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I diritti non vanno in vacanza. Intervista a Lisa Canitano

Per tutte è Lisa, anche se in realtà sarebbe la dottoressa Elisabetta Canitano, ginecologa.

«Vado da Lisa al consultorio». «Se hai bisogno di aiuto chiama Lisa». Lisa e basta. Per migliaia di donne.

Succede quando una professione è una passione, una militanza che nasce dal femminismo, la convinzione che la salute è un diritto, la legge 194 un pilastro fondamentale, perché, dice Lisa, «di aborto in Italia si può ancora morire, come dimostra la tragedia di Valentina Milluzzo».

Valentina, incinta di due gemelli, morì nel 2016 di setticemia a 32 anni, al quinto mese di gravidanza a Catania, per un aborto negato, questa l’accusa della procura. Da allora Lisa Canitano si batte insieme ai genitori di Valentina affinché su quella tragedia si faccia luce.

«Sediamoci qui, tra l’orto e il giardino, c’è un magico incrocio di correnti e fa fresco». Qui è via di San Francesco di Sales, a Roma, enclave appartata nel caos di Trastevere, dentro la Casa internazionale delle donne, dove Lisa Canitano ha un ambulatorio in cui visita gratuitamente. Ed è la sede di “Vita di donna” associazione che offre sostegno medico a chiunque ne abbia bisogno. Il telefono suona in continuazione: inverno, estate, a volte di notte. Lisa risponde sempre.

Sessantasette anni, papà medico e mamma attrice, il liceo classico al “Mamiani”, negli anni più caldi della rivolta studentesca, Canitano si laurea in Medicina alla “Sapienza” di Roma e fa la scelta di diventare medico della 194. Un marito e una figlia, oggi Canitano è, anche, felicemente nonna.

Fu una scelta politica?

Avevo 26 anni, era il 1981, la legge era appena nata, bisognava difenderla, conoscevamo tutte la tragedia degli aborti clandestini, mi ero specializzata in ginecologia, mi sembrò naturale. Il boicottaggio della legge era feroce. A

l policlinico “Umberto I” fu necessario occupare un reparto. Le pazienti non trovavano i letti. Gli infermieri si rifiutavano di lavare i ferri. Ero e sono ancora femminista e di sinistra. E volevo aiutare le donne. Per questo l’ho scelto».

Sull’aborto rischiamo una deriva americana?

No, almeno per le interruzioni di gravidanza entro il terzo mese.

Certo, la mia generazione che ne ha garantito il diritto sta andando in pensione, molti reparti sono stati chiusi. Però grazie al sostegno delle reti che danno supporto alle donne, ai numeri in perenne discesa, l’interruzione viene eseguita. Il dramma è l’aborto terapeutico.

La legge prevede che in caso di gravi malformazioni del feto, di rischio di vita della donna, si possa, anzi si debba fare.

Invece in Italia sta accadendo una cosa molto grave. In particolare nella sanità cattolica. Le donne dopo aver ricevuto una diagnosi di anomalia del feto, vengono lasciate sole. Colpevolmente non vengono date loro le informazioni su cosa fare, dove andare. In questo smarrimento il tempo passa, così i termini per l’aborto.

E’ una obiezione mascherata?

Sì, ed un venir meno ai doveri del medico che in alcuni casi può diventare fatale. Non sapete quanto boicottaggio c’è ancora oggi nelle sale operatorie rispetto gli aborti terapeutici. Una violazione dei diritti delle donne».

E’ stato duro dedicare la vita alla difesa della legge 194?

Per fortuna mi sono anche occupata di ginecologia in generale. Altrimenti il rischio di burnout è altissimo. Ho lavorato anni in un consultorio di Ostia dove avevamo un rapporto strettissimo con le pazienti. Lo scopo era insegnare loro a non fare più aborti, insegnare la contraccezione.

Non è stato facile: nei primi anni, in certe zone di periferia dove avevamo gli ambulatori, a bassa voce, quando passavo, mi dicevano “assassina”.

Militanza che dura tuttora.

La passione civile l’ho scoperta al liceo, era il 1969, ovunque esplodeva la protesta studentesca, tra i nostri leader c’era Marco Lombardo Radice, sarebbe diventato medico anche lui, psichiatra dei bambini. L’anno della maturità mi sospesero per 15 giorni, mi toccò studiare Hegel da sola. Fui promossa con sessanta, potevamo fare la rivoluzione ma a scuola dovevamo essere bravi.

Era comunista?

Extraparlamentare di sinistra, come allora si diceva. Marxista leninista. Prima che arrivasse la lotta armata e alcuni amici ci finissero dentro. Quando Giulio Carlo Argan è diventato sindaco di Roma nel 1976 ho preso la tessera del Pci. Fino a 10 anni fa sono stata nel Pd. Oggi sono iscritta a Potere al Popolo.

Il femminismo?

E’ entrato nella mia vita gli ultimi anni del liceo. E’ diventato una ragione di vita.

Perché ha fondato “Vita di donna”?

Perché la salute femminile non è ancora un diritto per tutte. In Italia non si parla di contraccezione. Nel mio ambulatorio gratuito vengono sempre più donne italiane.

Lei ha scritto uno spettacolo dedicato a Valentina Milluzzo.

Si chiama Io obietto e racconta con i materiali dei processi come si possa morire di aborto in ospedale.

Valentina aspettava due gemelli, aveva in corso una grave infezione, l’aborto l’avrebbe salvata. Ma il medico obiettore si rifiutò affermando che sentiva ancora il battito del cuore dei feti. Così la setticemia l’ha uccisa nel 2016. Non deve accadere più.

* da Repubblica

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1 Commento


  • OTTORINO

    MI PERMETTO DI DIRE SIAMO NEL’ ERA DI PERDITA DI DIRITTI CONQUISTATI CON GRANDI SACRIFICI,
    SE PIANO PIANO SI FA DI TUTTO PER NON AVERE PIU’ CERTI DIRITTI NON VUOL DIRE ABORTO PER FORZA, MA LA MIA ESPERIENZA DICE CHE SI FA COME LA DROGA NON SI VUOL VENDERE LEGALMENTE E PIU’ SICURA DI QUELLA CHE TROVANO IN MERCATO NERO, COSI’ SARA’ IL FUTURO PER L’ ABORTO, SARA’ FATTO AL MERCATO NERO CON TANTI RISCHI E SPECULAZIONE, PER CHI HA SOLDI IN CLINICHE PRIVATE!!

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