Pochi giorni fa sono stati pubblicati i dati di un sondaggio realizzato da Noto Sondaggi per Il Sole 24 Ore, che ha provato a scandagliare il malessere dei giovani e l’isolamento in cui in molti, purtroppo, si confinano. I risultati meritano una riflessione, perché danno la misura del fallimento di questo sistema politico e sociale, ma danno anche un’idea su come ribaltare la situazione.
Il campione usato è fatto di mille giovani tra i 16 e i 24 anni, dunque studenti o lavoratori alle prime esperienze. Uno su due indica tra i fattori che più influenza il proprio futuro la crisi economica (49%) e il lavoro (47%), due nodi che vengono considerati più impattanti sulla sfera personale di sicurezza, immigrazione e guerre.
È da evidenziare come, tolta la crisi ecologica, in realtà non ci sia alcun tema che rimanda a una dimensione collettiva a segnare la vita dei giovani di oggi – dato che anche la crisi viene interpretata come minaccia alla stabilità economica futura. Tutti le difficoltà vengono vissute come esperienze prettamente personali e interiori, e ciò si ripercuote sul disagio psicologico e sull’isolamento sociale.
L’81% degli intervistati ritiene che il malessere psicologico sia una condizione diffusa. Ben il 70% ha affermato di essersi sentito depresso o senza speranza negli ultimi 12 mesi, un giovane su cinque riferisce di trovarsi in questo stato quasi tutti i giorni. Solo il 7% dei giovani ha detto di non essersi mai sentito in questo stato.
Questo disagio non viene tuttavia affrontato rivolgendosi a un professionista: il 42% del campione non ha mai parlato con uno psicologo, o non pensa proprio di averne bisogno. Il 40% degli intervistati, se anche ne ha sentito la necessità, non ne ha mai contattato uno, e questo solleva pesanti dubbi su quanto ciò possa essere dovuto anche a motivi economici.
Inoltre, un giovane su cinque si sente escluso dalla società, e più di uno su due oscilla tra inclusione ed esclusione. Il 55% delle persone segnala la perdita di interesse nei confronti della vita sociale e di relazione, il 52% dei rapporti scolastici e lavorativi. Si salva leggermente la sfera familiare, fermandosi al 46%.
Ma non è difficile comprendere come anche qui a pesare sia la preoccupazione per il futuro, nei confronti della quale la famiglia rappresenta una sorta di “rifugio“. Non la scusa per evitare di lavorare, come spesso si sente dire dai liberisti più feroci, ma l’unica àncora in un mondo senza prospettive.
L’essere atomo nella società non viene vissuto però come un totale ripiegamento su stessi. Tolto il 17% degli intervistati, che trascorre l’isolamento sui social (che è comunque una forma particolare di contatto con l’altro), le altre attività segnalate, come guardare la televisione (25%) o ascoltare la musica (23%), non sono necessariamente azioni da svolgere da soli. “Addirittura”, il 14% legge e studia.
Non si può dedurre solo da un sondaggio un cambio epocale di come “consumiamo” i prodotti mediatici o una tendenza rispetto alla formazione di una conoscenza solo personale e mai condivisa. Ma è evidente come il problema venga posto a partire dal punto di partenza sbagliato, ovvero dal singolo, quasi fuori dalla storia, e non da come è stata modellata la società negli ultimi trent’anni.
Questo è palesato nelle parole che leggiamo sul giornale, quando riguardo alla disaffezione all’impegno politico o al volontariato viene scritto che “il rifiuto di un maggiore coinvolgimento potrebbe essere legato alla preoccupazione” riguardo alla propria condizione economica.
È una differenze sottile quella che qui sottolineo, perché del resto l’autore dell’articolo non dice una cosa falsa, anzi. Ma il nostro paese ha vissuto fasi in cui tutto era da ricostruire, come quella successiva alla Seconda Guerra Mondiale, o comunque varie crisi economiche, ma l’attivismo sociale e politico era semmai stimolato da questi problemi collettivi.
Oggi, il 93% degli intervistati dichiara di non essere impegnato in politica, l’80% non partecipa ad attività di volontariato. Il 52% dei giovani afferma che, ora come ora, non andrebbe a votare. Ma è ancora più interessante notare quello che dice Andrea Pirni, professore ordinario di Sociologia dei fenomeni politici a Genova, riportato da Il Sole 24 Ore.
A suo avviso, “varrebbe la pena di chiedersi quanti non giovani si ritengano impegnati in politica” perché “probabilmente la percentuale dichiarata dagli intervistati (7%) risulterebbe più alta della percentuale del resto della popolazione“. E aggiunge: “oggi, i giovani pongono un distacco […] che risulta molto affine al disinteresse per la politica da parte delle cosiddette generazioni adulte“.
“Si ritiene – dice in un’affermazione dal portato significativo – che la componente giovanile non sia più l’anomalia rispetto al resto della popolazione ma quella che – forse – esprime, con maggiore forza rispetto al secolo scorso, una tendenza trasversale“. Cioè quella alla non partecipazione alla vita pubblica, lasciando ad altri il decidere per sé.
Non bisogna dimenticare che quando parliamo di cinquantenni, che in genere vantano una stabilità lavorativa maggiore dei ventenni, parliamo di persone cresciute nel mantra thatcheriano del “non esiste la società, esistono solo gli individui“. E non ci addentriamo neanche nel mondo che hanno vissuto le generazioni successive.
