Menu

«La Commissione Moro 2 mi ha diffamato». Lo Stato a giudizio per il caso Birgit Kraatz

Una piccola premessa all’articolo di Paolo Morando, apparso ieri sul quotidiano Domani (scusate il bisticcio…) sembra proprio indispensabile. La storia è perfettamente narrata dallo storico, ricercatore e giornalista, quindi non stiamo a ripeterla.

A renderla notevole c’è il fatto che riguarda uno – e neanche il principale – dei tanti “misteri” che la dietrologia ha seminato nell’arco di 46 anni.

Il modo in cui questo presunto “mistero” si è formato e consolidato, invece, è un vero e proprio format del “metodo dietrologico” applicato fondamentalmente e solo a proposito del sequestro di Aldo Moro. Come se quell’evento fosse un monstrum unico e incomprensibile nell’Italia alla fine degli anni ’70.

I lettori “diversamente giovani”, perlomeno quelli intellettualmente onesti, ricorderanno certamente che allora esistevano decine di formazioni armate di sinistra, che hanno prodotto migliaia di azioni di assai diverso “peso politico”, consegnando poi – nella sconfitta generale – alcune migliaia di militanti alle patrie galere.

Insomma, era in corso un processo storico con quelle caratteristiche, non la “pace sociale” improvvisamente rotta da pochi pazzi. O peggio.

E gli stessi militanti che hanno condotto quell’azione – indubbiamente la più rilevante – sono ben noti, condannati, quasi tutti vivi (meno Prospero Gallinari), con posizioni processuali e politiche anche molto diverse e reciprocamente inconciliabili (pentiti, dissociati e “irriducibili”, grosso modo).

In nessuna ricostruzione “dietrologica” la loro testimonianza viene richiesta Anzi, la dietrologia stessa vive per smentire ogni cosa abbiano detto o scritto, qualunque essa sia. E chiunque di essi sia…

Bene. La storia di Birgit Kraatz, giornalista tedesca inviata in Italia dalle principali testate germaniche, intreccia quella del sequestro Moro decisamente per caso, in virtù di una relazione temporanea con Franco Piperno.

Che a sua volta incrocia il sequestro solo su richiesta di Claudio Signorile, allora ministro del Psi, incaricato da Bettino Craxi di trovare un contatto con le Brigate Rosse per vedere se era possibile una trattativa che portasse al rilascio del prigioniero.Non di propria iniziativa, insomma…

Un legame casuale, momentaneo, “esteriore” rispetto al fatto. Eppure la Kraatz viene inserita nelle ricostruzioni delle Commissioni parlamentari di inchiesta e di lì il suo nome “percola” addirittura in una sentenza giudiziaria.

E accade nonostante tutto quel che viene detto dai “commissari” su di lei venga dichiarato completamente falso dal BundesKriminalAmt di Bonn (la Germania era ancora divisa in due…), ovvero dall’antiterrorismo che stava combattendo la Rote Armee Fraktion (formazione solo in parte somigliante alle Br).

Il “mistero” in realtà sta proprio qui: com’è possibile che una stimata giornalista di un paese alleato, ritratta nelle foto dell’epoca persino in compagnia di Gianni Agnelli sul suo (di lui) aereo privato, “garantita” con documenti ufficiali dell’antiterrorismo tedesco (uno dei più feroci, ai tempi), sia ancora oggi – dopo oltre 40 anni – chiamata in causa per cose cui è palesemente estranea?

Com’è possibile che la sua residenza d’allora sia ancora raccontata – ultimo caso quello di Report – come uno dei possibili “covi” in cui sarebbe stato tenuto Aldo Moro? Con tanto di ex fanciulli trasformati in “test” per suggestioni suggerite…

Si spiega facilmente, purtroppo. Le “commissioni parlamentari di inchiesta” non c’entrano nulla con le indagini vere e proprie. Sono, e sono state, dei teatrini per politici di serie B che dovevano (o devono) costruire una “narrazione” utile. Al proprio partito, inizialmente. Poi sempre di più a se stessi, ai propri staff, ai “consulenti” profumatamente pagati delle casse dello Stato.

