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La spaventata malinconia che affligge il paese. E se diventasse rabbia?

Gli abitanti di questo paese non avrebbero doglianze o domande sociali, ma sarebbero solo “malinconici e spaventati” dagli avvenimenti internazionali che possono da un momento all’altro compromettere presente e futuro. Sono poco disposti a farsi influenzare dagli influencer e dall’ostentazione della ricchezza, ma allo stesso tempo indignati dallo sfoggio di denaro e dalle diseguaglianze economiche ostentate nella vita e sui social.

E’ questa la sintesi avanzata dal 56° Rapporto Censis che, secondo i curatori, fotografa un Paese “entrato nel ciclo del post-populismo”. Dal rapporto emerge che nel 2021 le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta nel nostro Paese sono salite a più di 1,9 milioni, il 7,5% del totale.

In tutto 5,6 milioni di persone, pari al 9,4% della popolazione: 1 milione in più rispetto al 2019. Si tratta di individui impossibilitati ad acquistare un paniere di beni e servizi giudicati essenziali per uno standard di vita accettabile. Di questi, il 44,1% risiede nel Sud e nelle isole.

Ma fin qui parliamo della povertà assoluta. Interessante invece un analisi delle dimensioni dalla “povertà relativa”, un dato sempre poco esaminato e che morde quei settori crescenti di lavoratrici e lavoratori che pur avendo un impiego hanno retribuzioni talmente basse da inchiodarli al di sotto o appena al di sopra della soglia di povertà (il 70 del reddito medio del paese).

Tanto è vero che quando viene preso in considerazione questo fattore il Censis rileva che gli individui soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale, che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro o a rischio di povertà, o in condizioni di grave deprivazione, salgono al 25,4% della popolazione, ovvero oltre uno su quattro.

Oggi in Italia nel settore privato si contano oltre quattro milioni di lavoratori che non raggiungono una retribuzione annua di 12.000 euro; di questi, 412.000 hanno addirittura un contratto a tempo indeterminato e un orario di lavoro a tempo pieno. Il lavoro dipendente dunque non mette più al riparo del pericolo della povertà.

Il rapporto Censis fotografa le conseguenze di una drammatica sequenza di eventi di portata mondiale: prima la pandemia di Covid, poi la guerra in Ucraina, infine l’inflazione in crescita e la crisi energetica. Un micidiale combinato disposto che va a sommarsi alle vulnerabilità già esistenti da anni e che determina negli italiani “una rinnovata domanda di prospettive certe di benessere” ma anche “istanze di equità non più liquidabili come aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico“.

Siccome non sono leggibili “improvvise fiammate”, o “intense manifestazioni collettive come scioperi, manifestazioni e cortei”, l’atteggiamento della società declinerebbe verso la “malinconia”, e a comprovarlo viene rilevato il dato record dell’astensione elettorale. Il Censis liquida il tutto come post-populismo. Noi lo definiamo invece come crisi della rappresentanza per quote crescenti della popolazione.

Ben nove italiani su dieci – ‘89,7% – dichiara di provare “tristezza”, e il 54,1% ha la forte tentazione di restare passivo. Il 92,7% degli italiani è convinto che la corsa dei prezzi durerà a lungo, il 76,4% pensa che le entrate familiari nel prossimo anno non aumenteranno, quasi il 70% pensa, al contrario, che il proprio tenore di vita peggiorerà.

Diventano quindi “socialmente insopportabili” le forbici economiche: il gap tra i salari dei manager e quelli dei dipendenti (odioso per l’87,8%), le buonuscite milionarie dei ‘top’ (86,6%) ma anche gli eccessi, i jet privati e le auto costose. L’81,5% non tollera gli “immeritati guadagni” degli influencer.

Per il Censis c’è dunque un ripiegamento in sè: “Una filosofia molto semplice – annota il Rapporto – ‘lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi'”. Una tentazione alla “passività” che si riscontra nel 54,1% degli italiani.

Ma, nel complesso, 4 su 5 “non hanno voglia di fare sacrifici per cambiare”: l’83,2% non vuole più sacrificarsi per seguire gli influencer (ancora loro), l’81,5% per vestire alla moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio, ed è attorno al 60% la percentuale di chi non smania per sentirsi più giovane o attraente. Si frena anche al lavoro: al 36,4% non interessa più sacrificarsi per far carriera o guadagnare di più.

Crescono poi nuove paure come quelle dl l’84,5% degli italiani, in particolare i giovani e i laureati, i quali ritengono che eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite; il 61% teme che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, il 59% la bomba atomica, il 58% che l’Italia stessa entri in guerra.

Il Censis rileva inoltre una tendenza all’invecchiamento e all’impoverimento del paese: gli over 65 sono il 23,8%, +60% rispetto a trent’anni fa, e tra vent’anni si calcola che saranno il 33,7%. Il trend si riflette sulla scuola, ma anche sulla sanità.

Si calcola che tra 20 anni tra i banchi potrebbero sedere 1,7 milioni di giovani in meno, con uno ‘tsunami demografico’ che investirà in primo luogo la primaria e la secondaria di primo grado: i 6-13enni, già nel 2032, potrebbero essere quasi 900mila in meno rispetto a oggi. E anche le immatricolazioni all’Università sono date in contrazione forte tra il 2032 e il 2042.

Intanto i Neet – chi non studia né lavora – in Italia sono i più numerosi d’Europa: il 23,1% dei 15-29enni, che al Sud salgono al 32,2%. Mediamente nei Paesi dell’Unione europea la quota di 25-34enni con il diploma è pari all’85,2%, in Italia siamo al 76,8% che scende al 71,2% nel Mezzogiorno. È inferiore alla media europea anche la percentuale di 30-34enni laureati: il 26,8% in Italia e il 20,7% al Sud, contro una media Ue del 41,6%.

Ma a invecchiare è anche il personale sanitario: l’età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, tra gli infermieri è di 47,3 anni. Si stima che nel 2022-2027 i pensionamenti tra i medici saranno 29.331 e 21.050 tra gli infermieri. Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti è passato da 19,1 a 17,3 per 10mila abitanti, mentre quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 per 10mila.

Il quadro sociale descritto dal Censis è dunque quello di una sofferenza sociale estesa e crescente nel paese, una sofferenza che i sociologi liquidano come “malinconia e paura” ma che invece richiede identità e piattaforme riconoscibili per rovesciarla addosso ai volenterosi responsabili dell’impoverimento, della de-alfabetizzazione e del crollo degli standard sociali.

Il conflitto sociale come strumento di emancipazione complessiva di una società è stato talmente demonizzato e criminalizzato che quando le domande di giustizia crescono esponenzialmente – tranne rare eccezioni come quelle che saranno oggi in piazza a Roma – trovano un deserto politico a rappresentarle.

La foto è di Patrizia Cortellessa

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2 Commenti


  • Pasquale

    Da molto tempo ormai, la classe politica italiana è sorda alle istanze della popolazione. La pazienza è la mangiatoia dei potenti dice Marx. E allora che la tristezza e la malinconia si trasformino in rabbia contro il potere e lascino il posto a un nuovo e intelligente conflitto sociale. Per i diritti, per il lavoro quello vero e per un mondo migliore.


  • Mario

    “Basta cominciare a non accettare il proprio stato presente e chissamai dove s’arriva”. (Italo Calvino)

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