Una parola, apparentemente neutra, può finire “sotto accusa” davanti ai giudici? Sì. Il 16 agosto 2023 sono state rese pubbliche le motivazioni di una sentenza (definitiva) della Cassazione emessa nel maggio scorso.
Ha stabilito che gli stranieri “richiedenti asilo” (quelli che lasciano il Paese di residenza, entrano in un altro e lì presentano domanda per poter restare) non sono definibili clandestini.
Perché? Non solo il termine clandestino è giuridicamente inesistente. Secondo i giudici, contiene un giudizio negativo in grado di diffondere odio e discriminazione. Risultato: la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato da un partito, la Lega.
Il procedimento era relativo a un caso verificatosi nel 2016: per contestare l’assegnazione di 32 richiedenti asilo a un centro di Saronno (Varese), i leghisti avevano esibito cartelli con la scritta «Saronno non vuole i clandestini».
Il ricorso della Lega, respinto
Ebbene, secondo la Cassazione, «gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello Stato italiano perché temono a ragione di essere perseguitati o perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel Paese di origine, di subire un ‘grave danno’, non possono, […] a nessun titolo, considerarsi irregolari e non sono, dunque, ‘clandestini’».
Tanto più in questo caso, visto che avevano già «presentato allo Stato italiano domanda di protezione internazionale». Rigettata la tesi leghista del diritto alla libera manifestazione del pensiero.
In precedenza, Asgi (Associazione per gli Studi giuridici sull’Immigrazione) e Naga (organizzazione per l’assistenza socio-sanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti) avevano citato in giudizio la Lega (locale e nazionale).
Dai giudici di primo e secondo grado erano già state accolte le ragioni delle associazioni, condannando il partito a pagare, oltre alle spese processuali, un «risarcimento danni da comportamento discriminatorio per ragione di razza ed etnia» in favore di Naga e Asgi. La Lega aveva poi proposto il ricorso in Cassazione, che lo ha respinto.
La Suprema Corte
È interessante notare che la Suprema Corte esprime un giudizio anche sul fronte del lessico: «È fermo convincimento di questa Corte […] che un termine come quello di cui si discute (“clandestini”) abbia assunto concretamente, nell’utilizzo corrente, un contenuto spregiativo e una valenza fortemente negativa; ciò non significa che esso non possa venire utilizzato nella sua originaria accezione strettamente lessicale, ma che il contesto della struttura sociale in cui esso si cala esige comunque, da parte di chi lo evochi, un’estrema attenzione. […]
Il termine […] può facilmente prestarsi (e indurre), specie se inserito in un contesto verbale come quello del manifesto in questione, ad abusi».
Faloppa: non usate quella clava
Sul tema interviene Federico Faloppa, professore di Linguistica all’Università di Reading (Regno Unito) e coordinatore della Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio.
A Treccani il linguista dice che la Cassazione «ha fatto bene a condannare l’uso diffamatorio, falso e generatore di discorso d’odio della parola clandestino da parte di alcuni esponenti politici. Ritengo – insieme a tanti soggetti della società civile come Associazione Carta di Roma e ASGI – che sia giusto tutelare i diritti delle persone e responsabilizzare politici e giornalisti».
Su La Stampa il professore ha dedicato un commento alla questione: «D’ora in poi sarà più difficile abusare di questo termine», per indurre a fare credere «che fenomeni complessi come quelli migratori […] siano riducibili a questioni di ordine pubblico, con le persone migranti o richiedenti asilo a far la parte del cattivo, dell’illegale, del nemico pubblico».
Faloppa scrive che l’uso di clandestino non solo «è improprio […] sul piano giuridico», perché cozza contro l’articolo 10 della Costituzione italiana, la Convenzione internazionale sui rifugiati del 1951 e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
È scorretto anche «sul piano semantico: dare del clandestino a chi ha il diritto di restare nel Paese […] è un controsenso».
Il linguista ricorda infine: «Da almeno una quindicina d’anni associazioni della società civile […] chiedono ai media e a chi fa comunicazione pubblica e politica di smettere di usare la parola “clandestino” […] Tuttavia […] il termine è sempre lì, pronto a riemergere e a essere brandito come una clava capace di far danni alla lingua italiana, al dibattito pubblico e soprattutto alle persone che ne vengono colpite».
Un triste gioco
Su Lingua italiana nel 2013 Grazia Naletto alla questione aveva dedicato un articolo.