E la dimostrazione viene proprio dai “dietrologi” inseriti in quelle commissioni. Esponenti assai poco “onorevoli” – piccisti, democristiani, fascisti, piddini, ecc – condividevano in tutto e per tutto “l’impianto narrativo”, davano tutti molto peso alle voci più incredibili e alle tesi più fantasiose.

Tutti, insomma, condividevano la necessità di dichiarare che c’era qualcuno che “eterodirigeva” le Br. Differivano, al momento della relazione conclusiva, sono per l’attribuzione del ruolo di “regista del sequestro”.

Gente come Pellegrino, Flamigni et similia (area Pci, poi Pds, poi Ds, poi Pd) indicava la Cia e Kissinger (in quel momento peraltro fuori dall’amministrazione, visto che il presidente era il “quasi socialista” Jimmy Carter).

Altri, come Fragalà e Mantica (Msi) evocavano il Kgb sovietico. Altri ancora, come gli ex democristiani Fioroni e Grassi, “facevano ammuina”, prendendo per buona ora questa e ora quell’attribuzione.

Proprio il fascista Fragalà “infilò” il nome della Kraatz nelle carte, e da allora c’è rimasto a dispetto di ogni cosa. Segno che “tornava buono” per tutti, compresi i giornalisti boccaloni che a quella fogna si abbeverano…

Dicevamo all’inizio che genesi e struttura di questo “mistero” sono assolutamente simili a cento altri. L’unica fortuna – che permette di dissolverlo, sputtanando come depistatore e impostore chiunque ancora insista a farsene cantore – è che la signora Kraatz sia ancora viva e molto attenta a quel che si dice di lei.

Che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia trovato molto concreto il ricorso da lei presentato e per il quale l’Italia dovrà pagare cifre di una certa consistenza.

Che altrettanto vivo e vegeto sia Franco Piperno (che ha fatto poi una vita da ricercatore e docente di fisica, prima all’estero e poi anche in Italia).

Che l’antiterrorismo tedesco sia, sì, cattivissimo, ma anche refrattario a compiacere qualche vanaglorioso mentecatto italiota.

E, speriamo, che dopo quasi mezzo secolo di falsità che non spiegano mai nulla, ma si alimentano a vicenda per sembrare un “tessuto”, seminando impotenza-ignoranza-rassegnazione-diffidenza, comincino ad esserci anche giornalisti, ricercatori, movimenti, che sono stufi di sentirsi raccontare un film senza logica.

Perché al dunque, come Sigfrido Ranucci ha alla fine ‘confessato’, le commissioni parlamentari sono state la “fonte” della sua ignobile trasmissione. Solo che, secondo lui, quella doveva essere la prova di non aver fatto “depistaggio”.

Il caso della signora Kraatz, e tutti gli altri, dimostrano invece che proprio in quelle commissioni (minuscolo d’obbligo…) ha trovato ospitalità e rilancio qualunque depistaggio. “Evocando”, “suggerendo”, “alludendo”, “ipotizzando”, “immaginando”.

Tutto all’unico scopo di negare finanche la possibilità che una generazione abbia provato a fare la rivoluzione. Perdendo, certo, ma provandoci sul serio.  Una paura di classe, che abbisogna di “misteri” irrisolvibili, non di verità…

P. s. Avviso ai “dietrologi dell’appartenenza” (quelli che, se critichi una trasmissione ogni tanto anti-governativa, allora “stai con la cocommera”….): Report continui tranquillamente a denunciare i giochini di Sgarbi, Santanché, Gasparri, Meloni e compagnia cantando. Li continueremo a difendere fino alla morte e li guarderemo con vero piacere. Ma basta con le stronzate…

*****

La commissione parlamentare d’inchiesta “Moro 2” l’ha definita «già attiva nel movimento estremista “2 giugno”». Che però era qualcosa di più: un gruppo di lotta armata che, nella Germania Ovest degli anni Settanta, si è reso protagonista di svariati attentati e rapimenti, anche con la morte del presidente della Corte federale tedesca, Günter von Drenkmann, durante le concitate fasi del sequestro.

Ma lei, la giornalista tedesca Birgit Kraatz, oggi ottantacinquenne ma negli anni Settanta firma di punta e corrispondente da Roma per importanti testate (i settimanali Der Spiegel e Stern e la televisione pubblica Zdf; ha scritto pure un libro intervista con l’allora cancelliere Willy Brandt, pubblicato anche in Italia), terrorista non lo è mai stata.

