I numeri e i dati, quando non soggetti a manipolazioni di parte, risultano oltre maniera rivelatori. E quelli, impietosi, della nota di aggiornamento al DEF mostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, quale futuro abbia in mente il governo Meloni per la sanità pubblica.
Numeri alla mano infatti, per il 2024, è previsto un incremento del 3,7% del fondo sanitario nazionale rispetto al 2021 ma in realtà, considerate le previsioni al ribasso del prodotto interno lordo – in percentuale del quale viene programmato l’ammontare del finanziamento al SSN – e il tasso di inflazione che non accenna a diminuire nonostante la pratica sconsiderata dell’aumento dei tassi monetari da parte della BCE, il salasso è dell’11,5%.
Un vero e proprio bagno di sangue che precipita la sanità pubblica in un baratro dal quale sarà quasi impossibile riemergere e che aggraverà ulteriormente la condizione di milioni di cittadini che, non avendo possibilità di accedere alle cure e ai servizi, non potranno far altro che dissanguarsi economicamente rivolgendosi alla sanità privata.
Questa drammatica realtà rischia, anche se non sembra possibile, di venire aggravata dall’accelerazione che sta avendo, per la sanità, l’ulteriore passaggio di competenze dallo stato alle regioni, passaggio che se compiuto, oltre ad allargare la forbice nell’erogazione dei LEA fra nord e sud e gli squilibri del diritto alla salute, porterebbe le regioni più ricche a gestire in proprio le assicurazioni sanitarie integrative, la contrattazione integrativa e l’attività libero professionale dei dipendenti. Altro che autonomia differenziata, sarebbe una vera e propria secessione sanitaria a scapito delle regioni del Sud.
E, a proposito di dipendenti, nulla viene stanziato per il rinnovo del contratto dei circa 600.000 infermieri, tecnici sanitari, oss e personale tecnico e amministrativo che lo aspettano già da diciotto mesi – l’ultimo rinnovo è stato siglato già abbondantemente scaduto – e per il quale servirebbe mettere sul piatto della bilancia risorse imponenti, solo per recuperare quanto eroso dall’inflazione in termini di potere di acquisto. Intento che, però, è evidentemente fuori dagli orizzonti e dalle scelte di questo governo che taglia e sottrae risorse e che sceglie, mentre ambulatori e servizi ospedalieri vengono chiusi perché non si riesce a garantire la sostituzione per il personale che va in ferie e, nei pronto soccorso, le aggressioni sono diventate pratica quotidiana, di privilegiare l’incremento della spesa militare rispetto al rinnovo dei contratti, alletta infermieri e tecnici sanitari con l’eliminazione del vincolo di esclusività ma in realtà li spinge verso il lavoro a cottimo invece di garantire uno stipendio dignitoso e migliori condizioni di lavoro.
La risposta a tutto questo non potrà altro che essere dura e determinata. Le lavoratrici ed i lavoratori della Sanità daranno come sempre il loro appoggio e il loro apporto di partecipazione alle iniziative di lotta che USB Pubblico Impiego metterà in campo in autunno per il rinnovo immediato del contratto, per rivendicare stipendi adeguati e contro le politiche classiste del governo Meloni.
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