ponga la questione del salario, del reddito diretto e indiretto, del diritto alla casa, contro il carovita, per il potere operaio.
D: Che significa uno sciopero “operaio” e una manifestazione nazionale a Roma. Avete declinato questa giornata di conflitto come la rimessa al centro della “variante operaia” nell’agenda politica del paese. Ma questo è uno sciopero che agisce anche apertamente dentro e contro la catena del valore capitalistico. Che cosa significa?
R: Per molti anni si è cianciato della fine della classe operaia, della fine della sua funzione nel Paese. In questo modo si è cercato, in larga parte riuscendovi grazie alle scelte delle confederazioni gialle e filo padronali, di disarmare gli operai togliendogli la consapevolezza della propria funzione storica ma soprattutto della propria funzione nella realtà.
Gli operai, i braccianti, chi produce con il 22 aprile riprende parola e lo fa insieme a chi il prodotto del loro lavoro lo fa circolare e lo commercializza. Una variante, quella operaia, nella declinazione che ho detto di catena del valore che si snoda dalla produzione alla commercializzazione di beni e prodotti, che si afferma come nuovo spazio allargato di conflitto per conquistare di nuovo potere e ruolo nella società.
La ricchezza è di chi la produce, la movimenta, la commercializza e, al di là delle divisioni categoriali classiche, si organizza e si propone, attraverso la lotta, come soggetto unitario capace di ridisegnare la società e gli interessi.
D: Un aspetto decisamente inedito che è venuto emergendo è l’unità tra operai e studenti. Le organizzazioni studentesche come Osa hanno dichiarato lo sciopero per il 22 aprile. Hanno scritto su vari striscioni “Operai-studenti figli della stessa rabbia”. Come è nato e come sta crescendo questa alleanza di due settori significativi del blocco sociale antagonista?
R: L’unità tra operai e studenti non è un fatto inedito nella storia delle lotte sociali e del lavoro nel nostro Paese…
D: Ovviamente mi riferivo agli anni, o decenni, più recenti….
R: Infatti, è più appropriato dire che forse si era persa la memoria e la coscienza dell’unità di interessi tra operai e studenti, che nel tempo era andata via via scomparendo. Oggi ci ha pensato il capitale a fornire, come sempre avviene, gli elementi di ricomposizione che inevitabilmente rendono necessaria l’unità studenti/forze del lavoro.
L’introduzione della alternanza scuola/lavoro ha dato una spinta formidabile alla comprensione da parte degli studenti di come la loro formazione venisse piegata agli interessi del capitale, al mantenimento del comando di impresa. Il periodo scolastico interpretato come tirocinio al lavoro, piuttosto che come fase di crescita libera e consapevole, la scuola delle competenze, e delle competenze che servono alle imprese, ha portato molto presto gli studenti a dover lottare, oltre che per una scuola aperta, laica, democratica anche contro lo sfruttamento.
La questione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro che è un altro dei temi centrali dello sciopero e della manifestazione operaia del 22 aprile, gli omicidi sul lavoro che ogni giorno si contano nel Paese si è immediatamente connessa con la morte dei due studenti che svolgevano vera e propria attività di produzione direttamente in azienda, invece che nel proprio istituto e ha dato la misura di quanto ci sia bisogno di unità di classe e di mobilitazione.
D: Possiamo affermare quindi che dopo anni di letargo e pensiero debole, il conflitto operaio e studentesco sembra aver ritrovato dentro la crisi – e la sua acutizzazione con la guerra – una funzione, una identità di classe e una aspirazione al cambiamento che sembravano rimosse. I lavoratori aeroportuali di Pisa e i portuali di Genova hanno bloccato il traffico di armi costruendo intorno a loro una alleanza sociale molto ampia. A distanza di decenni dai momenti alti del movimento operaio, possiamo dire che quando prendono l’iniziativa gli operai hanno nuovamente la capacità di unire intorno a sé un blocco sociale più ampio? Possiamo guardare in avanti più positivamente che in passato?
R: Non c’è dubbio che la ripresa del conflitto operaio contro la ristrutturazione nelle fabbriche, contro le delocalizzazioni, nelle campagne contro lo sfruttamento e la schiavitù, nella logistica contro i nuovi modelli schiavistico/produttivi abbiano dato un forte impulso ad una ripresa complessiva del conflitto. Assistiamo alla ripresa del protagonismo operaio proprio ora che la guerra sembra aver ridislocato e ridisegnato i perimetri sociali e politici in cui sono considerati legittimi solo i comportamenti compatibili con le scelte complessive del capitale.
Gli “episodi” di Pisa e Genova non sono tali. Sono invece il frutto di una cultura tenacemente mantenuta e alimentata tra le nostre fila che spinge a intervenire direttamente, con i propri strumenti, lo sciopero, e con i propri corpi, i blocchi, ad impedire che la guerra sovrasti tutto e ci veda complici.
La partecipazione di massa, ben oltre quella dei settori di lavoratori direttamente interessati, che ha animato i blocchi e le manifestazioni chiaramente contro la guerra, contro l’invio di armi, contro lo spostamento di risorse dalle necessità sociali alle spese militari dicono che comportamenti decisi, forti, chiari negli obbiettivi e nelle modalità d’azione possono fare la differenza e diventare elementi di coagulo ampio, forieri di una crescita di consenso diffuso.
A quello lavoriamo, e quello è ciò che cercano di impedirci di fare con le denunce, i licenziamenti e perfino le provocazioni dei carabinieri. Non ci sono riusciti finora e non ci riusciranno in futuro. La risposta di tutta l’organizzazione, la spinta a continuare e la determinazione nelle iniziative di lotta rafforza grandemente la nostra consapevolezza di essere sulla strada giusta.
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