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Un sondaggio sulla guerra in Ucraina mostra un mondo multipolare

È storicamente comprovato che quando un paese è in guerra, la stampa di regime non possa che sostenere in ogni modo lo sforzo bellico. Il fronte interno deve essere mantenuto entusiasticamente favorevole e subire gli effetti di un’economia sempre più indirizzata alla guerra. L’Italia non fa eccezione.

Eppure, sin dall’entrata in guerra diretta della Russia nel conflitto ucraino, che ricordiamo infuria da 9 anni, è stato difficile per i pennivendoli nostrani nascondere che l’opinione pubblica italiana ha una visione fortemente contraria al coinvolgimento nella guerra. Anche un recente sondaggio dello European Council on Foreign Relations, un think tank con sede a Londra, conferma questa tendenza.

Le interviste sono avvenute tra dicembre 2022 e gennaio 2023, in nove paesi UE e in Regno Unito, Cina, India, Turchia, Russia, USA. Il campione scelto è decisamente significativo, e i risultati riflettono lo sviluppo progressivo di un mondo multipolare, tra le pieghe della crisi economica e politica occidentale e la perdita di credibilità dei “gendarmi del mondo” statunitensi, dopo la disastrosa fuga dall’Afghanistan.

I dati mostrano che alle nostre latitudini la sensazione di avere la guerra in casa e la propaganda martellante sono riuscite a rinsaldare il Blocco Euroatlantico, nascondendo che dietro il sostegno all’Ucraina vi è lo scontro per mantenere l’egemonia, all’interno e all’esterno dell’Occidente.

Il 71% negli USA, il 77% in UK e il 65% nella UE vedono la Russia come un rivale o un avversario. Le percentuali in pratica si ribaltano se guardiamo all’India, alla Cina e alla Turchia: la Russia è considerato un alleato o un partner strategico necessario rispettivamente dall’80%, dal 79% e dal 69% degli intervistati.

Il caso turco rivela che nell’alleanza atlantica non sono tutte rose e fiori, soprattutto di fronte alle mire di potenza regionale e determinante degli equilibri del Medio Oriente a cui aspira Ankara. Del resto, è anche molto interessante notare come nei paesi occidentali sia larga la percentuale di chi “non sa” – tra il 16 e il 20% –.

Bisogna dire che la maggioranza relativa di chi è stato interpellato nei paesi del nostro blocco rimane a favore di una continuazione della guerra fino al ripristino dei confini ucraini ante-2014 (anche se “più ucraini vengono uccisi o sfollati” recita la domanda, per ricordarci che portiamo avanti una guerra per procura).

Ma nella UE non c’è una grande distanza tra la percentuale di chi la pensa così – il 38% – e di chi pensa che il conflitto deve finire subito, anche con concessioni territoriali alla Russia – il 30% –. L’Italia, poi, è un’anomalia: il 41% vuole far finire la guerra il prima possibile, e solo il 26% sostiene di continuare il conflitto, ovviamente sulla pelle altrui.

Il sondaggio diventa ancora più interessante quando si riportano le risposte intorno alle motivazioni della guerra. Negli Stati Uniti sembra esser passato il messaggio che il sostegno all’Ucraina è in difesa della democrazia contro il “dispotismo asiatico”, mentre in Europa quasi la metà degli intervistati pensa che sia per ragioni di sicurezza (la guerra è concretamente ai propri confini).

Se si getta uno sguardo oltre l’Occidente, non solo crescono le percentuali di chi crede che gli euroatlantici portino avanti la guerra per difendere la loro egemonia, ma anche che USA e UE non incarnino davvero un modello democratico.

In Cina e in India la maggioranza assoluta delle persone crede che la propria sia una vera democrazia, in Turchia e in Russia le opzioni offerte ricevono una distribuzione di preferenze più equilibrate, ma comunque fortemente sbilanciata sull’apprezzamento del proprio paese.

Infine, in Cina, India, Turchia e Russia l’opinione prevalente è che da qui a dieci anni il Blocco Euroatlantico rappresenti solo uno dei vari poli nel confronto globale. In Occidente, invece, oltre un quarto degli intervistati pensa al ritorno a una dinamica di scontro tra due blocchi, guidati da USA e Cina.

Le conclusioni che gli autori traggono sono molto esplicative. “L’Occidente può essere più consolidato ora, ma non è necessariamente più influente nella politica globale. Il paradosso è che questa ritrovata unità coincide con l’emergere di un mondo post-occidentale”.

“L’Occidente non si è disintegrato, ma il suo consolidamento è arrivato in un momento in cui le altre potenze non si limitano a fare ciò che desidera. […] A nostro avviso, l’Occidente farebbe bene a trattare India, Turchia, Brasile e altre potenze comparabili come nuovi soggetti sovrani della storia mondiale piuttosto che come oggetti da trascinare nella parte giusta della storia”.

“Questi paesi non rappresentano un nuovo terzo blocco o polo nella politica internazionale. Non condividono un’ideologia comune tra di loro. In effetti, spesso hanno interessi divergenti o in competizione. Sanno di non avere l’influenza globale degli Stati Uniti o della Cina. Ma non si accontentano certo di adeguarsi ai capricci e ai piani delle superpotenze”.

Il mondo multipolare e multicentrico è una realtà sempre più concreta. L’opinione pubblica del nostro paese più riottosa rispetto a una guerra portata avanti solo con lo scopo di mantenere la posizione di privilegio delle élite occidentali è un’opportunità per sganciarsi da un modello in crisi, e per di più indirizzato alla guerra.

Bisogna continuare a consolidare un blocco sociale intorno alla contrarietà alla guerra, e costruire una rappresentanza politica che sia in grado di difendere gli interessi generali di questo blocco sociale. La manifestazione contro la guerra a Genova sarà un altro passaggio importante di questo lavoro continuo a cui siamo chiamati per non cadere definitivamente nella barbarie.

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