Una coalizione di forze tra cui Usb, Unione Popolare (Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, Manifesta), Rete Iside hanno depositato, venerdì 19 maggio, due proposte di Legge di iniziativa popolare presso gli uffici della Corte di Cassazione in Piazza Cavour a Roma, aventi ad oggetto “l’Introduzione del Salario Minimo Legale” e “l’Introduzione del reato di Omicidio sul lavoro e lesioni gravi e gravissimi alle lavoratrici e lavoratori”.
I contenuti delle due leggi e la campagna di raccolta firme sulle due proposte di legge di iniziativa popolare sono state presentate agli organi di stampa dai due Comitati promotori all’ingresso della Corte di Cassazione.
L’Italia è stato forse il primo paese europeo ad inserire meccanismi legali dideterminazione delsalario minimo. Ed infatti già nel 1942 l’art. 2099 del codice civile prevedeva che il salario minimo era determinato dalle Corporazioni (che erano istituzioni di diritto pubblico) o “in mancanza …la retribuzione è determinata dal giudice”. E la nostra Carta Costituzionale ha previsto all’art. 36 come “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
In forza di tali norme la Magistratura è intervenuta negli anni a supporto della contrattazione sindacalemaggiormente rappresentativa applicandone i minimi ogni qualvolta differenti accordi collettivi o individuali violassero la sufficienza della retribuzione. Tale sistema ha retto sin quando non è iniziata la stagione delle riforme del mercato del lavoro.
Come è noto, infatti,il principale ostacolo alla produttività delle aziende è rinvenibile nella loro ridotta dimensionee nello scarso capitale immateriale ovverosia nell’eccesso di turn over della forza lavoro che impedisce adeguati programmi di fidelizzazione e formazione.
Ad ogni normativa di frantumazione della catena della produzione (facilitando il ricorso ad appalti e subappalti) e di precarizzazione del lavoro (accorciando così sempre più il tempo di sostituzione dei lavoratori) la produttività è diminuita.
Essa, infatti, è aumentata in vent’anni in Italia del 5% contro il 30% di Francia, Gran Bretagna e Germania, 25% del Portogallo, 15% per cento della Spagna e 13% della Grecia. Le continue controriforme del mercatodel lavoro hanno condotto ad un duplice, ma connesso, esito.
Da un lato tutte le ricerche dicono che l’intensità del lavoro è cresciuta in Italia molto più che negli altri paesi (ad esempio le ore lavorate pro capite in Italia sono oltre il 20% in più di quelle lavorate in America). E dall’altro lato l’Italia è l’unico paese che nell’ultimo ventennio ha visto il valore delle retribuzioni reali scendere mentre, per fare qualche numero, in Lituania gli stipendi hanno segnato +276%, in Estonia + 237%, in Lettonia + 200%, in Germania + 33%. In Francia + 31%, in Grecia + 30% e in Portogallo + 13%.
Malgrado il nostro Paese vanti una copertura dei contratti collettivi moltoalta, ci sono milioni di persone che pur lavorando sono povere; dai dati Inps relativial 2019 emerge che oltre 4 milioni di lavoratori percepiscono un salario lordo orarioinferiore ai 9 euro e oltre 2 milioni non superano gli 8 euro lordi l’ora giungendosi a retribuzioni inferiori a ai 6 euro.
Una retribuzione mensile quindi che non garantisce una vita dignitosa, neppure a chi lavora atempo pieno e indeterminato. E’evidente quindi che la contrattazione nazionale, compresaquella sottoscritta dalle organizzazioni sindacali comparativamente piùrappresentative, non riesce da sola a garantire il precetto dell’art.36 Cost. per cui unintervento legislativo sul salario minimo a sostegno e non in sostituzione delcontratto nazionale diventa ineludibile.
Ed infatti la media dei salari italiani nel 2021 era di € 29.440 contro la media dell’eurozona di 37.382 €, la media francese di 40.170 e quella tedesca di 44.468 (sia in Francia che in Germania coesistono entrambi gli strumenti di determinazione del salario, quello contrattuale e quello legale).
Nel nostro paese i nati dopo il 1986 hanno il reddito pro-capite più basso della storia italiana, e ciò ha per altro creato una voragine negli istituti di welfare pubblici e depresso i consumi con ulteriore peggioramento del quadro macroeconomico del paese.
L’intervento legislativo che qui si propone tiene conto della importanza della contrattazione, ma anche dei suoi limiti, individuando nel contratto nazionale economicamente più vantaggioso, il contratto applicabile e corrispondente al dettato dell’articolo 36 della Costituzione, il cui importo economico complessivo rappresenta il trattamento minimo, quale parametro esterno di riferimento per la presente legge. Si prevede inoltre un importo minimo orario, un valore “pavimento” sotto il quale i contratti nazionali applicati e individuati con il criterio di miglior favore, non possono scendere.