Dopo aver citato la definizione del vocabolario Treccani in relazione all’immigrazione – s. v. clandestino, agg. e s. m. (f. -a): «… immigrato c., che entra in un paese illegalmente (anche sostantivato: le stime dei c. in Italia)…») – Naletto ricordava che fino a qualche anno prima la parola, utilizzata in forma di aggettivo, richiamava» tutt’altro, senza mai assumere «una connotazione negativa».
Poi quel termine è divenuto, nel discorso politico e su molti media, «una parola chiave utilizzata […] dalla retorica xenofoba e razzista per costruire muri e frontiere simbolici tra “noi” e “loro”».
Basti pensare che nel 2009 la stessa Lega Nord aveva messo online il gioco Rimbalza il clandestino: l’obiettivo era quello di colpire le barche dei migranti su una mappa che raffigurava le coste italiane.
Lo spauracchio propagandistico
C’è una data in cui quel termine ha esordito in chiave anti-migranti? Openpolis.it, nell’offrire alcune definizioni corrette (come rifugiato, profugo e richiedente asilo), sottolinea che il suo utilizzo si è diffuso in Italia da quando la cosiddetta legge Bossi-Fini (30 luglio 2002, n. 189) ha introdotto (articolo 11) alcune “disposizioni contro le immigrazioni clandestine”, confluite poi nel Testo unico dell’immigrazione.
Queste però puniscono chi favorisce l’ingresso illegale di stranieri, non colpiscono chi è vittima di quel traffico. Come spiega l’avvocata Sara Occhipinti su Altalex.com, «tecnicamente l’ingresso nel territorio italiano che non rispetti la previsione del Testo unico dà luogo ad un fenomeno di immigrazione illegale.
Tuttavia non significa affatto che la permanenza in Italia di un immigrato entrato illegalmente continui a rimanere illegale». La presunta “clandestinità”, dunque, non esiste. Semmai, è uno spauracchio diffusosi nel lessico da quando la xenofobia ha cominciato ad essere usata sistematicamente come argomento propagandistico.
Quando i “clandestini” eravamo noi
Il ricorso sbagliato, sui mass media italiani, alla parola clandestino con le sue varianti (assieme ad altre espressioni altrettanto scorrette e discriminatorie, se non palesemente razziste) è un nodo centrale della questione.
Se guardiamo l’archivio storico di un diffuso quotidiano come Il Corriere della Sera, possiamo scoprire che per la prima volta – ironia della sorte – il 17 aprile 1876 si ricorre a quel termine in relazione a un fenomeno opposto rispetto a ciò che si intende oggi: l’“emigrazione clandestina”, cioè la partenza irregolare di cittadini italiani verso Paesi stranieri, in cerca, anche allora, di una vita dignitosa.
Su quel giornale l’utilizzo di clandestini riferito agli immigrati inizia quasi di colpo alla fine degli anni Ottanta, per apparire quasi tutti i giorni dagli anni Novanta in poi. Negli ultimi tempi sul Corriere c’è stato un forte decremento dell’uso della parola, sebbene non sia del tutto scomparsa.
Mentre il suo abuso è ancora dilagante, e spesso rivendicato come diritto, sui quotidiani più vicini al centrodestra (come Il Giornale, La Verità, Libero e Il Secolo d’Italia); è poi molto diffuso nei tanti media online (per rendersene conto, basta una ricerca tra le notizie pubblicate finora nel 2023).
L’emergenza permanente secondo i media
Mediamente il modo in cui i giornalisti italiani raccontano le migrazioni resta segnato da esagerazioni, stigmi, fake news e sensazionalismi. Recentemente Francesco Pira, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Messina, ne ha scritto su Humanities nell’articolo Media representation of migration between pseudo-truth and privacy: journalistic narratives in Italy.
Indaga sul rapporto tra media, social network e fenomeni migratori in Italia, per poi dedicarsi allo scarso rispetto degli obblighi deontologici sanciti dalla Carta di Treviso (tutela dei minori nell’attività giornalistica) e dalla Carta di Roma (corretta informazione sui migranti), entrambe sottoscritte dai giornalisti italiani.
Scrive Pira: «La narrativa migratoria rimane ancorata allo stesso tono ansiogeno di un’emergenza permanente, per cui la percezione del fenomeno da parte delle persone continua a generare paura e odio razzista. […] Si assiste a una percezione radicata basata sulla distorsione della realtà che ribadisce la forte penetrazione del sistema della disinformazione».
