Menu

Gli amici “di sinistra” dei Nar sulla strage di Bologna

A proposito di chi omette, falsifica e non la racconta giusta

Prosegue l’infaticabile opera di santificazione della menzogna e della calunnia da parte di Andrea Colombo. Ormai da oltre un decennio due dei tre condannati per la strage alla stazione di Bologna, che all’epoca dei fatti appartenevano ai Nar, si difendono accusando. Non lavorano più sui limiti dell’inchiesta, le lacune e le contraddizioni, cercano semplicemente di mettere al loro posto qualcun altro.

Vanno a caccia di responsabili di sostituzione, persone che li sostituiscano sul banco dei colpevoli. Così facendo hanno mietuto una lunga serie di nuove vittime innocenti della calunnia e dell’infamia (tralascio qui la lista su cui mi è capitato di scrivere a lungo in passato), capri espiatori sacrificati sull’altare della loro ragione difensiva che evidentemente si pone al di là del bene e del male, oltre ogni etica, sorta di ragion dello stato personale, stato di necessità, mors tua vita mea.

E Colombo da bravo “militante” se ne fa servile portavoce, fazioso amplificatore.

Ebbene, da diverso tempo si è detto che nelle informative del capocentro Sismi a Beirut, Stefano Giovannone, si celava la prova provata, intangibile, accertata, sicura – e per questo coperta prima dal segreto di Stato, posto nel 1984, poi dai vincoli di segretezza amministrativi – la verità sulle stragi del 1980, per taluni su Ustica per altri su Bologna.

Perché su Bologna? Perché le carte trattavano la vicenda del sequestro di due lanciamissili inerti, senza razzi per intenderci, che tre autonomi romani avevano portato ad Ortona in modo rocambolesco.

Solo il racconto del loro viaggio, di come vennero avvertiti nel pieno di un’assemblea pubblica sui 61 licenziati alla Fiat, alle 21 passate di sera, della partenza arrangiata (uno dei tre dimentica persino i documenti), dell’arrivo nel pieno della notte nella piazza centrale di Ortona dove al mattino c’era stata una rapina, del metronotte che li avvicina e chiede cosa facessero, delle risposte improbabili che fornirono, dell’arrivo dei carabinieri che in un primo momento nulla trovarono, del passaggio in caserma dove attesero liberi di spostarsi per diverse ore perché i collegamenti radio con la centrale erano saltati, fino alla nuova perquisizione del mezzo e alla scoperta della cassa con i lanciamissili, la perquisizione personale, il numero del palestinese Saleh rimasto inavvertitamente dietro un foglio della previdenza sociale di cui non si erano liberati come avevan fatto con il resto delle agendine e il successivo arresto… basterebbe per scrivere un romanzo picaresco.

Il tutto accadde nell’Italia di fine 1979, quando l’offensiva dei gruppi armati di sinistra era più intensa che mai e lo Stato iniziava a dare risposte forti come il rastrellamento del 7 aprile, il teorema Calogero.

La notizia della cattura dei tre autonomi non sfugge a Dalla Chiesa, la vicenda è ghiotta e foriera di possibili sviluppi per incastrare i romani di via dei Volsci, rimasti fuori dalla retata di aprile, e più in generale poteva confermare antichi pregiudizi sul “sostegno straniero” alla guerriglia interna. I giornali ipotizzano scenari di mega-attentati al presidente del Consiglio o della Repubblica.

Tutto parte da qui. Giovannone sa che le cose stanno in un altro modo, che c’era un accordo (il Lodo) segreto varato nel 1973 ma la cui gestazione risale a diversi anni prima, oggetto anche di un sabotaggio come l’attentato di Fiumicino a fine 1973 (Lomellini). Accordo che prevedeva la “neutralizzazione” del territorio italiano da parte dell’Olp e del Fplp, ma non con le branche dissidenti difficili da controllare, senza interlocutori chiari, manovrate da libici e iracheni.

