Tutto a carico del prossimo
Francesco Piccioni
Col passare dei giorni il bisturi degli analisti scava sempre meglio nella «legge di stabilità», nome nuovo per roba vecchia (la legge finanziaria). E scopre cose parecchio preoccupanti soprattutto per lavoratori dipendenti e pensionati, ma che dovrebbero inquietare anche chi crede davvero di poter governare altrimenti questo paese «in continuità con Monti».
Da uno degli uffici studi della Cgil, per esempio, arriva una segnalazione abbastanza dettagliata: con questa manovra Monti consegna ai successori un pacchetto di misure laceranti, considerato che soltanto per la spending review andranno trovati altri 18 miliardi da tagliare. E non è che un antipasto.
Questa finanziaria è la sesta «manovra correttiva» in poco più di un anno; due ascrivibili a Berlusconi-Tremonti (anche se la «manovra d’agosto» venne scritta sotto dettatura, grazie alla famosa «lettera della Bce»), le altre a Monti & co. Paradossalmente, quest’ultima è la meno invasiva, perché sostanzialmente «rimodula» una parte degli interventi già decisi, per un valore di 13 miliardi ma con un saldo attivo di circa 5.
L’effetto totale delle sei «svolte» supera ormai i 120 miliardi, circa l’8% del prodotto interno lordo (Pil). Se non è economia di guerra, certo ci somiglia molto. È noto che i liberisti antisociali come Monti non amano affatto Keynes, ma sembrano aver decisamente sottovalutato l’effetto «demoltiplicatore» della propria azione: tagliando la spesa pubblica, in altri termini, si riduce più che in proporzione il sostegno alla «crescita». Per il momento, parliamo del 2012, la caduta del Pil sembra consensualmente calcolata nel -2,4%. Per l’anno successivo, invece, le stime divergono radicalmente. Il governo spera in un impercettibile -0,2% (con un virata in positivo a fine anno che giustificherebbe l’espressione «vedo la luce in fondo al tunnel», pronunciata da Monti oltre un mese fa); il Fondo monetario internazionale dà invece per scontato almeno il -0,7, ma avverte che se non interverranno «segnali di controtendenza» – nell’economia globale e nella dinamica interna italiana – si potrebbe sorpassare facilmente l’1%. Gli analisti del sindacato, invece, conteggiano «prudenzialmente» un -2,3/-2,5% come effetto delle stesse «riforme» sanguinose dell’esecutivo.
E segnalano che persino i documenti del governo (nel passaggio tra il Def estivo e l’attuale finanziaria) registrano incoerenze difficilmente spiegabili. Per esempio, la legge in discussione riduce l’atteso aumento dell’indebitamento (dall’1,8 all’1,6%), così come una diminuzione dell’avanzo primario (dal 4 al 3%). Eppure in tutti i provvedimenti fin qui succedutisi c’è sempre un «saldo attivo». Come mai?
L’ipotesi più logica è che l’esecutivo sappia bene di aver prodotto «manovre» con un impatto sul paese ben più invalidante di quello ammesso. Il contenimento della spesa pubblica, in altri termini, inciderà a regime così in profondità nel tessuto produttivo e nella «propensione al consumo» da costringere ad accantonare un «tesoretto» utilizzabile sia per alleviare – eventualmente – le condizioni di vita di alcuni settori sociali tosati oltre misura (a oggi: 100 milioni per «finanziare misure di assistenza sociale», come se il welfare fosse ormai un ricordo) oppure per tamponare «buchi» che si possono aprire per effetto delle manovre. È infatto ovvio che se il Pil continua a scendere, il rapporto tra debito pubblico e Pil può solo crescere, perché le entrate fiscali tendono necessariamente a diminuire, anche se aumenta la percentuale del prelievo. E infatti le stime sulle entrate fiscali dirette segnano, per il 2012, ancora un aumento; ma dall’anno prossimo cominciano a cadere. Mentre quelle indirette crescono continuamente nel tempo. Un capitolo a parte riguarda i dipendenti pubblici e le spese di ministeri ed enti, su cui sarà necessario tornare nei prossimi giorni.
Non ci sono comunque solo i tagli, ma anche le spese. Molto se va in infrastrutture (ma il grosso è in manutenzione), come la Tav in Val Susa o al Brennero. Tra i cadeau, sono già stati sbertucciati i 223 milioni per le scuole private mentre si toglie un altro miliardo a quelle pubbliche e si vuole – per «risparmiare» – portare le ore di insegnamento «frontale» da 18 a 24 ore settimanali. Tra le pieghe delle clientele «liberali», però, spuntano anche altri 10 milioni per i fedeli ultras liberisti di Radio Radicale.
Nell’insieme, comunque, gli «obiettivi generali» fissati con la Ue per avvicinare il pareggio di bilancio nel 2013 sembrano abbastanza abbordabili. Ma nessuno – tantomeno il governo in carica – ha fatto un calcolo sulle conseguenze degli obblighi connessi al Fiscal Compact, che comportano una riduzione del debito del 3% annuo per i prossimi 20 anni. Tradotto in denaro corrente, parliamo di tagli alla spesa per oltre 40 miliardi l’anno.