All’art. 1 si precisa come tale importo, tenendo conto dei parametri internazionali richiamati anche dalla Direttiva europea sul salario minimo, non può essere inferiore alle 10 euro lorde l’ora e come la stessa Direttiva richiede deve essere soggetto a rivalutazione periodica.
Questo valore minimo per i livelli più bassi dell’inquadramento contrattuale (con un meccanismo di indicizzazione)rappresenta il minimo costituzionale incomprimibile e inderogabile affinché sia garantita al lavoratore una retribuzione “… in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa…” e corrisponde al principio di adeguatezza richiamato nel titolo della Direttiva europea relativa ai salari minimi.
La retribuzione contrattuale così come individuata dalla presente legge corrisponde al principio di proporzionalitàex art.36 Cost. con le caratteristiche e le peculiarità proprie della contrattazione, con l’unico limite di un valore minimo orario, uguale per tutti, e sotto il quale non si può scendere.
Insomma, una proposta di legge che rende effettivo il diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata e dignitosa, in coerenza con quanto richiesto dal legislatore europeo, anche grazie alla maggior tutela giudiziaria e/o amministrativa che deriverebbe dall’intervento legislativo sul salario.
L’obbligo che sorge in capo al datore di lavoro di retribuire i propri dipendenti o al committente rispetto ai propri collaboratori con importi non inferiori a quelli complessivamente previsti dai CCNL di settore così come individuati ai commi 1 e 2dell’art. 1 della presente proposta di legge, costituisce un effetto scoraggiante al ricorso alla contrattazione di “comodo”, determinando una drastica riduzione del numero di contratti nazionali oggi applicati. E al contempo, spinge l’Italia a investire su un circuito alto del valore, a recuperare efficienza e produttività, ad evitare ricorsi a subappalti finalizzati solo alla compressione dei salari ed al contempo avvia un percorso di risanamento degli istituti di welfare penalizzati dal crollo delle retribuzioni e di sostegno ai consumi interni.
Infatti, l’individuazione del salario spettante al lavoratore, attraverso appunto il parametro definito nell’art.1, comma 1, facilita tanto il lavoratore sottopagatoche tali istituti nel recupero delle differenze retributive e contributive, avendo a disposizione anche la tutela amministrativa oltre che una più efficace tutela giudiziaria.
L’ultrattività della vigenza contrattuale prevista al comma 4, art .1. della proposta di legge, impedisce la disapplicazione del contratto nazionale per la parte economica nelle more del suo rinnovo.
L’art.2 prevede un meccanismo automatico di rivalutazione dell’importo minimo orario, basato sulla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai.
L’art. 3 estende l’applicazione delle tutele previste dalla presente legge ai rapporti di collaborazione come definite al comma 1.
All’articolo 4 infine, sono previste le sanzioni amministrative pecuniarie direttamente proporzionali al periodo di effettivolavoro,salvo il diritto al risarcimento di danni ulteriori.
Sotto il profilo sanzionatorio si prevede negli ultimi due commi, nei confronti del contravventore alle previsioni della legge anche l’esclusione, per la durata di due anni, dalla partecipazione a gare pubbliche d’appalto di opere o di servizi, dalla concessione di agevolazioni finanziarie, creditizie o contributive e da finanziamenti pubblici di qualunque genere, e l’impossibilità per lo stesso di apporre termini alla durata dei contratti di lavoro subordinato. La violazione di tale prescrizione porterebbe alla trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
“L’introduzione del salario minimo e la tutela dell’incolumità dei lavoratori sono tra i punti principali sui quali USB si mobiliterà venerdì 26 maggio con lo sciopero generale nazionale di tutte le categorie” scrive Usb in una nota.
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Fulvio Freschi
Vorrei farvi notare che per garantire un reddito “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, non è sufficiente stabilire un minimo orario: con l’estendersi del part time, con 20 ore settimanali e circa 10€ si otterrebbe uno stipendio di circa … 800 euro … stipendio dignitoso? Per il contratto delle addette mensa, sono 15 ore a settimana -> 600 euro / mese !
Con i contratti a termine, non c’è neanche continuità per sopravvivere tutto l’anno, non tutti/tutte possono ottenere il sussidio di disoccupazione.
Quindi: stipendio mensile con minimo garantito, e continuità senza interruzioni, qualsiasi altra forma è PRECARIATO.
E poi occorre delegittimare e rendere inapplicabili quei contratti farlocchi siglati da aziende/categorie e “sindacati gialli”
Mara
Dopo un periodo di prova ci deve essere un contratto a tempo indeterminato per garantire un futuro a chi lavora. Tutte le altre forme di contratti andrebbero rottamati. A questo va aggiunto un netto no al lavoro in nero.