Quest’anno l’avvicinarsi del 25 aprile ha visto una serie di proposte che rimettono al centro del dibattito politico la necessità di fermare la guerra ed ottenere la pace in un paese che, nostro malgrado, ci vede co-belligeranti nel conflitto ucraino e parte di un mondo sempre più attraversato da pericolose linee di faglia.
Allo stesso tempo vanno affermandosi attorno ai giorni dell’anniversario dalla liberazione del nazi-fascismo, ed oltre, mobilitazioni importanti in diverse città che si caratterizzano per parole d’ordine chiare sugli stessi temi.
La pace anche quest’anno diventa un terreno di battaglia per chi affronterà in termini non solo celebrativi e commemorativi il 25 aprile, mentre il vecchio slogan “Pane, Pace e Lavoro” torna di attualità nell’avvicinarsi del Primo Maggio.
Per ciò che concerne le prime, è doveroso citare l’appello “Fermare la Guerra, imporre la pace” di cui siamo sostenitori come giornale; l’appello “contrario all’invio di armi in Ucraina per dar vita ad una staffetta dell’umanità da Aosta a Lampedusa” che ha tra i suoi principali promotori Michele Santoro, e la raccolta delle firme dei comitati referendari “Ripudia la guerra”, che ha tra i suoi artefici Ugo Mattei.
Tre iniziative differenti che dovranno trovare una necessaria interlocuzione e che testimoniano come il campo della pace, nonostante il pressoché totale disinteresse dei media mainstream, sia piuttosto affollato, e confermano come sia difficile individuare il bandolo della matassa nella non vivacissima situazione politico-sociale.
Un campo in cui è difficile che un solo soggetto sia capace – per ora – di giungere ad una sintesi più avanzata, ma in cui è necessario che tutti e tutte siano complementari per convergere su un obbiettivo comune, senza velleità egemoniche utili solo ad alimentare la tendenza alla “litigiosità” a cui ci ha purtroppo abituato il ceto politico-intellettuale della sinistra.
Sarà il piano concreto della sperimentazione e della prassi che determinerà o meno la possibilità di fare uscire dall’impasse ciò che si è espresso fin qui come movimento contro la guerra, contro l’invio di armi e contro il pensiero unico atlantista.
É chiaro che per noi alcuni assi di forza sono stati individuati: l’ostinazione dell’attuale Pontefice a porre la questione della pace ad ogni piè sospinto del suo lungo peregrinare, il pragmatismo diplomatico cinese capace di far mutare relazioni geo-politiche che sembravano assolutamente compromesse, e non ultima la neutralità attiva di importanti attori del mondo multipolare, come il Brasile del presidente Lula, ed in generale dei paesi latino-americani con un governo progressista, poco inclini ormai a farsi dettare l’agenda di politica estera dall’asse euro-atlantico.
Allo stesso tempo sappiamo che il movimento contro la guerra ha avuto i suoi picchi quando è stato espressione di forze agglutinatesi attorno alla porzione più avanzata del movimento di classe nel nostro paese, che con l’efficace slogan: “giù le armi, su i salari” ha caratterizzato in particolare tre momenti importanti.
Il primo è stato lo sciopero di operai e studenti “figli della stessa rabbia” il 22 aprile di un anno fa con la manifestazione nazionale a Roma promosso da USB insieme a OSA e Cambiare Rotta; il secondo la manifestazione nazionale del sindacalismo conflittuale e di differenti realtà dell’antagonismo politico sempre a Roma il 3 dicembre scorso; ultimo in ordine di tempo la manifestazione nazionale a Genova il 25 febbraio scorso indetta dal CALP e dall’USB, con il contestuale sciopero di 24 ore in tutti gli scali italiani. Appuntamenti che Potere al Popolo ha promosso con grande convinzione.
In sintesi, per riattivare e dare uno sbocco virtuoso alle iniziative contro la guerra, non si può prescindere dalle dinamiche del mondo multipolare, così come dalle forze vive politiche e sindacali, per così dire “a sinistra del PD” e non piegate alle logiche concertative di CGIL-CISL-UIL. Per dirla in maniera tranchant: la Schlein e Landini sono parte del problema, e non la soluzione.
Strade e piazze sono la verifica migliore per le ipotesi in campo, in grado di dare espressione a quella parte maggioritaria dell’opinione pubblica che è contro l’invio delle armi all’Ucraina e a favore di una soluzione diplomatica.
Per noi sono lo sbocco necessario in cui cercheremo di far vivere l’appello “fermare la guerra, imporre la pace” è tra la nostra gente che capisce molto più delle varie teste d’uovo al soldo dell’establishment la gravità della situazione, con continuità d’iniziativa, nonostante la censura dei media mainstream.
Ai venditori di fumo dei “giornaloni” auguriamo di trovare il coraggio intellettuale di Bertold Brecht in esilio che descrisse la sua condizione forzata di sceneggiatore ad Hollywood:
“Ogni mattino, per guadagnarmi il pane
Vo al mercato dove si comprano menzogne.
Pieno di speranza
Mi metto in fila tra i venditori”
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Giancarlo staffo
L’Antifascismo è tale solo se è contro la guerra e la Nato e quindi senza l’asse connesso guerrlafondaio ed euroliberista Pd-Cgil-Coopl