Mi chiedo chi siano “Le compagne e i compagni di Franco Piperno”, che si arrogano il diritto di celebrare una commemorazione dovuta – programmata per questo venerdì 14 febbraio – senza neppure consultare quelle e quelli che a Franco furono vicini nei suoi anni migliori di militante comunista e rivoluzionario.
Non si tratta di retorica passatista, ma del rispetto della memoria storica. E soprattutto del vissuto di un uomo che ha dato un contributo essenziale, e in termini positivi, agli avvenimenti del decennio 1970. Che per centinaia di migliaia di noi furono una stagione di libertà, di partecipazione e di vita collettiva.
Senza dimenticare che l’assassinio della memoria è stata l’arma di guerra utilizzata per fare scempio, travisandone i contenuti, della trasmissione della conoscenza di questo periodo, in cui la presenza di Franco fu molto importante per lo sbocco delle lotte in una forma particolarmente radicale di sovversione sociale e per la sua indispensabile militarizzazione, a partire dalla seconda metà degli anni ’60.
Ora, a fronte di un sogno di un assalto al cielo, di cui Franco, per un breve periodo, fu uno dei promotori emblematici, non può che indignarmi questa iniziativa che puzza terribilmente di recupero politico e di strumentalizzazione da parte di un gruppo di eredi tardivi del “movimento della dissociazione” agli ordini dello Stato.
Movimento che si rese tra l’altro protagonista dell’iniziativa infame delle “aree omogenee” nel circuito delle carceri speciali.
Quelli che si danno, o si fanno dare, il compito di riscrivere la storia secondo la versione del potere, lo facciano pure, secondo la loro coscienza, ma rispettando i morti.
Insieme ad altri compagni, che furono vicinissimi a Franco negli ultimi anni della sua vita, come io lo sono stato nel periodo ’67-’73, sto preparando un omaggio per salutarlo e ricordarlo nella maniera che più conviene alla realtà della persona e della storia.
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