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Rivendicare diritti e dignità di chi lavora non è estorsione ma giustizia.

A Piacenza migliaia di lavoratrici, lavoratori e giovani hanno riempito ieri pomeriggio le strade per protestare contro gli arresti dei sindacalisti dell’Usb e del Sicobas arrestati all’inizio della settimana con l’accusa di “essersi associati per estorcere retribuzioni salariali superiori a quelle del contratto nazionale della logistica”. La manifestazione unitaria dei sindacati di base e conflittuali conferma ancora una volta che è la forza che fa l’unione.

Per la procura di Piacenza le lotte condotte nella logistica dal 2014 al 2021: sarebbero state attuate per motivazioni pretestuose e con intenti “estorsivi”, al fine di ottenere per i lavoratori condizioni di miglior favore rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale.

Questo teorema giudiziario è un evidente tentativo, questo sì criminale, di cercare di impedire che nei magazzini della logistica, nei luoghi della produzione e della commercializzazione delle merci cresca e si rafforzi il sindacato di classe, conflittuale, che non cede di un millimetro sui diritti dei lavoratori. Si vuole negare la legittimità del sindacalismo conflittuale e delle sue pratiche e si vuole dare una ulteriore spinta repressiva contro il diritto di sciopero in un settore strategico per le multinazionali e per il capitale.

Ma la lotta per “estorcere” salari migliori e maggiori diritti per chi lavora nelle zone grigie del neoschiavismo industriale, non riguarda solo i settori della circolazione delle merci. Anche lì dove si producono come nelle campagne, spesso in condizioni schiavistiche, cresce la rabbia e l’organizzazione.

Mentre sabato migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Piacenza chiedendo la liberazione dei sindacalisti di Usb e Si Cobas arrestati, a centinaia di chilometri di distanza, a Ragusa, circa 500 persone, in stragrande maggioranza, lavoratori migranti, hanno manifestato venerdì per le strade della città siciliana, aderendo all’iniziativa promossa dalla Federazione USB locale per chiedere che si indaghi sulla scomparsa di Daouda Diane, di cui l’ultima foto mostra che stava lavorando nella pulizia di una betoniera.

La manifestazione si è conclusa davanti alla Prefettura, dove una delegazione di compagni di Daouda Diane, accompagnata dai delegati dell’USB e dalla deputata Simona Suriano di ManifestA, hanno incontrato Cettina Pennisi, viceprefetto di Ragusa, e il capo di gabinetto Ferdinando Trombadore. Assente invece la Regione Sicilia alla quale sin dal 13 luglio era stata inviata una richiesta di incontro senza ricevere ancora risposta.

I compagni di Daouda hanno esposto la grande preoccupazione per la sorte del loro amico, ribadendo che non aveva assolutamente alcun motivo per allontanarsi senza avvisare. I lavoratori hanno sottolineato di nuovo l’esistenza del video in cui si vede Daouda che lavora nel cementificio di Acate e denuncia le condizioni di lavoro insopportabili.

I dirigenti USB hanno riproposto la piattaforma di rivendicazione dei lavoratori migranti, come il diritto di cittadinanza e il rispetto delle condizioni contrattuali e di sicurezza sul lavoro.

Formali le risposte della Prefettura: massima attenzione nelle ricerche, le indagini sono di competenza della magistratura, interesse e ascolto alle rivendicazioni degli amici di Daouda.

Da Piacenza a Ragusa il sindacalismo combattivo e di classe manda un segnale decisivo: la schiavitù salariale sarà combattuta metro per metro, l’organizzazione sindacale e di classe dei lavoratori non verrà indebolito dalle persecuzioni giudiziarie della magistratura.

 

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1 Commento


  • Giuseppe Aragno

    Quando la Magistratura fa un uso così spregiudicato del Codice Rocco, manda llunll segnale chiarissimo: i padroni e i loro protettori politici hanno paura.
    E fanno bene ad averne. Chi semina vento raccoglie tempesta

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