Le ha provate tutte in questi anni per cercare di farsi togliere di dosso quella infamante definizione, ma senza riuscirci. Tanto che si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo che, è notizia di queste ore, ha accettato il suo ricorso e ora se ne occuperà formalmente, per giungere a una sentenza che in ipotesi potrebbe portare anche a pesanti sanzioni contro lo stato italiano, in termini di multe e risarcimenti.

E chi conosce l’attività della Cedu sa bene che nell’80 per cento dei casi l’accoglimento del ricorso (questo è infatti lo scoglio maggiore dal punto di vista procedurale) porta poi a un pronunciamento favorevole al ricorrente.

Una vicenda kafkiana

Quella frase è contenuta nella relazione conclusiva dell’attività 2017 della commissione, depositata dal presidente Giuseppe Fioroni. È stata anche l’ultima. E da allora, come sempre accade in questi casi, non si è fermata lì. Di citazione in citazione è finita addirittura in una sentenza, e non di scarsa importanza, anzi: quella della Corte d’assise di Bologna che nell’aprile 2022 ha condannato all’ergastolo l’estremista di destra Paolo Bellini per la strage alla stazione (il processo d’appello inizierà a fine mese), con la giornalista citata nelle motivazioni depositate lo scorso aprile, nei termini già formulati dalla commissione Moro 2.

È una vicenda davvero kafkiana, perché i fatti parlano chiaro. Si tratta di due comunicazioni del 26 giugno e del 4 ottobre 2018 del Bundeskriminalamt (Bka), l’Ufficio federale della polizia criminale tedesca, nei quali si certifica che il nome di Birgit Kraatz non risulta mai essere stato menzionato in alcun documento della struttura, attestando così la totale estraneità della donna al movimento “2 giugno”.

Ha scritto testualmente il direttore del Bka, Jürgen Peter: «Va dato per scontato che la signora Kraatz non ha avuto alcun contatto o altri legami con il gruppo “2 giugno” che vadano al di là dell’attinenza del lavoro giornalistico allora svolto sull’argomento terrorismo di sinistra in Germania e in Italia».

E ancora: «Allo stato degli atti del Bundeskriminalamt non è accertabile nessun contatto o altro legame con il gruppo “2 Giugno” che abbiano a che fare con la signora Kraatz».

La commissione Stragi

Sono documenti che i legali della giornalista hanno spedito a suo tempo allo stesso presidente Fioroni, senza però che fosse possibile ottenere una rettifica della relazione, avendo la commissione parlamentare d’inchiesta già concluso i propri lavori e chiuso i battenti per via della fine della legislatura.

E quelle relazioni, in quanto approvate dal parlamento, sono ora del tutto intangibili.

Peraltro, proprio perché parlamentari, tutti gli allora componenti della commissione sono coperti da immunità. Non lo sono però per affermazla provaioni successive al mandato politico: e infatti l’ex deputato Gero Grassi, tra i più attivi componenti di quella commissione, è già stato raggiunto da una querela della giornalista, querela ancora pendente.

Come una palla di neve che rotolando a valle diventa valanga, quell’evidente errore contenuto nella relazione di Fioroni è figlio di un altro atto parlamentare di addirittura ventiquattro anni fa, rimasto a lungo sottotraccia.

Si deve infatti tornare al 2000 e alla allora commissione Stragi presieduta da Giovanni Pellegrino.

In quella sede, i parlamentari di Alleanza nazionale Vincenzo Fragalà e Alfredo Mantica avevano presentato una relazione in cui veniva appunto fatto il nome di Birgit Kraatz come esponente del gruppo “2 giugno”.

Così ha ricostruito la vicenda il ricercatore Paolo Persichetti: «A seguito di una rogatoria diretta alle autorità tedesche, presentata dal giudice Francesco Amato sui nomi di alcuni esponenti vicini al movimento eversivo “2 giugno”, la polizia tedesca inviava in risposta una relazione. Senza alcuna giustificazione comprensibile, l’Ucigos – l’Ufficio centrale della polizia politica destinatario della relazione – apponeva il nome di Birgit Kraatz nella lettera che accompagnava il testo del Bundeskriminalamt. Nome che invece non era presente all’interno del documento della polizia tedesca e che mai più riapparirà.