Poi: «L’utilizzo di immagini sempre più scioccanti […] tende a provocare reazioni emotive contrastanti e a generare timori piuttosto che riflessioni serie e approfondite».
Il sociologo sottolinea: «Il fatto non si trasforma in cronaca, diventa subito uno spettacolo da “avvenimento mediatico”. […] I contorni si sfumano e l’indeterminatezza cresce, generando insicurezza e paura».
Criminalizzazione e consenso
Queste conseguenze sono confermate dai dati. L’Osservatorio nazionale sulle politiche sociali Welforum.it segnala, per esempio, «la distanza tra il fenomeno reale (ovvero i dati sull’immigrazione in Italia) e quello percepito (l’incidenza del tema nell’opinione pubblica). Questa distorsione porta i cittadini a sovrastimare il fenomeno migratorio a livello numerico, alimentando il circolo vizioso delle paure e dei timori».
Per esempio, l’Istat ha rilevato che in Italia al 1° gennaio 2023 gli stranieri risultavano circa 5,05 milioni (rispetto alla popolazione italiano sono l’8,6%, di cui circa un quarto cittadini dell’UE): dati che collocano il Paese al 14° posto nell’Unione europea. Però, in base alle informazioni “terroristiche” recepite, una parte cospicua dell’opinione pubblica si sente invasa e in testa alla classifica.
Tanto che, secondo un sondaggio Ipsos, nel 2019 i cittadini italiani stimavano una presenza straniera pari al 31% della popolazione, mentre il dato reale era, in quell’anno, l’8,5%.
Questo enorme errore di valutazione è frutto, per Welforum.it, «della formazione dell’opinione pubblica, strettamente collegata alla copertura mediatica e politica dell’argomento. […] Paure e pregiudizi possono indurre i cittadini a ingigantire la portata della questione, disincentivando un approccio basato sui dati e rendendo più difficile una gestione efficace del fenomeno».
Che dire? Probabilmente la gestione efficace del fenomeno non interessa a chi punta – nel caso di alcuni partiti – sulla criminalizzazione degli immigrati per raccogliere consensi elettorali, né a chi – nel caso dei mass media – lo fa per aiutare quella propaganda politica e/o per andare a caccia di lettori e di click.
Intanto, sullo sfondo, troppa gente appare così male informata da diventare clandestina rispetto al proprio potenziale buon senso, barricata com’è all’interno di ansie e paure.
Bibliografia e sitografia
Elena Benelli, Migration discourses in Italy, Conserveries mémorielles, Institut d’Histoire du Temps Présent (IHTP) e Centre interuniversitaire d’études sur les lettres, les arts et les traditions, Québec e Parigi 2013
Cassazione, sentenza sul ricorso n. 27571 del 2020, in Asgi.it, 18 agosto 2023, Torino 2023
Ciak MigrAction: indagine sulla percezione del fenomeno migratorio in Italia, in Ipsos.it, 10 ottobre 2019, Roma 2019
Federico Faloppa, Perché è giusto vietare la parola clandestino, in LaStampa.it, 20 agosto 2023, Torino 2023
Il termine “clandestino” costa caro alla Lega. Nel 2016 usato impropriamente su un cartello a Saronno, in Articolo21.org, Roma 2023
Immigrazione: una questione di percezione, in Welforum.it, 1 giugno 2023, Milano 2023
Vittorio Feltri, “Continuerò a usare la parola ‘clandestino'”, in Liberoquotidiano.it, 20 agosto 2023, Milano 2023
Grazia Naletto, Clandestino, in Treccani.it Lingua italiana, 12 dicembre 2013, Roma 2013
Sara Occhipinti, Il clandestino, un termine sbagliato, in Altalex.com, 25 giugno 2020, Wolters Kluwer, Milano 2020
Marco Pasqua, Rimbalza il clandestino, in Repubblica.it, 2 agosto 2009, Roma 2009
Francesco Pira, Media representation of migration between pseudo-truth and privacy: journalistic narratives in Italy, Humanities, Anno XII, Numero 23, Giugno 2023, pag. 111-132, Humanities, Rivista online di Storia, Geografia, Antropologia, Sociologia, Università di Messina, Messina 2023
Immagine: Sbarco di migranti al porto di Trapani su una vedetta SAR (ricerca e soccorso in mare) della Guardia costiera nell’ottobre 2014
Crediti immagine: Civa61, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
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