Se ogni volta che c’è da stringere la cinghia sul piano sociale i governi italiani si rifugiano dietro la scusa che “Ce lo chiede l’Europa”, sul piano delle spese militari è già pronto un altro schermo di copertura: “Ce lo chiede la Nato”. Questo è quanto si desume dalla lamentazione del ministro della Difesa Crosetto che oggi campeggia su molte agenzie. La gabbia del vincolo esterno – Ue e Nato – continua dunque a ipotecare sia lo sviluppo economico che la politica estera del nostro paese.
In sede Nato infatti è ormai convinzione che quella in Ucraina sarà una guerra di logoramento e che per vincerla servono più armi, e non solo all’Ucraina ma anche agli Stati occidentali che devono ricostituire le scorte che vanno esaurendosi ed alzare i propri standard di combattimento. La Nato chiede agli alleati di produrre più armamenti e di spendere di più per la Difesa, la famosa soglia del 2% non è più l’obiettivo da raggiungere ma è il punto di partenza per spendere di più nel riarmo.
In Europa ci sono già diversi Stati, a partire da Germania e Polonia, che hanno decretato che il 2% non è più una soglia sufficiente per affrontare la Russia.
Il presidente polacco, Andrzej Duda, ha annunciato che da quest’anno “la spesa militare sarà oltre il 4% del Pil”, mentre il ministro della difesa tedesco, Boris Pistorius, ha confermato che “spendere il 2% non basterà” per rispondere alle esigenze attuali.
L’Italia, fino ad oggi si è trincerata dietro la difficoltà dei limiti imposti dalle regole di bilancio dell’Unione europea. Ma la riunione dei ministri della Difesa della NATO di mercoledi a Bruxelles, si è conclusa ponendo il problema sul tavolo e lasciando la questione aperta per essere affrontata a livello di capi di stato al summit di luglio a Vilnius, in Lituania.
“L’Ucraina consuma più munizioni di quanto i Paesi della Nato riescano a produrre. I tempi di attesa sono passati da 12 a 28 mesi”, ha tuonato il segretario della Nato Stoltemberg. “Gli alleati concordano sulla necessità di lavorare fianco a fianco con l’industria della difesa per aumentare la nostra capacità industriale. Siamo pronti e stiamo rivedendo gli obiettivi di capacità della Nato per le scorte di munizioni. E accolgo con favore gli importanti progetti multinazionali concordati oggi”, ha confermato Stoltemberg. Tra questi vi è “un progetto sul deposito di munizioni, che sosterrà il preposizionamento e lo stoccaggio”.
“Gli Stati Uniti, la Francia hanno firmato contratti ma anche altri alleati – Germania, Norvegia – e ce ne sono anche altri che hanno già firmato contratti con l’industria della Difesa, il che significa che la produzione sta ora accelerando. E ciò sta fa una grande differenza. In parte è possibile aumentare la produzione dalle fabbriche esistenti ma ovviamente è necessario anche fare investimenti che richiederanno più tempo”, ha evidenziato Stoltenberg. Ovviamente non può esserci aumento di produzione senza un aumento di ordini e di conseguenza un aumento della spesa militare.
“Abbiamo bisogno dell’immediato impegno a spendere almeno il 2% del Pil. Ovviamente si tratta del minimo, basta guardare alle necessità di munizioni, difesa aerea, addestramento, disponibilità o capacità elevate”, ha chiarito Stoltenberg. “Intanto va stabilito che il 2% è il minimo, non il massimo da raggiungere. Diversi Paesi già spendono di più”.
Il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha posto la questione in sede Nato, ma ha parlato a suocera affinchè nuora intenda. “Se l’impegno che pretendono molti alleati Nato è quello di raggiungere cifre del 3-4%, alcune nazioni sono già al 4%, io ho parlato di una difficoltà in Italia già di raggiungere l’obiettivo che ci siamo dati, e che tutti i Governi hanno dichiarato di voler raggiungere, del 2%. Perché bisogna essere seri e non si può venire qui e raccontare cose diverse. Quindi ho raccontato quali problematiche italiane di collegare quel 2% al bilancio che il Paese deve approvare ogni anno e alle regole che l’Europa impone collegate a quel bilancio”, ha evidenziato Crosetto.
Secondo l’Osservatorio Milex, le spese militari in Italia sono già passate dai 25,7 miliardi del 2022 ai 26,5 miliardi previsti per il 2023. Ma con questi chiari di luna temiamo che tale cifra verrà assai più rimpolpata utilizzando il pretesto della guerra in Ucraina, dell’invio delle armi e delle scorte da rimpinguare.
Siamo disposti a scommettere che il ministro della Difesa, espressione dell’industria militare italiana, comincerà ben presto a battere cassa per avere a disposizione ancora più fondi di quelli che l’Italia già spende per le spese militari. Sono già pronte le slide tese a dimostrare come il capitolo Difesa e il complesso militare-industriale facciano un bene dell’anima all’economia e al sistema produttivo alle prese con la crisi dei mercati e delle forniture.
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