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Il programma per l’industria europea della difesa in discussione alla Camera

Se le elezioni europee spingono alla diatriba pubblica tra i leghisti e Mattarella sul tema sovranità europea, nelle stanze del Parlamento continua di comune intesa la costruzione della difesa europea. Sulla necessità di far guerra non c’è nessuno che non sia d’accordo.

Già da aprile è arrivato alle Commissioni Difesa e Attività Produttive della Camera il documento per l’approvazione dello European Defence Improvement Programme (EDIP).

Ora è passato anche a quella per i rapporti con l’Unione Europea per la verifica del principio di sussidiarietà, cioè il rispetto dell’azione comunitaria solo se di sua giurisdizione o se considerata più efficace di quella intrapresa a livello inferiori.

Procede spedito, dunque, questo programma presentato solo lo scorso 5 marzo dalla Commissione Europea. L’obiettivo è rafforzare la competitività della base industriale e tecnologica della difesa europea (EDTIB), secondo le prospettive della Strategia industriale europea della difesa (EDIS), oltre a sostenere l’Ucraina.

Si tratta di un ulteriore finanziamento di 1,5 miliardi per il triennio 2025-2027, stanziato nella revisione del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027. Oltre ai soldi, vi sono delle novità negli organi che devono facilitare la crescita dell’integrazione europea sulla difesa comune.

Sono istituiti un consiglio e un pool per la prontezza industriale nel settore della difesa, che dovrà servire a incrementare la disponibilità e accelerare i tempi di consegna dei prodotti fabbricati in UE, con una corsia preferenziale per gli Stati membri, i paesi associati e l’Ucraina.

Per quest’ultima si istituisce anche un programma di cooperazione finalizzato alla ripresa, alla ricostruzione e alla modernizzazione della base industriale e tecnologica di difesa di Kiev.

Questo indirizzo si associa a quello indicato recentemente da Stoltenberg per istituzionalizzare un “impegno finanziario pluriennale per l’Ucraina a pieno regime di circa 40 miliardi di euro” ogni anno. In pratica, la UE vuole assumere a pieno titolo quel ruolo che si autoassegnata di gamba autonoma della proiezione NATO.

La Commissione UE potrà individuare i progetti di interesse comune, che dovranno coinvolgere almeno quattro stati membri, con la possibilità che la Commissione stessa vi partecipi. A tali progetti saranno destinati fino al 25% delle risorse finanziarie del programma.

Il fondo Fast servirà invece a fornire, sotto forma di debito o di capitale, aiuti alle piccole e medie imprese del settore della difesa, e a ridurne i rischi di investimento. Infine, verrebbe istituita la Structure for European Armament Programme (SEAP).

Questa struttura fornirà ai membri UE – almeno tre – un quadro giuridico per incentivare e agevolare la cooperazione sulla difesa. Chi se ne avvarrà potrà sviluppare e mantenere congiuntamente armi e armamenti e potrà approfittare di vantaggi specifici. La SEAP sarà aperta anche a paesi associati, come la Norvegia, e all’Ucraina.

Al di là del quadro ‘tecnico’ dell’EDIP, va sottolineato come nel documento in discussione alla Commissione che si occupa delle politiche UE, viene ribadita più volte la necessità di azione comune perché “nessuno Stato membro da solo è in grado di fornire” quel che serve per gli obiettivi postisi da Bruxelles.

Per divenire a tutti gli effetti un attore globale autonomo, la difesa europea è necessaria. Le prime sperimentazioni sono missioni come quella Aspides nel Mar Rosso, e si capisce perché dunque questo percorso è foriero di ulteriore destabilizzazione, e bisogna continuare a combatterlo.

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