Incastrati tra “i corpi del reato” (due macchine della polizia) ma ostinatamente sotto il Rettorato della Sapienza, una studentessa e uno studente dell’università di Roma da ieri sono in sciopero della fame e incatenati. Intorno a loro c’è un continuo pellegrinaggio di altri studenti, giornalisti, persone solidali.
Gli è arrivata la solidarietà di Fiorella Mannoia, ma anche di Giorgio Cremaschi, della Comunità Palestinese, del portavoce di Potere al Popolo Giuliano Granato, dell’Usb, dell’Arci di Roma e tanti altri.
Qualche decina di metri più in là c’è la tendopoli allestita sul pratone per dare continuità alle mobilitazioni di questi giorni. Tende e cartelli contro la guerra, gli accordi con Israele, in solidarietà con il popolo palestinese ma contro la Nato. E ai tavolini gli studenti in lotta ne approfittano per studiare.
Ne troviamo un gruppo chini a studiare su tomi di codice civile, codice penale, storia contemporanea etc. Un po’ diffidenti quando pensano che siamo giornalisti come quelli che da giorni li tormentano con le domande più strampalate, ma poi ci accolgono… e ci scroccano le sigarette. Spiegano che con lo sciopero della fame intendono mantenere e rilanciare la mobilitazione in corso ormai da settimane per mettere fine alla complicità della più grande università d’Europa con gli apparati israeliani e l’industria militare.
Occorre ammettere che se il governo e la filiera dei giornali di destra e filo-israeliani (Corriere della Sera in testa) volevano giocare sull’immagine degli studenti estremisti, si sono ritrovati spiazzati da una protesta classicamente pacifica ma non meno determinata nei contenuti.
“Chiediamo alla rettrice Polimeni di riceverci, le nostre richieste, così come quelle di una parte non irrilevante del corpo docente e dei ricercatori, non sono state affatto prese in considerazione” – dicono gli studenti in sciopero della fame sotto il Rettorato – “La sospensione degli accordi di collaborazione con le istituzioni israeliane e l’industria bellica è una contraddizione politica, materiale ed etica dell’università. Ignorarla non è accettabile”.
Da qui la decisione di proseguire sia con la protesta che con la mobilitazione nell’ateneo.
Per intervistare gli studenti incatenati sotto il Rettorato occorre quasi scavalcare uno sbarramento di due automobili. Quando chiediamo il perché ci rispondono che sono le auto – una Punto civile della polizia, l’altra presa in leasing da una compagnia privata di sicurezza – oggetto della contestazione di reato di danneggiamento ai due studenti – Stella e Mohammed – processati ieri mattina per direttissima e rinviati a giudizio per il 22 e 23 maggio.
Ci spiegano però che una delle auto – la Punto della polizia (in borghese) era senza il freno a mano tirato, per cui nella concitazione si è mossa andando a tamponare l’altra. Sull’auto civile è visibile la rientranza sul tetto dovuta al fatto che uno studente ci si era arrampicato sopra per megafonare.
Insomma una scena quasi più comica che drammatica, sicuramente meno drammatica di quanto hanno provato a disegnarla i membri del governo e le loro cordate di giornalisti. Non solo.
Immagini video e testimonianze confermano che gli studenti erano a mani nude quando si sono spintonati con gli agenti sotto al Rettorato ed anche quando gli agenti hanno usato i manganelli alla porta dell’ateneo su via Regina Elena.
Per dirla alla romana, nelle mobilitazioni di queste settimane ed anche nei giorni scorsi “Non s’è visto né un sèrcio né un tortòre”, e allora di quale violenza degli studenti stanno starnazzando da lunedi ministri, sottosegretari e portaborse?
Le memoria corre a qualche anno fa, quando venne indicata come violenza anche il bacio apposto da una manifestante No Tav sulla visiera del casco di un agente. Il senso del ridicolo non rende però chi lo esprime meno inquietante.
Più che la stigmatizzazione strumentale, e pure falsa, della “violenza” degli studenti che perde credibilità di fronte alla realtà, appare evidente come il governo e gli interessi che rappresenta temano come la peste che nelle università i giovani si siano attivati, intorno al genocidio dei palestinesi a Gaza sicuramente.
Ma le proteste di queste settimane hanno anche rivelato un malessere profondo nel mondo della formazione/istruzione pubblica che ormai dilaga anche tra docenti e ricercatori. Ne è prova l’ampia adesione all’appello sottoscritto da centinaia di docenti e ricercatori che hanno chiesto di non sottoscrivere il bando del Ministero degli Esteri per la collaborazione tra le università italiane e istituzioni israeliane.