Un problema che dovrà porsi il Parlamento che uscirà fuori dalle elezioni di aprile e che, a occhio, si dovrà muovere dentro un solco sanguinoso già tracciato da qui all’eternità. Si chiama «governance», con linguaggio non a caso aziendale per indica un potere «tecnico» inconfutabile, e non più «governo» (che implica trattative e mediazioni sociali). Se il buon giorno si vede dal mattino…
Da uno degli uffici studi della Cgil, per esempio, arriva una segnalazione abbastanza dettagliata: con questa manovra Monti consegna ai successori un pacchetto di misure laceranti, considerato che soltanto per la spending review andranno trovati altri 18 miliardi da tagliare. E non è che un antipasto.
Questa finanziaria è la sesta «manovra correttiva» in poco più di un anno; due ascrivibili a Berlusconi-Tremonti (anche se la «manovra d’agosto» venne scritta sotto dettatura, grazie alla famosa «lettera della Bce»), le altre a Monti & co. Paradossalmente, quest’ultima è la meno invasiva, perché sostanzialmente «rimodula» una parte degli interventi già decisi, per un valore di 13 miliardi ma con un saldo attivo di circa 5.
L’effetto totale delle sei «svolte» supera ormai i 120 miliardi, circa l’8% del prodotto interno lordo (Pil). Se non è economia di guerra, certo ci somiglia molto. È noto che i liberisti antisociali come Monti non amano affatto Keynes, ma sembrano aver decisamente sottovalutato l’effetto «demoltiplicatore» della propria azione: tagliando la spesa pubblica, in altri termini, si riduce più che in proporzione il sostegno alla «crescita». Per il momento, parliamo del 2012, la caduta del Pil sembra consensualmente calcolata nel -2,4%. Per l’anno successivo, invece, le stime divergono radicalmente. Il governo spera in un impercettibile -0,2% (con un virata in positivo a fine anno che giustificherebbe l’espressione «vedo la luce in fondo al tunnel», pronunciata da Monti oltre un mese fa); il Fondo monetario internazionale dà invece per scontato almeno il -0,7, ma avverte che se non interverranno «segnali di controtendenza» – nell’economia globale e nella dinamica interna italiana – si potrebbe sorpassare facilmente l’1%. Gli analisti del sindacato, invece, conteggiano «prudenzialmente» un -2,3/-2,5% come effetto delle stesse «riforme» sanguinose dell’esecutivo.
E segnalano che persino i documenti del governo (nel passaggio tra il Def estivo e l’attuale finanziaria) registrano incoerenze difficilmente spiegabili. Per esempio, la legge in discussione riduce l’atteso aumento dell’indebitamento (dall’1,8 all’1,6%), così come una diminuzione dell’avanzo primario (dal 4 al 3%). Eppure in tutti i provvedimenti fin qui succedutisi c’è sempre un «saldo attivo». Come mai?
L’ipotesi più logica è che l’esecutivo sappia bene di aver prodotto «manovre» con un impatto sul paese ben più invalidante di quello ammesso. Il contenimento della spesa pubblica, in altri termini, inciderà a regime così in profondità nel tessuto produttivo e nella «propensione al consumo» da costringere ad accantonare un «tesoretto» utilizzabile sia per alleviare – eventualmente – le condizioni di vita di alcuni settori sociali tosati oltre misura (a oggi: 100 milioni per «finanziare misure di assistenza sociale», come se il welfare fosse ormai un ricordo) oppure per tamponare «buchi» che si possono aprire per effetto delle manovre. È infatto ovvio che se il Pil continua a scendere, il rapporto tra debito pubblico e Pil può solo crescere, perché le entrate fiscali tendono necessariamente a diminuire, anche se aumenta la percentuale del prelievo. E infatti le stime sulle entrate fiscali dirette segnano, per il 2012, ancora un aumento; ma dall’anno prossimo cominciano a cadere. Mentre quelle indirette crescono continuamente nel tempo. Un capitolo a parte riguarda i dipendenti pubblici e le spese di ministeri ed enti, su cui sarà necessario tornare nei prossimi giorni.
Non ci sono comunque solo i tagli, ma anche le spese. Molto se va in infrastrutture (ma il grosso è in manutenzione), come la Tav in Val Susa o al Brennero. Tra i cadeau, sono già stati sbertucciati i 223 milioni per le scuole private mentre si toglie un altro miliardo a quelle pubbliche e si vuole – per «risparmiare» – portare le ore di insegnamento «frontale» da 18 a 24 ore settimanali. Tra le pieghe delle clientele «liberali», però, spuntano anche altri 10 milioni per i fedeli ultras liberisti di Radio Radicale.
Nell’insieme, comunque, gli «obiettivi generali» fissati con la Ue per avvicinare il pareggio di bilancio nel 2013 sembrano abbastanza abbordabili. Ma nessuno – tantomeno il governo in carica – ha fatto un calcolo sulle conseguenze degli obblighi connessi al Fiscal Compact, che comportano una riduzione del debito del 3% annuo per i prossimi 20 anni. Tradotto in denaro corrente, parliamo di tagli alla spesa per oltre 40 miliardi l’anno.
Un problema che dovrà porsi il Parlamento che uscirà fuori dalle elezioni di aprile e che, a occhio, si dovrà muovere dentro un solco sanguinoso già tracciato da qui all’eternità. Si chiama «governance», con linguaggio non a caso aziendale per indica un potere «tecnico» inconfutabile, e non più «governo» (che implica trattative e mediazioni sociali). Se il buon giorno si vede dal mattino…
da “il manifesto”
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