Insomma, se la distanza dalla politica è un fenomeno trasversale, è difficile affibbiarlo alla sola precarietà economica, anche se è certo che questa influisca. Sembra però che essa sia piuttosto il risultato di un modo di intendere la società che è stato inculcato a forza di propaganda nei giovani (o gli ormai meno giovani), man mano che crescevano.
L’individualismo, la competitività, l’arrivismo, il rifiuto della solidarietà, in un orizzonte segnato pesantemente dall’approccio “presentista” per cui il passato e il futuro non esistono, nel mondo della globalizzazione in cui il mercato era identificato con la democrazia e la storia si dava per “finita“, sono diventate le colonne portati del nostro modo di vivere, da almeno trent’anni a questa parte.
Oggi la Storia si è riaffacciata con forza nelle vite sedate dell’Occidente, con una crisi economica che tra alti e bassi procede da quasi venti anni, con una pandemia che non ha cambiato in nulla l’approccio a diritti fondamentali come quello alla salute, con scenari di guerra che si moltiplicano.
I giovani sembrano non avere gli strumenti per gestire fenomeni di portata storica e, dunque, “individualizzano” e “interiorizzano” le difficoltà. E dico “sembrano”, perché anche se è evidente che in parte è così, il fatto che lo stesso Pirni giudichi probabile che la percentuale di giovani impegnati politicamente sia maggiore che per altre fasce di età ci impone di riflettere.
La contraddizione tra la disaffezione alla politica, cioè alla ricerca di risposte collettive, rispetto alla dimensione comune se non globale dei problemi salta agli occhi. Ma è semmai proprio la totale mancanza di prospettive lasciata dal fallimento delle classi dirigenti e dal vicolo cieco in cui si trova il modello di sviluppo capitalistico occidentale che potrebbe spingere i giovani ad attivarsi più dei vecchi.
Certo, è necessario organizzarsi, diventare un “cervello collettivo” che condivide una visione del mondo e ragiona su come trasformarlo, che fa un lavoro per liberarsi dell’ideologia thatcheriana inculcatagli negli anni e porta questa battaglia ideologica anche fuori di sé. Non è uno sforzo da poco, e c’è modo e modo di farlo.
Ma rimane la necessità di passare dalla dimensione dell’individuo a quella del gruppo per diventare una soggettività che opera nella storia. E provare a darle una spinta da una parte o dall’altra, per risolvere se non tutti i problemi dell’umanità in quanto tale, almeno quelli derivanti dal funzionamento del nostro sistema economico-sociale, senza che ricadano come una colpa sulla singola persona.
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Paolo
Tutto vero, ma ci sono giovani in queste condizioni che sono omofobi, quindi anziché dividere il mondo come dovrebbero, giudicando le persone in base alla loro complicità col padrone o meno, dividono il fronte di lotta in base alle scelte sentimentali e sessuali di loro potenziali compagni di lotta. E il padrone se la ride. Quindi molti giovani, esattamente come molti adulti, sono loro stessi responsabili delle loro condizioni precarie.
Redazione Contropiano
Forse ti sfugge il fatto che un “sistema malato” fa ammalare un po’ tutti. E che dunque anche gli atteggiamenti “sbagliati” sono parte di questa situazione…
Giorgio
Lo spirito ribelle e quasi scomparso. Non parlo di impegno politico, ma fenomeni culturali come il Rock, Punk o il Rap , che originariamente erano espressioni di inconformismo e antagonismo giovanile NON sono stati sostituiti da altre forme di espressione mentre questi venivano fagocitati e resi inoqui dal sistema. Sembrano sedati…Incluso la voglia di aventura, di viaggiare fuori dagli schemi ed itinerari turistici e nettamente in calo. Tutto sommato sembra che siano nati vecchi ( non tutti ovviamente)
Redazione Contropiano
Anche questo (“sembrano tutti nati vecchi”) è un risultato del “sistema”, non una colpa dei singoli o della generazione…
Mara
Nell’articolo sembra che si accusinoi giovani ma anche una parte della popolazione più anziana di essere staccati dalla politica rappresentata dalle istituzioni.
Io invece ritengo molto comprensibile che lo siano,, perché sono queste istituzioni e i partiti destra e sinistra, che si sono distaccate dal popolo e questa non è una democrazia ma una edizione aggiornata di fascismo.
Oigroig
Cynthia Cruz parla della “malinconia di classe”: https://www.leparoleelecose.it/?p=50898. Il che vorrebbe dire, per chi ragiona in termini dialettici, che il negativo è ancora al lavoro nei margini infelici e silenti dell’attuale società. Tutto sta tornando in movimento dopo l’epoca della “fine della storia” e forse siamo noi a essere rimasti un po’ “rigidi” e a non riuscire a pensare e agire nell’unico presente che ci è dato… Presto dovremo farlo comunque ed è un bene. Lolli cantava dell’«eroe che si rallegra della guerra vicina», e ci stiamo arrivando, dobbiamo passare solo dalla malinconia al suo contrario. E per farlo ci vorrebbe un programma, non ideuzze tenute insieme con lo scotch.
Oigroig
A volte le vecchie canzoni ci tornano in mente perché ci parlano con molta più chiarezza di quelle di oggi:
«Quando la morte avrà
scacciato la paura
che per tutta la vita
ti è stata concubina
e avrà fatto di te
il più grande di noi
l’eroe che si rallegra
della guerra vicina.
Quando la morte avrà
sconfitto il compromesso
cui la meschinità
ti aveva condannato
e il lampo dei tuoi occhi
si mostrerà contento
di vivere da uomo
almeno un momento.» (Claudio Lolli)
Giovanni Scavazza
👌👍❤️