Una questione talmente vera e seria da aver visto atenei come Torino, Pisa, Bari, Napoli deliberare in tal senso o sfilarsi rettori da fondazioni come Med-Or, creatura della maggiore industria di armamenti italiana: Leonardo.
Dovrebbe far riflettere molti la lettera inviata nei giorni scorsi alla rettrice Polimeni dalla Fondazione Elisabeth Rotschild nella quale si chiede di non accettare le richieste degli studenti e si paventano i danni che la Sapienza subirebbe se venisse meno alla collaborazione con le istituzioni israeliane.
E dovrebbe far riflettere – e agitare – lo stato di totale destrutturazione del sistema della formazione, istruzione, ricerca pubblica, portata avanti con sistematicità dalle classi dominanti e dirigenti in questi decenni.
E’ ora che tutta la filiera politica, massmediatica ed economica che ha prosperato rendendosi complice dei crimini di guerra israeliani (anche quelli prima del 7 ottobre e dell’operazione di Gaza, ndr), se ne faccia una ragione. E questa volta non basteranno le ricostruzioni piuttosto fantasiose e un po’ stantìe del Corriere della Sera su jihadisti e anarchici infiltrati o alla guida delle proteste studentesche. Così non è, neanche se vi pare.
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Qui di seguito l’appello lanciato dagli studenti in sciopero della fame
Appello a democratici, pacifisti e società civile a sostenere le richieste di studenti e accademici nelle università per fermare il genocidio in Palestina.
Siamo studenti e studentesse dell’Università La Sapienza di Roma, abbiamo deciso di intraprendere uno sciopero della fame dalla mattina di mercoledi 17 aprile, incatenati sotto al rettorato del nostro ateneo.
Ci rivolgiamo a tutti coloro le cui coscienze sono scosse dalle terribili immagini del genocidio in corso a Gaza, dalla preoccupante condizione in cui versano tutti i territori palestinesi sotto attacco continuo, e dalla possibilità sempre più reale di una escalation generalizzata della guerra in Medio oriente e non solo.
Siamo arrivati alla scelta di questa forma di protesta non violenta, dopo mesi di una mobilitazione eterogenea e diffusa che ha visto in diversi settori della società una presa di posizione netta contro le guerre, per un cessate il fuoco, per fermare l’escalation in corso che rischia di trascinare il mondo in una terza guerra mondiale a pezzi.
A tutto questo però è corrisposto soltanto un preoccupante avvitamento antidemocratico che nei casi più estremi si è tradotto anche in manganelli e violenza repressiva su studenti e studentesse, tanti gli ultimi eventi noti.
È poi proprio nell’università, da tempo fulcro della coscienza critica, che una convergenza di professori, ricercatori, studenti e studiosi di ogni genere, ha messo all’ordine del giorno la necessità di mettere fine alle collaborazioni di ricerca e didattiche che legano la formazione all’industria della guerra e ad Israele, e in alcuni atenei come quelli di Torino, Pisa, Bari, Napoli e Milano questa battaglia ha conquistato alcune importanti vittorie.
Oggi tuttavia, guardandoci attorno, non riusciamo a vedere altro che l’urgenza di fare di più e fare meglio: siamo in sciopero della fame perché il nostro Paese non è ancora disposto ad adoperarsi per costruire le condizioni per la pace, ma non c’è più tempo di aspettare.
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avv.alessandro ballicu
questi ragazzi sono degli eroi, meriterebbero un premio per la pace, un altro per il coraggio, un altro ancora perchè sono di esempio a tutti coloro ( la maggioranza del paese) che non vanno più a votare ma, sono contrari a questo sistema capitalista, servo delle multinazionali che calpesta i diritti ,non solo del popolo palestinese sterminato dai nazisti israeliani, ma, di tutti i lavoratori del mondo..
grazie compagni! siete svegli , maturi e idealisti, avete recepito il consiglio di Antonio Gramsci quando esortava
“occupatevi di politica altrimenti sarà la politica a occuparsi di voi e sarà peggio”.
W la Palestina libera e indipendente
Marius
Bravo, sono d’accordo. Questo movimento dovrebbe estendere il suo ambito anche allo stato sociale e tornare ad essere rivoluzionario come negli anni 70 tanto rimpianti, ma è la congiuntura che fa i rivoluzionari direbbe Marx. Da anziano ormai mi resta che sperare
Di Nanni
Tenete duro! ¡NO PASARAN!