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La Ue condanna l’Ungheria ma “glissa” sulla Polonia. Un doppio standard irricevibile

Solo l’ipocrisia imperante in Europa e in Italia può spiegare il doppio standard con cui l’Unione Europea sta procedendo contro due paesi membri dell’unione non in linea con “il sistema di valori europei”.

E’ di ieri la notizia che per il Parlamento Europeo l’Ungheria “non può più essere considerata una democrazia”. La situazione nel Paese danubiano si è degradata a tal punto che è diventato una “autocrazia elettorale”. E’ quanto sostiene l’europarlamento, che ha approvato a maggioranza, con 433 voti favorevoli, 123 contro e 28 astensioni (gli europarlamentari di Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro).

Nella relazione si stigmatizza “l’inazione” dell’Ue, che ha “peggiorato le cose” e si raccomanda che l’erogazione dei fondi europei per la ripresa a Budapest sia sospesa “finché il Paese non si allineerà alle raccomandazioni dell’Ue e alle decisioni della giustizia comunitaria. Per l’Aula “ogni ritardo nella procedura legata all’articolo 7 equivarrebbe ad una violazione dello Stato di diritto da parte del Consiglio”.

Dunque all’Ungheria vanno sospesi i finanziamenti europei previsti dal Recovery Fund.

Ma solo una politica e una informazione malata possono tacere sul fatto che, contestualmente all’Ungheria, il 22 dicembre 2021 la Commissione ha lanciato una procedura di infrazione contro la Polonia per violazione del diritto dell’Ue da parte della Corte costituzionale polacca.

La procedura riguarda due sentenze emesse a luglio e ad ottobre dalla Corte Costituzionale polacca che di fatto stabiliscono che Varsavia non sarà più tenuta a riconoscere la supremazia del diritto europeo su quello nazionale.

Secondo l’esecutivo Ue che queste sentenze del Tribunale costituzionale violano i principi generali di autonomia, primato, efficacia e applicazione uniforme del diritto dell’Unione e l’effetto vincolante delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Inoltre, la Commissione ritiene che queste sentenze violino l’articolo 19 del Trattato sull’Unione europea. Nelle sue motivazioni Bruxelles afferma anche di nutrire “seri dubbi sull’indipendenza e l’imparzialità del Tribunale costituzionale” e di ritenere che non soddisfi più gli obblighi europei sull’indipendenza della giustizia.

Dunque, da dicembre 2021 la Polonia aveva due mesi per rispondere alla lettera di messa in mora dell’Unione Europea. Ma nei due mesi successivi all’ultimatum europeo, la situazione in Ucraina è degenerata in guerra aperta con la Russia a seguito dell’intervento militare e la Polonia ne è diventata una pedina decisiva da ogni punto di vista. Ragione per cui la Polonia non si è affatto adeguata alle indicazioni della Ue ma Strasburgo, a Bruxelles (ed anche a Roma) si sono subito dimenticati dei conti in sospeso con Varsavia.

La Polonia è adesso un alleato attivo, strategico e decisivo nella guerra della Nato contro la Russia, i suoi indicatori di democrazia e di aderenza al sistema di valori europeo possono tranquillamente passare in secondo piano.

Un trattamento completamente diverso è stato invece riservato all’Ungheria proprio a causa della sua politica verso la Russia. Eppure le procedure di infrazione contro Polonia e Ungheria marciavano parallele nella stigmatizzazione pubblica e politica della Ue e delle forze politiche europeiste.

Infine, ma non certo per importanza, è del tutto evidente quanto strumentale che la condanna dell’Ungheria venga giocata anche nella campagna elettorale italiana contro i partiti della destra (Fratelli d’Italia, Lega) accusati di essere amici di Orban. Ma anche quelli diventati negli ultimi sei mesi silenti amici della leadership polacca meriterebbero di essere stigmatizzati.

Il doppio standard è uno di quei fattori di ipocrisia dei liberali e dell’Occidente che sta allontanando il resto del mondo proprio dall’Europa e dalla sua presunzione.

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    E TE PAREVA!?!

    ANCHE IN POLONIA SI E’ APERTA LA STAGIONE DI CACCIA AL CURDO

    Gianni Sartori

    Nessun stupore. I precedenti non mancano (rileggersi “MAUS”…). E poi da tempo la classe dirigente locale e una parte della popolazione (la “Polonia profonda” diciamo) sembra volersi rappresentare nei suoi aspetti peggiori: bigotta, conservatrice, reazionaria, ostile ai diritti delle donne, agli immigrati (a meno che non siano ucraini), filo-Nato, educatamente allineata con Washington…

    Niente di strano quindi se a farne le spese stavolta sono i curdi.

    Una serie di arresti (circa una cinquantina) ha recentemente colpito la diaspora curda in Polonia. Stando a quanto dichiarato da uno degli arrestati (Harûn Jirkî, per ora l’unico in grado di informare l’opinione pubblica) la polizia che lo aveva prelevato avrebbe agito in collaborazione con agenti che tra loro parlavano in turco. Per cui è lecito sospettare, intravedere la manina del MIT, i servizi segreti turchi.

    Il 4 ottobre diversi negozi di kebab sono stati perquisiti alla ricerca di prove incriminanti (come qualche foto di Abdullah Ocalan!), molti telefoni sono stati sequestrati e appunto circa 50 persone tratte in arresto.

    Uno di loro, Harûn Jirkî arrestato a Poznan, ne ha parlato con Yeni Özgür Politika dichiarando che una celebrazione del Capodanno curdo risalente al 2018 avrebbe fornito il pretesto ufficiale per la retata. In quanto nell’occasione venivano esposte alcune bandiere del PKK e qualche foto del “Mandela curdo”. In aggiunta, l’accusa per alcuni degli arrestati di aver finanziato il PKK.

    Sempre stando alla testimonianza di Harûn Jirkî , gli agenti intenti alle perquisizioni, oltre a parlare tra loro in turco, avrebbero esplicitamente dichiarato di appartenere al MIT (o era forse un modo per intimidire ulteriormente ?).

    Vedendo poi sulla spalla di uno degli arrestati a Varsavia un tatuaggio raffigurante Mahsum Korkmaz (il comandante Egîd, uno dei fondatori del PKK) i poliziotti avevano commentato dicendo “Lo vedi? E’ Mahsum Korkmaz”.

    Difficile pensare che in Polonia il personaggio sia così conosciuto. Per cui è lecito sospettare che tra Varsavia e Ankara vi siano precisi accordi di collaborazione per contrastare il movimento curdo.

    La retata ha interessato anche alcuni militanti della sinistra turca che in passato avevano partecipato a iniziative curde. E ovviamente anche i loro telefoni e computer sono stati confiscati.

    Da segnalare che l’operazione, evidentemente avvolta nel segreto, pare essere quasi completamente sfuggita alla stampa e ai media polacchi e soltanto fronda.pl (un sito ultra-conservatore: contraddizione nella contraddizione?) ha denunciato l’evento come “scandaloso”.

    Gianni Sartori

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