Nella successiva minuta della Digos di Roma, che riceve la documentazione dall’Ucigos e la rigira al magistrato, non vi è infatti più alcuna traccia della Kraatz.

Nonostante questa anomalia, i due parlamentari che evidentemente si erano soffermati solo sulla minuta di accompagnamento riportano il nome della donna nella loro relazione, indicandola come una esponente del gruppo “2 giugno”».

Richieste vane

Il documento di Mantica e Fragalà peraltro non è stato mai né discusso né tantomeno approvato. E, di errore in errore, come detto, l’appartenenza di Birgit Kraatz al movimento terroristico è finita addirittura nelle motivazioni della sentenza Bellini.

E va detto che la giornalista, nei mesi scorsi, si è rivolta anche ai magistrati bolognesi, affinché correggano nei successivi gradi di giudizio quell’infamante definizione.

Sul fronte commissione Moro 2, invece, le sue doglianze sono state recepite, ma senza apporre correzioni alla relazione Fioroni, per i motivi già citati. Gli uffici del parlamento hanno in effetti protocollato il materiale inviato da Kraatz, ma a oggi non risulta che siano stati allegati agli atti nel portale della commissione. E quei documenti del Bka sono stati invece catalogati “fisicamente” in una sezione non accessibile al pubblico.

La citazione di Birgit Kraatz da parte della commissione Moro 2 riguardava le palazzine di via Massimi, al centro, pochi giorni fa, di un ampio servizio della trasmissione di Rai 3 Report sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse: palazzine indicate come uno dei possibili luoghi in cui lo statista democristiano sarebbe stato tenuto prigioniero.

Questa la citazione completa contenuta nella relazione Fioroni: «Si è in particolare riscontrato che in quelle palazzine abitava la giornalista tedesca Birgit Kraatz, già attiva nel movimento estremista “2 giugno” e compagna di Franco Piperno. Secondo la testimonianza di più condomini Piperno frequentava quell’abitazione e, secondo una testimonianza che l’interessato ha dichiarato di aver appreso dal portiere dello stabile, lo stesso Piperno avrebbe da lì osservato i movimenti di Moro e della scorta. La stessa Kraatz ha ricordato la sua relazione con il Piperno, ma ha escluso che si trattenesse nel condominio».

Piperno, come noto, era stato dirigente di Potere operaio. E venne contattato dal Partito socialista (in particolare dall’allora vicesegretario Claudio Signorile) nel tentativo di giungere a una liberazione dello statista democristiano.

Ironia della sorte, in quel servizio di Report è comparsa anche la fotografia della stessa Birgit Kraatz, peraltro correttamente indicata solo come giornalista. Ma si diceva, lanciando una suggestione: «Kraatz e Piperno si sono visti anche durante il periodo del sequestro Moro?»

Le palazzine di via Massimi

A questo proposito, ancora nel febbraio 2018 al presidente Fioroni la giornalista aveva scritto così: «L’insinuosa descrizione che il mio amico, il professore Franco Piperno, avrebbe sorvegliato dalla mia casa, oppure in qualche modo con la protezione della mia casa, lo scambio delle vetture durante il sequestro Moro nel garage che apparteneva a due palazzi in via Massimi 91 (ipotesi peraltro mai provata – né tantomeno affrontata – in alcuna sede giudiziaria, ndr) è falsa: questo non sarebbe stato nemmeno tecnicamente possibile, perché dalle finestre della mia casa l’entrata del garage non era né visibile né raggiungibile, come sarebbe stato facile verificare con un semplice sopralluogo. Inoltre al garage io non avevo mai accesso».

E sono tutte circostanze che la giornalista aveva riferito in precedenza anche al colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo, consulente della commissione, senza la presenza di un avvocato «perché non ho nulla da nascondere».

C’è comunque da scommettere che la questione sarà destinata ad avere altre puntate. Sempre che nel frattempo la Corte europea dei diritti dell’uomo non le dia un taglio netto.

* da Domani

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

2 Commenti


  • Benedetta Piola Caselli

    Un mistero c’è : esiste una compagna degli anni 70 che non si sia fatta bombare da Franco Piperno?


  • roberto maffi

    Infatti, vicenda kafkiana, ma soprattutto all’italiana.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *