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La crisi dell’auto è il fallimento di Maastricht

Nel 1994 una Punto costava come dieci mesi di salario di un operaio della FIAT, oggi per una Cinquecento elettrica ci vogliono diciotto mensilità dei pochi operai rimasti in Stellantis. Il primo dato della crisi dell’auto è questo.

La Punto era stata concepita come auto popolare, appena sopra il livello più basso delle utilitarie, così come avrebbe dovuto essere la Cinquecento elettrica. Invece la Punto è stata l’ultimo vero successo di mercato del gruppo della famiglia Agnelli, mentre la Cinquecento elettrica resta invenduta nei piazzali.

Tutto questo però non è dovuto solo alla voracità della proprietà, che ha sempre considerato i propri profitti la sola costante tra tutte le variabili dell’economia. Una costante a cui sacrificare tutto, dai salari dei dipendenti agli investimenti.

Questa strategia del profitto a tutti i costi (degli altri) si è ancora accentuata con il percorso delle fusioni che, passando attraverso Chrysler, Peugeot e Citroen, è giunto al gruppo Stellantis. Che dal 2021 ha distribuito 23 miliardi di dividendi agli azionisti, più di 3 miliardi alla numerosa e litigiosa famiglia Agnelli Elkann, socio di maggioranza del gruppo con il 15% del pacchetto azionario.

Mentre crescevano i guadagni della proprietà e del suo manager Tavares, crollavano produzione e posti di lavoro, a conferma che gli Agnelli sono pessimi industriali, ma ottimi gestori della propria finanza.

Tuttavia, se il caso della Stellantis è un esempio di cattiva imprenditorialità che impone che gli Agnelli finalmente paghino, oggi bisogna collocare la crisi del gruppo in un collasso della produzione automobilistica che è di tutta l’Unione Europea.

Il passaggio dall’auto a combustibile fossile a quella elettrica ha fatto esplodere tutte le contraddizioni del sistema europeo guidato dell’austerità e dal mercantilismo finanziario.

Per decenni tutte le politiche economiche europee hanno imposto ai sistemi produttivi del continente la compressione del costo del lavoro e la delocalizzazione delle fabbriche, per favorire l’esportazione. Il mercato interno è stato sempre più trascurato, probabilmente perché si dava per scontato che tutti potessero vendere sempre di più all’estero.

Così in Europa si è dimenticato il principio affermato più di cento anni fa da Henry Ford: “gli operai devono ricevere stipendi sufficienti per poter acquistare le auto che producono“.

La guerra economica – scatenata dagli USA con tariffe e dazi – e poi la guerra vera e propria alla Russia, con le sanzioni, hanno bloccato le esportazioni europee. Successivamente la scelta dell’elettrico ha trovato l’industria europea impreparata. Infine quando si è cominciata la produzione delle auto elettriche si è “scoperto” che i salari medi erano troppo bassi per acquistarle in massa.

In Europa trionfano le Tesla, che costano almeno 70.000 euro e cioè che possono essere acquistate solo da chi è davvero benestante; mentre le auto per le classi popolari sono troppo care rispetto ai redditi medi. Insomma alla fine il liberismo e l’austerità europea, l’aggressione continua ai salari nel nome dei profitti, hanno prodotto una crisi strutturale di cui l’auto è la punta dell’iceberg.

Ora la soluzione regressiva a cui stanno pensando i governi europei, a partire da quello italiano, è di rallentare o bloccare il passaggio all’auto elettrica. Una sciocchezza che non produrrà risultati, così come non ne produrrà un sistema di incentivi per l’acquisto, perché favorirebbe ancora le auto elettriche americane o cinesi. E se incautamente la UE pensasse di accompagnare gli incentivi con dazi per le auto prodotte fuori dal continente, l’Europa pagherebbe il lieve guadagno per le auto con le ben più gravi perdite per tutto il resto delle produzioni non più esportate.

Insomma la crisi dell’auto è il fallimento del sistema economico europeo nato trent’anni fa dal trattato di Maastricht e dalle sue politiche di austerità e mercantilismo. È il fallimento di un sistema fondato sulla compressione e sulla riduzione dei salari e sulla distruzione dello stato sociale.

Se la sanità, la scuola, la casa, persino il cibo sono sempre più costosi, la prima cosa che fanno le classi popolari è rinunciare a cambiare l’auto, ancora di più per la costosa auto elettrica. In Italia ed in Europa c’è il boom delle auto usate e fanno affari come non mai le officine di riparazione che prolungano la vita all’auto di famiglia.

