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La relazione tra AI e genocidio impone il passaggio dal boicottaggio all’antimperialismo

Che le armi di Washington sia utilizzate per il genocidio dei palestinesi è cosa nota, e che viene recriminata da tanti manifestanti anche a Kamala Harris. Ma le guerre di oggi sono largamente combattute attraverso computer e algoritmi.

La lunga inchiesta di +972 Magazine e Local Call, tradotta e pubblicata su Contropiano ne ha messo in fila una serie di esempi che non lasciano spazio a interpretazioni. E mi hanno perciò spinto alle riflessioni qui di seguito, nella necessità di problematizzare ulteriormente i compiti della lotta che ci aspetta.

Innanzitutto, il nodo del dual use. Per mesi le piazze italiane sono state attraversate da manifestazioni che chiedevano la rescissione di tutti gli accordi di ricerca con Israele, e queste rivelazioni non fanno che confermare come programmi e infrastrutture sviluppate a livello civile possano essere usate per fini militari.

Ma c’è anche un altro elemento che non viene abbastanza messo in risalto. Le campagne di solidarietà contro il sionismo hanno largamente usato la pratica del boicottaggio, che ha anche ottenuto buoni risultati in alcuni settori.

Ovviamente, tutti sanno che boicottare non può far collassare quel regime razzista e coloniale. Ma in questo caso non si può non notare come sia pressoché impossibile impostare azioni del genere contro i colossi del Big Tech.

Le GAFAM (Google, Apple, Facebook/Meta, Amazon, Microsoft) gestiscono pressoché tutti i servizi informatici di oggi. Servizi con cui ormai larghe fetta della popolazione oggi lavora, e non può fare a meno di lavorare… o, ad ogni modo, attraverso di essi svolge anche molte attività del tempo libero.

Un conto è non andare in un determinato supermercato, o non acquistare un determinato prodotto, un altro è, per dire, non avere in pratica nessuna funzionalità degli smartphone. Anche l’attività politica, così per come è organizzata oggi, diventerebbe impossibile.

Come detto, il boicottaggio serve a diventare una spina nel fianco, e quindi non riguarda necessariamente ogni aspetto di ciò che può essere collegato a Israele. Ma è chiaro che qui appare evidente come, giunti a una tale maturazione dell’imperialismo, qualche interrogativo bisogna porselo.

Non ho risposte. Ma, al di là del boicottaggio, il fatto che un cartello di cinque compagnie controlli forse la principale infrastruttura strategica del futuro di mezzo mondo (con buona pace del libero mercato, finito intorno alla fine del XIX secolo), delle riflessioni sul ruolo del pubblico e del privato nell’imperialismo di oggi sicuramente le stimola.

Le stimola anche rispetto all’imperialismo nostrano. Taysir Mathlouthi è parte dell’Arab Center for Social Media Advancement (citato anche nell’inchiesta prima ricordata), un gruppo di attivisti per i diritti digitali e umani dei palestinesi, e in passato ha anche lavorato sul tema disinformazione per l’UNICEF.

In un suo articolo del 22 agosto sul Middle East Eye, l’attivista ha fatto presente come, proprio in questo agosto, sia entrato in vigore lo European Union AI Act, per regolare “lo sviluppo e l’impiego responsabile dell’intelligenza artificiale nell’UE“. Con esso si vietano quelle più pericolose e si pongono delle misure di salvaguardia per le applicazioni ad alto rischio.

Questo, però, vale ovviamente solo per i cittadini UE. Nessuna tutela è stata pensata per gli usi che ne potrebbero fare, ad esempio, le forze sioniste, nella loro apartheid fatta anche di riconoscimento facciale, telecamere, sensori intelligenti, algoritmi e continua violazione della privacy e della libertà di movimento.

Infatti, Tel Aviv si rifornisce anche da aziende europee del settore, e l’AI Act esenta esplicitamente dalla regolamentazione l’intelligenza artificiale utilizzata per scopi militari, di difesa o di sicurezza nazionale. Una dimenticanza che tale, ovviamente, non è, ma è una precisa scelta politica.

In sostanza, le imprese UE possono vendere tecnologie AI, vietate o altamente regolamentate all’interno dell’UE, a Israele senza adeguate garanzie. La cosiddetta civiltà vale solo per i bianchi europei, anglosassoni e forse per i giapponesi, ma oltre c’è solo la “jungla” di cui parlava Borrell, che viene trattata col machete.

Fuori dal recinto del “giardino“, le iniziative occidentali continuano ad avere connotati coloniali e violenti, che non rispettano nessuna regola o diritto, come del resto dimostrano l’Iraq, la Somalia, l’Afghanistan, la Libia. Anche la guerra non ha più regole: basta guardare alle azioni dell’IDF, con la legittimità della maggioranza della popolazione degli ebrei israeliani.

Come più volte si è letto sugli striscioni e nei comunicati di Potere al Popolo, la guerra è esterna, ma anche interna contro le esperienze di lotta e di alternativa. E infatti, molte tecnologie invasive sono esentate dalle limitazioni nel caso di necessità per sicurezza nazionale e antiterrorismo, una formula che sappiamo essere stata usata in maniera molto flessibile.

Le agenzie di polizia non avranno l’obbligo di pubblicare i dettagli dei sistemi di intelligenza artificiale che utilizzano, riducendone le responsabilità. Gli strumenti usati per uccidere i palestinesi saranno usati per perseguitare per motivi politici i solidali alle nostre latitudini.

Questa cornice legale non è una svista dei vertici europei, ma è l’espressione compiuta di come la proiezione imperialistica di Bruxelles sia maturata nel corso degli anni. Non ci si può attendere che la UE aggiusti il tiro dell’AI Act, ma anzi che approfondisca le proprie tendenze bellicose e autoritarie man mano che si intensificherà la competizione globale.

Perciò, la lotta contro di essa sarà ancora più dura e ancora più necessaria. Purché non ci si scordi che viviamo in un paese che è parte di una compagine imperialista, e che con le caratteristiche di questa fase di sviluppo del capitale dobbiamo confrontarci.

E che dunque, solo l’organizzazione con un orizzonte di lotta esplicitamente antimperialista può ottenere risultati, sul lungo periodo.

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