Il direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, ha confermato che l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna ha utilizzato e sta tuttora utilizzando lo spyware Graphite, ma ha precisato che lo ha sempre fatto per i fini consentiti e previsti dal contratto con la società israeliana Paragon.
Il direttore dell’Aise Caravelli, è stato audito ieri per due ore e mezza dal Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti.
Si è scoperto così che Graphite è in uso all’Aise e che il contratto è ancora in essere perché non c’è stato nessun utilizzo improprio, quindi il contratto non è stato rescisso come è stato dichiarato dalla società israeliana.
Il governo aveva fatto già filtrare una nota, affermando che lo spyware, da contratto, è in uso a due clienti: uno “all’interno dell’intelligence” e l’altro è in uso “ad una forza di polizia”.
Quindi sono due soggetti chiaramente istituzionali a poter disporre del sistema di spionaggio utilizzato illegalmente contro sette cittadini italiani – tra cui Luca Casarini e il direttore di Fanpage Cancellati – ai quali è stato infilato lo spyware nel telefonino tramite le chat di Whatsapp.
Ai due si è aggiunto il nome di un altro “spiato”. Si tratta di David Yambio, cittadino sudanese in Italia dell’associazione Refugees in Lybia e vittima delle torture del generale libico Almasri liberato dalle autorità italiane nonostante l’incriminazione da parte della Corte Penale Internazionale. Altri due “spiati” di cui si è riusciti a sapere sono invece un noto attivista del Nordest Beppe Caccia, armatore della nave “Mediterranea” e Husam Al Gomaty un altro attivista tra i migranti che ha denunciato il lavoro sporco in Libia ma che però vive in Svezia.
Resta ancora un mistero chi sia il “mandante” dello spionaggio ai loro danni.
Trattandosi di esponenti di una Ong attiva nel salvataggio dei migranti in mare, del direttore di un giornale ritenuto “ostile” dal governo e di attivisti nel movimenti dei migranti che hanno denunciato le malefatte in Libia, al momento, anche solo andando per conseguenza logica, la pista porta a Palazzo Chigi che però ha smentito ogni coinvolgimento. A meno che, parallelamente al governo, non agisca anche un deep state di fedelissimi all’interno dei servizi segreti. Ci auguriamo che anche su questo verminaio il governo “non la butti in caciara”.
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