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L’insopportabile pesantezza della disuguaglianza sociale

Il protagonismo della destra al governo si è subito manifestato attraverso la Manovra, dalla quale risulta la tendenza a insistere sulle disuguaglianze come fattore di divisione per reddito e quindi di conquista di consenso per fasce sociali.

Alla destra ha sempre dato fastidio l’idea stessa dell’uguaglianza, e di conseguenza della democrazia. Scrive Nadia Urbinati, citando Roberto Bobbio: Più lo stato si ritirava dal compito di contenere le diseguaglianze, più la morsa del darwinismo sociale stringeva la società, agevolando l’ideologia della diseguaglianza.”

Prima della pandemia, l’ISTAT aveva prodotto una ricerca secondo la quale la suddivisione per censo e condizione economica era inquadrata in 9 categorie: i giovani “blue collar”, cioè la manodopera; le famiglie degli operai in pensione con reddito medio; le famiglie a reddito basso con stranieri; le famiglie a reddito basso di soli italiani; le famiglie tradizionali della provincia; il gruppo misto formato da anziane sole e da giovani disoccupati; le famiglie benestanti di impiegati; le famiglie con pensioni d’argento; e infine la classe dirigente.

Più recentemente, Enzo Risso, direttore scientifico di IPSOS, ha scritto: “L’Italia è sempre più una realtà polarizzata socialmente, con il rafforzamento dei ceti privilegiati della upper-class, lo sfarinamento del ceto medio e l’ingrossamento e l’impoverimento dei ceti medio-bassi e popolari.”

IPSOs suddivide la società italiana uscita dalla grande crisi provocata dalla pandemia in cinque categorie: “In vetta alla piramide sociale troviamo la upper class, le persone che si collocano tra i benestanti e il ceto alto e medio alto”, scrive Risso, che sottolinea come questa fascia sia cresciuta, passando dal 4% al 6-7%.

Nella fascia riconducibile al ceto medio, durante la pandemia, si sono sentite a tutti gli effetti appartenenti al ceto circa il 26%. Con la ripresa del secondo semestre 2021 l’inizio del 2022, questa componente sociale è arrivata al 40%. Poi però la guerra in Ucraina e l’innalzamento dell’inflazione hanno ridotto al 30% coloro che si considerano appartenenti al ceto medio.

Le difficoltà economiche complessivamente colpiscono tra il 58 e il 66% degli italiani, secondo IPSOS, con una tendenza alla caduta del reddito (tra il 35 e il 39%), che avvicina questa parte di ceto medio alla fragilità sociale dei ceti inferiori, calcolati intorno al 19%, quella di cui si parla quando ci si riferisce alla difficoltà di arrivare a fine mese.

Infine, tra il 6 e l’11 %, – vale a dire tra i 4 e i 6 milioni di persone – hanno la diretta percezione della loro indigenza, perché inflazione e caro-bolletta, impattando con violenza su redditi bassi e precari, hanno un peso insostenibile. È qui che si tagliano le spese anche alimentari.

Dunque, la disuguaglianza si è moltiplicata in modo logaritmico, e viene usata come leva del comando, oltre che dello sfruttamento, attraverso la politica dei bonus o degli sgravi, per alcuni sostanziosi, per altri pure mancette elettoralistiche.

L’articolazione delle differenze di classe ha messo in crisi la sinistra nel mondo occidentale: non ci sono più le tre categorie – borghesi, ceto medio e proletariato – su cui l’idea del socialismo è nata, grazie al marxismo.

D’altro canto, la disuguaglianza sociale è un’emergenza sociale lancinante, tipica del neoliberismo, che se le politiche di centro-sinistra hanno sottovalutato, perdendo il voto dei ceti bassi ma anche di quelli medi, va ripresa invece in mano e trasformata in una nuova spinta al superamento dell’economia capitalistica, che basa la sua capacità di comando proprio sulla divisione in classi sempre più diversificata, secondo l’antico ingrediente del potere che i latini sintetizzavano nel dividi et impera.

Reddito, stato sociale, uguaglianza sono le parole d’ordine che possono rinvigorire l’opposizione non solo sociale ma soprattutto politica al governo delle destre, utile strumento della disuguaglianza e della messa in crisi della stessa democrazia.

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