Continua ad estendersi il fronte di opposizione al Ddl 1660 che introduce lo stato di polizia in Italia. Dopo la giornata di mobilitazione nazionale con manifestazioni in venti città di sabato scorso ed altre mobilitazioni diffuse, adesso a entrare in campo sono anche gli avvocati attraverso la loro associazione nazionale.
L’Unione delle Camere Penali, ha infatti preso atto che, nonostante le sollecitazioni da parte dell’avvocatura, gli incontri con il Ministro della Giustizia e le audizioni davanti alle Commissioni Parlamentari, il DDL 1660 prosegue il suo iter di approvazione al Senato. Pertanto ha deliberato l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale per i giorni 4, 5 e 6 novembre 2024, indicendo per il 5 novembre 2024, alle ore 10.00, una manifestazione nazionale da tenersi in Roma presso il Centro Congressi “Roma Eventi Fontana di Trevi”, in Piazza della Pilotta n. 4.
All’iniziativa sono state invitate l’Avvocatura e l’Accademia per un confronto sui temi imposti dall’iniziativa normativa, al fine di sollecitare il Parlamento ad adottare tutte le opportune modifiche alle norme del pacchetto sicurezza in senso conforme alla Costituzione ed ai principi del diritto penale liberale, sensibilizzando l’opinione pubblica sul pericolo che simili legislazioni securitarie e illiberali possano incidere irreversibilmente sulla tenuta democratica dell’intero sistema penale.
La scorsa settimana, nel corso dell’audizione alla Commissione Giustizia del Senato del 17 ottobre, Francesco Petrelli, presidente dell’Unione Camere Penali Italiane (Ucpi) ha affermato che “Quello che a noi ulteriormente preoccupa è proprio il diverso rapporto tra Stato e cittadino che questa normativa nel suo complesso introduce. Un rapporto, diciamo così, di natura intimidativa che mai dovrebbe caratterizzare l’utilizzo dello strumento penale residuale come risposta equilibrata ai problemi dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini”.
Il ddl Sicurezza, secondo i penalisti, introduce “un’ingiusta gerarchia dei valori, dove certi beni giuridici ricevono una tutela sproporzionata rispetto ad altri di pari importanza”. Questa impostazione “non solo viola il principio di ragionevolezza, ma crea anche disuguaglianze ingiustificate nel trattamento delle diverse fattispecie di reato”.
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