La crisi dell’auto è anche il fallimento del greenwashing, cioè della riverniciatura ecologica del sistema produttivo, guidata dal mercato e dai profitti. La sostituzione integrale dell’auto a combustibile fossile con quella elettrica non è una vera soluzione ecologica, perché presuppone il proseguimento sotto altre forme del sistema consumistico che ha devastato il pianeta.

In ogni caso però un passaggio produttivo di queste dimensioni non può essere lasciato agli interessi delle famiglie industriali e dei banchieri. Occorrono pianificazione economica e intervento pubblico.

Insomma la crisi dell’industria dell’auto europea è il fallimento della UE sul piano delle politiche dei redditi, di quelle di programmazione economica, di quelle ecologiche. Come al solito in Italia i danni e le ingiustizie sono più pesanti che altrove, ma tutti i grandi paesi europei, dalla Germania alla Francia, vivono la stessa crisi. Se non ci saranno crescita dei salari e intervento pubblico, l’industria dell’auto europea seguirà la sorte di quella tessile.

Alla Volkswagen è cominciata la lotta ad oltranza contro i tagli al personale e ai salari. È una risposta radicale che deve generalizzarsi, che deve arrivare in Italia. Perché la crisi dell’auto è la crisi dell’Europa del liberismo e dell’austerità, che potrà essere affrontata davvero solo rottamando Maastricht assieme all’auto a benzina, o prima ancora di essa.

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7 Commenti


  • Luca

    a parte il contenuto dell’articolo che è secondo me condivisibile ma una domanda la faccio: auto elettriche e centrali nucleari? cioè dalla padella alla brace? no perché la corrente non nasce per terra insieme alle patate…


  • Luciano Seller

    Sono deluso. La via da seguire sarebbe la sostituzione dell’auto a combustione interna con auto elettriche e poi garantirne la produzione di massa con salari adeguati? L’ambiente, le nostre città possono sopportsrlo? Non è meglio puntare su mezzi di trasporto comuni, efficienti, comodi, belli? Certo, ci vorrebbe una grande trasformazione, rivoluzionaria. Ma andare avanti così, dove ci porta?


    • Redazione Contropiano

      Hai ragione nel merito, ma non sui tempi… Cambiare il sistema di mobilità nella società occidentale – l’Italia ne è parte integrate, per ora – richiede tempo, programmazione, politiche (e una classe politica… che non c’è). Nel frattempo la popolazione deve potersi muovere. La soluzione a portata di mano (e neanche facile) per ora è quella. Per la rivoluzione ci stiamo attrezzando…


  • Anna

    Insisto che si omette un problema non trascurabile, a maggior ragione dai verdi: le componenti per l’auto elettrica, silicio e sim. a spese di quali paesi ce li procuriamo?


  • Andrea

    buongiorno
    Nikolas Tesla aveva scoperto che la crosta Terrestre e’ avvolta da una rete elettrimagnetica da cui si puo’ attingere energia elettrica.
    purtroppo si scelse i soci sbagliati per sviluppare il concetto di free energy


    • Redazione Contropiano

      In nome di Nikola Tesla, scienziato serio e senza che lui c’entri nulla, girano le teorie più fantasiose e improbabili… Evitiamo con cura di diffonderle.


  • Alberto

    Buonasera.Si vuole buttare la croce dell’ auto in crisi dando la colpa alla trazione elettrica,mi sembra che problema sta principalmente nell’ impossibilità delle persone all’ acquisto anche di quelle non elettriche,fate voi gasolio o benzina.
    Mi spiegate perché Stellantis in borsa vale 60 miliardi di dollari e Tesla 1000?Tesla fa solo elettrico…Mi spiegate perché Fiat ha deciso di non produrre più la Punto?
    Vedo molte Dacia ed MG, Stellantis (Fiat)usando pianali non di ultima generazione poteva fare un prodotto simile, almeno costruito qui in Italia,per non tirare in ballo auto assemblate in Italia ma cinesi a tutti gli Proprio oggi ho visto una trasmissione dove Calenda ha letteralmente annullato un dirigente Stellantis che non sapeva quante Maserati sono state prodotte,vi invito a guardarlo, sicuramente la politica ha gravi colpe ,ma le scelte sbagliate dei top manager dell’ industria auto europee sono evidenti.
    Per finire ho una bellissima e impareggiabile FIAT 500 Elettrica costruita in Italia e la batteria è Samsung,ho sempre avuto Fiat da mio padre 850 , Autobianchi A111 alla Panda o Uno… altri tempi!

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