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Leonardo chiama, Crosetto risponde: dibattito su una strategia di sicurezza nazionale

L’8 novembre, presso l’Aula dei Gruppi parlamentari della Camera, è stato presentato il Position Paper “Per una strategia di sicurezza nazionale“, redatto dalla Fondazione Leonardo-Civiltà delle macchine e dall’Associazione Futuri Probabili, entrambe presiedute da Luciano Violante.

Proprio di un futuro che velocemente diventa realtà si è parlato all’evento. Il documento non riguarda in senso stretto la dimensione militare perché, come sottolineato da Violante stesso, essa è “un’area strategica valutata prevalentemente all’interno di organismi e di esigenze di carattere internazionale“, ovvero la NATO nel nostro caso.

L’Italia è l’unico membro del G7 a non avere ancora una propria definita “strategia di sicurezza nazionale“, dopo che nel 2023 è arrivata anche quella della Germania. Ma quel che emerge dalla definizione che se ne è data all’evento, è che con essa si intende l’intera riorganizzazione della vita di tutto il paese verso la guerra.

Nel testo si legge che “la sicurezza non consiste solo nella difesa militare […]. La sicurezza comprende anche la libertà dei cittadini di vivere le proprie scelte, la certezza di una formazione adeguata alle necessità del lavoro e della vita, la possibilità di disporre dei beni e dei servizi essenziali, di energia, alimenti, ambiente sicuro senza costrizioni politiche e senza condizionamenti economici o sociali“.

Ovviamente, non si parla delle costrizioni del dover cercare un salario decente, di avere un tetto sulla testa e di accedere all’istruzione, alle cure e così via. In tutto ciò “la libertà dei cittadini di vivere le proprie scelte” viene identifica con quel che concede il mercato, e chi protesta deve subire misure come quelle del ddl 1660.

Traducendo quel che intendono gli estensori del paper in formule un po’ meno retoriche, il tema è l’autonomia energetica e sulle materie prima per le filiere produttive dell’Occidente o da esso controllate. Insomma, la capacità di partecipare allo scontro tra blocchi che Washington e Bruxelles stanno alimentando contro l’emergere di un mondo multipolare.

In questo quadro, una funzione a cui l’Italia è chiamata ad assolvere in maniera specifica è quella della sicurezza marittima, in particolare delle rotte energetiche. Dal Mediterraneo allargato alla proiezione verso l’Africa, con gli accordi europei e il Piano Mattei nostrano, il problema dell’autonomia energetica rimane centrale.

Tra gli ospiti della tavola rotonda coordinata da Violante c’era anche Stefano Monti, presidente della European Nuclear Society, società di cui sono membri associazioni nazionali (anche di Israele), imprenditoriali e vari professionisti, uniti nel supporto dell’industria nucleare. Ma è l’introduzione tenuta da Crosetto ad attirare le maggiori attenzioni.

Il ministro della Difesa ha fatto presente che l’Itala si muove in un orizzonte collettivo. Egli ha detto che la nazione “è immersa in un intreccio di relazioni internazionali, dalle quali emerge un ambiente competitivo, a volte conteso, in cui non tutti seguono le medesime regole o condividono gli stessi valori“.

Per Crosetto, “questa competizione in questo contesto ci fa capire chiaramente come sia forte il nesso tra la sicurezza nazionale e il perseguimento di un alto livello di prosperità“. In questa competizione un posto di rilievo ce l’hanno le materie prime critiche, quelle usate nella rivoluzione digitale di questa fase storica.

Al Made in Italy Summit, a inizio ottobre, il ministro aveva affermato: “una parte di produzione deve ritornare nei luoghi dove si è persa, questo cambia la geopolitica. La maggior parte di materie prime è nel sud del mondo, cambia il rapporto fra Stati, conteranno la tecnologia ma anche le risorse naturali“.

Crosetto ha poi aggiunto che il fine di una strategia di sicurezza nazionale è di “delineare un piano d’azione basato sull’impiego coordinato degli strumenti di potere nazionale: quello politico, diplomatico, informativo, militare, civile, legale ed economico“. Il titolare della Difesa lo ha affermato in maniera esplicita: “è un patto sociale“.

Non un patto sociale che abbia lo scopo di sollevare i milioni di persone in povertà assoluta, che si fondi sullo stato sociale, sui servizi pubblici, sulla ricostruzione di un’amministrazione pubblica martoriata da decenni di tagli, sulla messa in sicurezza del territorio, su di un futuro per i giovani.

Bensì, un patto sociale imperniato sui concetti di sicurezza dalle minacce esterne nel gioco della competizione globale. Un patto sociale fondato sul riarmo e sul keynesismo militare, come unica risposta della classe dirigente alla crisi in cui si dibatte il capitalismo occidentale.

Il giorno prima, 7 novembre, in audizione al Senato per illustrare i punti del Documento programmatico Pluriennale (DPP) elaborato dalla Difesa per il periodo 2024-2026, Crosetto aveva detto che “ogni euro investito in difesa ne genera due in valore aggiunto per il sistema economico nazionale“. Magari genera anche tensioni, distruzione, morti, ma probabilmente quello è visto come un “effetto collaterale“.

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