Giorgia Meloni è tornata a Palazzo Chigi, e lo ha voluto annunciare sui social. Il solito sorriso, per nascondere il primo dossier su cui si è già ricominciato a lavorare, ovvero quello della prossima manovra di bilancio: un nodo difficile da sciogliere.
Al ministero dell’Economia, con Giorgetti rientrato al posto di comando, sono già partite le prime ricognizione tecniche per arrivare con qualche dato al vertice di maggioranza di venerdì. Innanzitutto, si lavorerà sui tagli possibili, ministero per ministero.
La questione della riduzione delle spese è sempre stata il fulcro di ogni finanziaria, almeno negli ultimi quindici anni. Ma questa volta pesa anche la procedura di infrazione europea, aperta dopo l’inaugurazione del nuovo Patto di Stabilità.
L’Italia dovrebbe ridurre il disavanzo strutturale dello 0,5% del PIL da qui ai prossimi sette anni: si parla di circa 10 miliardi l’anno, una cifra enorme da sottrarre al bilancio dello Stato. Se a ciò si aggiunge la volontà di rifinanziare le misure decise lo scorso anno (stimate in 18 miliardi), la legge di bilancio già si avvicinerebbe ai 30 miliardi.
Le coperture su cui Palazzo Chigi vuole fare affidamento, per ora, non sono affatto sufficienti e, in alcuni casi, non possono essere ancora quantificate. Entrate fiscali varie, il concordato con gli autonomi, la quinta rata della Rottamazione quater, ecc, non danno grandi rassicurazioni.
Insomma, di certo non briciole, per le quali non basterà qualche sforbiciata qua e là. Di per sé, la cifra che il governo dovrebbe già considerare, se deciderà di non tornare sui propri passi, lascerà poco spazio ad ulteriori provvedimenti.
Ad ogni modo, entro il 20 settembre dovrà essere messo nero su bianco il Piano strutturale di bilancio (PSB), che avrà una validità di 4 o 5 anni e potrà contenere “riforme” lungo un arco di sette anni. Per quella scadenza, esso dovrà essere inviato alla Commissione Europea.
Con il respiro e la cogenza di questo documento, i vertici europei hanno deciso di essere meno flessibili e di non guardare più agli aggiustamenti continui. Ora, la volontà è quella di mettere in moto programmi di spesa a più lungo termine: non si potrà più sgarrare o tornare sui propri passi anno per anno.
L’orizzonte temporale sarà più o meno quello della legislatura e così, in questo caso di transizione, il PSB dovrebbe arrivare fin verso la fine del 2027. Dunque, entro un mese il governo Meloni mostrerà quali sono le sue reali intenzioni per il suo mandato, con la possibilità di future deviazioni piuttosto limitate.
In teoria, l’approvazione del documento per la trasmissione alle camere del Parlamento è fissata al 5 settembre, quindi c’è poco più di una settimana prima di sapere come deciderà di comportarsi il governo Meloni. Ma quel che è interessante notare è come è cambiato il peso relativo tra le capitali europee e Bruxelles.
Nel PSB va infatti indicato il percorso della spesa primaria netta (senza gli interessi, le uscite legate al ciclo economico e quelle legate a programmi UE). È vero che, per circostanze eccezionali o nel caso di cambi di governo, possono essere fatte modifiche, ma il cambiamento di tono è netto.
Se prima, pur rispettando i vincoli europei, i governi potevano definire annualmente il tipo di intervento che volevano implementare, ora Bruxelles arriverà a dare il via libera alle politiche da effettuare per cicli lunghi. Gli organi nazionali potranno – e dovranno – fare solo i “buoni amministratori”, facendo sì che i piani vengano rispettati.
Ci troviamo di fronte alla realizzazione di un’ulteriore verticalizzazione della politica europea, rispondente alle mire che Bruxelles rispetto al suo peso nella competizione globale.
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