Giovannone si attiva presso i suoi contatti a Beirut. Li incalza, li interroga, li pressa. Vuole la verità che lentamente viene fuori e lui la racconta nei cablogrammi che invia a Roma, al suo superiore Sportelli. Cerca poi una soluzione che inevitabilmente arriva dopo la condanna per direttissima in primo grado dovuta alla “legge Reale”, prima legge speciale varata in quegli anni.

Per Colombo tutto ciò è scandaloso, ci accusa di difendere il Lodo. In verità nella nostra inchiesta (mia e di Paolo Morando) non affrontiamo in profondità questo aspetto, salvo riconoscere di sfuggita l’indubbia efficacia del Lodo: che l’Italia non abbia subito attentati palestinesi per 7 anni, mentre nel frattempo per quattro volte i Servizi israeliani hanno colpito esponenti palestinesi in territorio italiano senza che vi sia stata una rappresaglia, è un dato di fatto incontrovertibile.

Come il fatto che quelli realizzati dal gruppo di Abu Nidal, nemico dell’Olp, negli anni successivi non hanno inficiato l’impegno sempre mantenuto dall’OLP e Fplp, fatta salva l’unica vicenda dell’Achille Lauro.

Ma il giudizio politico, storico e morale sulla efficacia, legittimità e moralità del Lodo, non riguardava la nostra inchiesta (sul tema rinvio ai lavori della Lomellini).

Torniamo alle informative: i palestinesi chiedono inizialmente l’anticipazione del processo d’appello, poi rinunciano consapevoli delle ripercussioni negative dovute alle dichiarazioni del pentito Peci, arrestato nel febbraio 80. Pretendono un rinvio ma contrariamente alle aspettative la corte d’appello anticipa il processo che in precedenza era previsto per dopo l’estate. E’ il primo momento di crisi. Ce ne saranno due.

Questa parte appena accennata nella sintesi apparsa su Domani e non affrontata ancora nella prima puntata apparsa su Insorgenze viene sviluppata accuratamente nella seconda puntata mettendola in correlazione con le tappe della vicenda giudiziaria che nessuno prima di noi ha mai affrontato.

La questione in ogni caso si risolve il 2 luglio perché in quella data c’è il primo rinvio del processo d’appello, a cui ne seguiranno altri e perché quel rinvio era frutto di una exit strategy concordata con la difesa, la magistratura e il governo, per giungere alla scadenza dei termini di custodia cautelare del palestinese Saleh e poi al processo d’appello ad una riduzione delle condanne per tutti gli imputati.

Non anticipo altro. Sottolineo come le informative e gli appunti che si sviluppano seguono di pari passo le scadenze giudiziarie, vi è una intrinseca coerenza. Non è questione di “credere” o meno alle informative, ma di verificare se queste abbiano un riscontro che noi abbiamo trovato e dimostrato, segnalando anche alcune criticità.

Quanto alla allarmata informativa del 1981, che incidentalmente conferma come l’accordo fino a quel punto non era stato violato, e di per sé è già sufficiente ad escludere ogni legame con Ustica e Bologna (la si potrebbe già chiudere qui), essa nasce dalla seconda crisi, molto breve rispetto alla prima.

Non voglio anticipare troppo, troverete tutto spiegato nella seconda puntata, ma si tratta di un problema legato alla mancata concessione, in prima battuta, della scarcerazione per decorrenza a Saleh sulla base di una conflitto di interpretazione giurisprudenziale tra la Corte d’appello e la difesa. Il caso verrà rapidamente risolto dalla cassazione che darà ragione alla difesa (dietro c’era l’intercessione del governo e di Giovannone).

Se Colombo avesse letto le carte si sarebbe risparmiato questa obiezione, si è fidato troppo di alcuni riassuntini colpevolmente incompleti, selezioni mirate che omettevano tutto ciò che metteva in difficoltà il teorema della pista palestinese, apparsi sulla stampa. Nessuno ha descritto fino ad oggi nella sua completezza quel carteggio.

Queste carte non ci dicono chi ha fatto la strage ma chi non l’ha fatta. Sicuramente non l’hanno fatta o ordinata esponenti dell’Olp e del Fplp.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *