L’odiosa Santanchè si è lamentata della campagna d’odio contro di lei. Ma il vittimismo aggressivo non le si addice.
Con una informativa di una quarantina di minuti, il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, ha risposto nell’Aula del Senato alle notizie comparse sulla stampa relative alle vicende delle società Visibilia e Ki group.
Prima un servizio di “Report”, poi alcuni articoli de “Il Fatto” ed infine le indiscrezioni del quotidiano “Domani”, secondo cui la Santanchè sarebbe già iscritta al registro degli indagati per una indagine dei magistrati su queste società, in queste settimane avevano impallinato la ministra costringendola ad andare in aula a rendere conto.
Al Senato la Santanchè, ha tenuto a precisare di non aver ancora ricevuto alcun avviso di garanzia. “Non sono qui per rispondere a trasmissioni televisive o ad inchieste giornalistiche, ma per bloccare la strumentalizzazione politica che da settimane si sta facendo.
Ho preferito non fare passare al governo, ed alla maggioranza di cui faccio parte, le conseguenze di una campagna di vero e proprio odio nei miei confronti. Sono qui perché voglio difendere il mio onore e, se consentite, anche quello di mio figlio, trascinato in questa polemica”, ha affermato in aula.
Al Senato i banchi del governo erano al completo e in grande spolvero a manifestare sostegno ad una “grande raccoglitrice di voti e relazioni milanesi per la Meloni” che l’hanno portata al sorpasso sulla Lega. In Aula, erano presenti i due vicepresidenti del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Assente Giorgia Meloni in quanto impegnata in Polonia
Ma la ministra Daniela Santanché, nonostante lo abbia negato al Senato, risulta iscritta a modello 21 del registro delle notizie di reato. La chiusura dell’indagine è prevista per l’autunno. I magistrati milanesi, per esigenze d’indagine, avevano secretato l’iscrizione della senatrice di Fratelli d’Italia e ministro del governo Meloni, tra gli indagati.
Il Movimento Cinque Stelle ha depositato una mozione di sfiducia individuale nei confronti di Santanchè.
“Può una ministra della Repubblica essere in debito di quasi tre milioni di euro con lo Stato? Può un governo che il primo maggio ha sbandierato l’approvazione di un decreto lavoro avere al suo interno una ministra proprietaria di un’azienda che i lavoratori non li ha pagati o li ha messi in Cassa integrazione facendoli lavorare lo stesso?
Può un ministro che ha giurato di adempiere la funzione pubblica che gli è stata affidata con disciplina ed onore rimanere al suo posto di fronte a questa sequenza di fatti? Secondo noi, no. Non può rimanere al suo posto”, ha detto nel suo intervento in Aula il senatore del Partito democratico, Antonio Misiani.
Anche da parte dell’Alleanza verdi e Sinistra è giunta la richiesta di dimissioni nei riguardi di Santanchè.
La Santanchè risulta aver fondato alcune società finite a vario titolo nel mirino della magistratura. Una di queste, Visibilia Editore, la società fondata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè, ha saldato i debiti con il fisco, pari a circa 1,4 milioni di euro.
Di conseguenza, la Procura di Milano ha rinunciato all’istanza di fallimento dell’azienda, da cui Santanchè si è dimessa dalla carica di presidente in seguito alle indagini per bancarotta e falso in bilancio.
Sono quattro le società del gruppo che fa capo alla senatrice di Fratelli d’Italia. Si tratta appunto di Visibilia Editore, e poi di Visibilia Concessionaria, Visibilia holding e Visibilia srl in liquidazione.
Per la prima, a novembre è arrivata la rinuncia all’istanza di fallimento. Per le altre tre, invece, i giudici milanesi hanno rinviato i procedimenti in attesa di un loro riassetto economico.
La Santanchè è stata presidente del gruppo Visibilia fino al 13 gennaio scorso, ma i primi accertamenti sembrano risalire al 2016.
E poi c’è stato un esposto presentato da nove soci di minoranza di Visibilia, i quali avevano denunciato “il più che fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione, arrecando danno alla società, al corretto funzionamento del mercato, nonché agli azionisti”.
Se sul piano della condizione fallimentare delle società è stata messa una pezza, sul fronte penale rimangono aperte le indagini sul falso in bilancio (quello che Berlusconi voleva abolire, ndr), reato contestato dai magistrati alla Santanchè e ad altre persone che hanno ricoperto il ruolo di amministratori.
Ma c’è anche un’altra società ad attraversare la traiettoria della Santanchè. Si tratta della Ki Group. Ovvero l’azienda di cibo biologico che la ministra del Turismo ha gestito fino al 2022. E nella quale attualmente detiene una partecipazione indiretta.
E qui i problemi sono con Invitalia, la società pubblica che gestisce i finanziamenti alle imprese. Nel mirino ci sono i 2,7 milioni di contributi pubblici ottenuti da Ki Group come prestito Covid da Invitalia. Soldi che servivano per pagare fornitori e dipendenti.
La Ki Group che la Santanchè gestiva insieme all’ex compagno Canio Mazzaro ha infatti avanzato al Tribunale di Milano una proposta di concordato semplificato. Ma si è reso necessario il ricorso perché la via della procedura negoziata iniziata nello scorso marzo “non ha prodotto i risultati sperati”, secondo gli amministratori e le procedure concorsuali sono sospese.
La proposta di concordato prevede il pagamento del 100% degli emolumenti dovuti ai lavoratori, i quali denunciano proprio i mancati emolumenti dovuti, in particolare il Tfr.
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Pasquale
Da piccoli guardie e ladri da grandi ladri e ladre.