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“Il destino di Assange è legato alla lotta per la libertà di espressione”

Siamo in attesa di un passaggio decisivo nel caso Assange, ovvero l’esito dell’udienza sull’estradizione negli Stati Uniti del giornalista australiano. L’epilogo di questa vicenda sarà determinante non solo per la sua vita, ma anche per la tutela dei diritti umani e della libertà d’espressione e di informazione. Ne parliamo con il politico e giornalista Pino Cabras.

La vicenda di Julian Assange non è solo una questione legale o politica, è una saga che tocca le fondamenta stesse della libertà di espressione, della trasparenza governativa e della responsabilità dei potenti. Assange, fondatore di WikiLeaks, è diventato un simbolo globale della lotta contro la segretezza oppressiva e la manipolazione dell’informazione. La sua detenzione prolungata nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra rappresenta non solo una personale tragedia, ma un monito per chiunque osi sfidare lo status quo. Ne ho parlato con Pino Cabras, giornalista e già deputato, che da anni segue in prima linea le vicende dell’attivista australiano.

Possiamo definire Assange un “eroe dell’era digitale”?

Assange ha esposto al mondo intero verità scomode, rivelando documenti classificati che hanno messo in luce crimini di guerra, corruzione e sorveglianza di massa. Queste rivelazioni non sono state accolte con gratitudine dai governi interessati, in particolare da quello degli Stati Uniti, dove ora rischia una pena che potrebbe equivalere a una condanna a vita, accusato di spionaggio per aver pubblicato documenti forniti da fonti anonime.

Come esce la libertà di stampa da questa vicenda?

Il caso di Assange solleva questioni critiche sulla libertà di stampa e sul diritto del pubblico all’informazione. La persecuzione che sta subendo minaccia di intimidire i giornalisti in tutto il mondo, ponendo un pericoloso precedente per chiunque cerchi di esporre le ingiustizie commesse dai potenti. In questo contesto, la mozione presentata da un gruppo di parlamentari italiani per riconoscere ad Assange lo status di rifugiato politico rappresenta un faro di speranza. Questa proposta non solo riconosce il valore delle azioni di Assange stesso, ma invita anche il mondo a riflettere sulla necessità di proteggere chi lotta per la trasparenza e la verità.

L’appello a far valere i suoi diritti è internazionale e trasversale

Sì, l’appello per la protezione dei diritti di Assange e contro la sua estradizione negli Stati Uniti ha raccolto il sostegno internazionale. Cittadini, politici e organizzazioni per i diritti umani da tutto il mondo stanno alzando la voce, chiedendo che venga garantito un trattamento equo e che si considerino alternative alla sua detenzione, date le sue precarie condizioni di salute. Questo movimento globale non chiede solo giustizia per un uomo ma difende i principi fondamentali su cui si basa una società libera e informata.

C’è in gioco anche la trasparenza?

Mentre il dibattito sul destino di Assange continua, è essenziale non perdere di vista ciò che la sua vicenda rappresenta: la lotta continua per una maggiore trasparenza, responsabilità e libertà di espressione. Il suo caso pone interrogativi profondi sul tipo di mondo in cui vogliamo vivere: uno in cui i potenti possono operare nell’ombra senza conseguenze o uno in cui la verità ha il potere di illuminare le tenebre?

In questo momento critico, la solidarietà e l’azione collettiva sono imperative. Sostenere Assange significa sostenere i valori di giustizia, umanità, e libertà fondamentali per la nostra società. È il momento di agire con coraggio, aprendo non solo il dibattito ma anche le porte a un futuro in cui la verità non sia più un reato, ma il fondamento della nostra convivenza civile.

Da quando e perché ti occupi del caso Julian Assange?

