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5 ottobre. Opponiamoci al divieto di manifestare ma rilanciamo la mobilitazione su Palestina e Libano

Sulla manifestazione per la Palestina del 5 ottobre, la Questura – su esplicite pressioni del governo – ha fatto cadere un divieto a manifestare decisamente inaccettabile. Contro questo divieto alcuni legali – per conto dei promotori – hanno presentato un ricorso al Tar per chiederne la revoca.

Il divieto infatti non regge per molti motivi. In primo luogo la manifestazione è stata vietata non per la sua piattaforma ma per commenti e documenti apparsi sui social che invitavano a manifestare il 5 ottobre.

In secondo luogo nel nostro paese non possono essere le varie organizzazioni delle comunità ebraiche o i giornali della destra a decidere chi può o non può manifestare o che cosa può dire o non dire in una manifestazione.

Questi due semplici elementi ci portano a dire che il divieto di manifestazione per il 5 ottobre non può essere accettato e che quindi sabato 5 ottobre saremo nelle piazze che a Roma e in altre città si opporranno al divieto di manifestare contro il genocidio del popolo palestinese ed ora anche contro l’invasione e i bombardamenti sul Libano.

Quest’ultimo fattore è esattamente lo scenario che va preso in considerazione, che pone sul piatto questioni che non vanno rimosse e che vanno oltre il problema del divieto di manifestare il 5 ottobre.

Lo Stato di Israele sta realizzando a forza di bombe e terrorismo di stato il suo progetto storico di imposizione della “Grande Israele” al Medio Oriente e al mondo. L’allargamento dei suoi confini in nome della “propria sicurezza” ha già portato all’annessione del Golan siriano, poi di Gaza e Cisgiordania ed ora anche di una parte del Libano. Una escalation che non ha e non si pone limiti, né questi gli vengono imposti dall’azione del diritto internazionale e delle organizzazioni che sarebbero predisposte a farlo rispettare.

Se c’è una entità che sta imponendo un fatto compiuto “dal fiume al mare”, non sono certo gli slogan delle manifestazioni per la Palestina ma lo stato di Israele. Del resto le mappe di Israele che Netanyahu aveva esposto nel suo viaggio negli Stati Uniti pochi mesi prima del 7 ottobre, dicevano esattamente questo. Chi nega tale dato di fatto lo fa per ipocrisia o per complicità.

Utilizzare il 7 ottobre come fatto scatenante per giustificare tutto questo non è accettabile da nessun punto di vista.

Per questa ragione impedire oggi una manifestazione contro il genocidio del popolo palestinese e la politica annessionista e criminale di Israele non sta in cielo né in terra.

Ci sentiamo di sottolineare che la mobilitazione per la Palestina e contro l’invasione del Libano va rilanciata immediatamente, indipendentemente dalle manifestazioni di protesta contro il divieto di manifestare il 5 ottobre che in alcuni aspetti stanno mettendo in secondo piano la questione palestinese – e questo è un errore che non ci si può permettere. Così come non ci si può permettere perniciose stupidaggini come alcuni cartelli comparsi alla manifestazione per la Palestina di Milano. I cortei non sono dei bazar nei quali esporre a proprio piacimento la propria merce. Un certo  esibizionismo confonde le priorità con il risultato di opacizzare e mettere in secondo piano le sacrosante ragioni delle manifestazioni.

Su questo rilancio della mobilitazione per la Palestina “oltre il 5 ottobre” occorre decidere e rapidamente.

A tutte e tutti coloro che sono scesi in piazza per la Palestina durante tutto l’anno, non sfugge che la spinta alla mobilitazione si è andata attenuando in termini di partecipazione. E’ un dato indubbiamente fisiologico, ma dipende anche dal fatto che se dopo il 7 ottobre la resistenza palestinese aveva rimesso in campo una prospettiva e riportato la Palestina nell’agenda politica internazionale, nei mesi successivi l’iniziativa è stata assunta solo dagli apparati israeliani, fino alla escalation condotta in Libano e che ha duramente indebolito quello che viene definito come “Asse della Resistenza”.

Le persone si mobilitano quando individuano una prospettiva, molto meno quando questa viene ridotta al conteggio della vittime e alla denuncia dei bombardamenti. Anche di questo va tenuto conto ed in modo particolare in un paese nel cuore imperialista come il nostro!

Riteniamo infine che la mobilitazione di piazza non può sostituire una valutazione e un confronto sugli scenari che si vanno aprendo in Medio Oriente e nel mondo a seguito della “guerra senza limiti” israeliana e dei grandi sconvolgimenti in corso a scala globale. Come giornale siamo intenzionati a proporre quanto prima un momento nazionale di confronto e riflessione su questo.

Se, come sta accadendo nell’ultimo periodo, cambiano gli scenari, anche la mobilitazione deve comprendere in quali scenari si colloca, quali sono i punti di forza e di debolezza sui quali agire nel nostro paese.

 

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2 Commenti


  • Stefano Panicci

    condivido in toto l articolo. ergo: trovare immediatamente una forma di protesta civile e democratica ,in piazza per la manifestazione di sabato 5 ottobre,


  • Giulio Pica

    La lobby ebraica, col codazzo dei giornaloni italiani, non può deicedere chi può manifestare e chi no. Assistiamo ad un insopportabile caccia ai chiunque di noi critichi il criminale di guerra Nethanyau, bollato come “antisemita” Sic!.
    I nostri primi persecutori sono i fascisti, eredi di colui che approvò le leggi razziali contro gli ebrei nel 1938.
    E’ vomitevole sentire in Tv starnazzare Bocchino che accusa la sinistra di essere antisemita, quando soltanto qualche anno fa i deputati di fratelli d’Italia non applaudirono la Segre che ora, invece, è diventata la loro icona

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