Me ne occupo da un quindicennio, dapprima con il sito Megachip, fondato da Giulietto Chiesa, e nel periodo 2018-2022 da parlamentare. Seguo la vicenda con particolare attenzione perché rappresenta una questione fondamentale per la libertà di stampa e i diritti umani a livello globale. Assange ha giocato un ruolo cruciale nell’informare il pubblico su questioni di rilevante interesse pubblico, compresa la rivelazione di crimini di guerra e abusi sui diritti umani. La sua situazione attuale solleva gravi preoccupazioni sotto il profilo dei diritti umani e della libertà di espressione, motivando un impegno per la sua protezione e contro la sua estradizione negli Stati Uniti, dove rischierebbe un trattamento iniquo.

Quando verrà emanata la sentenza di estradizione?

Le udienze tenutesi presso l’Alta Corte del Regno Unito il 20 e il 21 febbraio 2024 porteranno a un’imminente sentenza che potrebbe negare il diritto di Assange di opporsi all’estradizione dagli Stati Uniti. Questo momento è cruciale per il futuro di Assange e rappresenta un’opportunità per la comunità internazionale al fine di intervenire e sostenere i principi di giustizia e umanità che dovrebbero guidare il trattamento delle persone in situazioni simili.

Vogliamo vivere in un mondo in cui i potenti possono operare nell’ombra senza conseguenze o in uno in cui la verità ha il potere di illuminare le tenebre?

Quale significato assume una personalità come Assange per l’umanità intera?

Assange simbolizza la lotta per la trasparenza e la responsabilità pubblica in un’epoca in cui la libertà di stampa e i diritti umani affrontano sfide senza precedenti. Il suo caso evidenzia l’importanza critica del giornalismo investigativo come strumento per inchiodare i governi alle loro responsabilità e informare il pubblico su questioni di interesse globale, inclusi i crimini di guerra e le politiche nucleari. Agire in difesa di Assange e dei principi che rappresenta significa difendere il diritto all’informazione, la libertà di espressione e sostenere un mondo più giusto e trasparente.

A questa vicenda è collegata una crisi di valori, specialmente nel mondo occidentale?

Con Assange le libertà politiche occidentali incontrano sé stesse e non si riconoscono. Il giornalismo occidentale incontra sé stesso e non si riconosce. La giustizia democratica incontra sé stessa e non si riconosce. Quando ho difeso Assange in parlamento ho espresso proprio questo concetto quasi paradossale: era un atto d’amore nei confronti dell’Occidente, il luogo dove viviamo e il luogo di elaborazione della carta dei diritti dell’uomo, il luogo dove si è inventato il giornalismo d’inchiesta moderno, ossia il giornalismo che promette di fare da cane da guardia.

Il caso Assange rappresenta l’ombra dell’Occidente. Un Occidente che non riconosce sé stesso e le proprie carte dei diritti. Un giornalismo che non riconosce il suo figlio più maturo. Il potere tende a voler nascondere le sue malefatte al giornalismo e alla pubblica discussione, mentre esporre i difetti del potere dovrebbe essere l’antidoto democratico. L’assalto alla vita e alla libertà di Julian Assange è in realtà un attacco interno, autoimmune del potere occidentale di fronte alle sue eredità più preziose, alle risorse che vogliamo difendere. La difesa di Assange è la difesa della sua vita, torturata da tanti anni, ma anche la difesa di tutte le nostre prerogative umane di persone che appartengono a dei sistemi democratici.

Nell’era dei social l’informazione può sembrare più libera e accessibile, ma è davvero così?

C’è una grave minaccia che incombe. I social network diventano sempre più oggetto di censura e il varco che era stato aperto da Wikileaks e Assange si sta muovendo come un pendolo verso la direzione di una censura orwelliana. Siamo sotto minaccia per i rischi delle guerre, queste tensioni vengono raccontate dal filtro del potere. Se si fosse dato retta ad Assange non avremmo avuto il disastro dell’Afghanistan, per citare un caso.

Ecco ad esempio cosa diceva Assange nel 2011: «L’obiettivo è utilizzare l’Afghanistan per riciclare denaro dal gettito delle tasse degli statunitensi e degli europei attraverso l’Afghanistan e restituirlo nelle mani dell’élite della sicurezza transnazionale. L’obiettivo è una guerra infinita, non una guerra di successo». Somiglia a qualsiasi situazione bellica degli ultimi decenni.

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