Menu

Il loro 8 marzo: ergastolo per i femminicidi. Il nostro 8 marzo: prevenzione e servizi per una giustizia reale!

Il sistema punitivo continua a prevalere sulle misure di prevenzione e sulle politiche che potrebbero realmente cambiare le condizioni di vita delle donne. Il governo, invece di investire in servizi e tutele, preferisce usare il pugno di ferro e annunciare provvedimenti simbolici, come l’ergastolo per i femminicidi, sfruttando l’attenzione mediatica e sociale legata alla Giornata Internazionale della Donna. Ma basta sponsorizzare un reato per cambiare un sistema fallace?

La risposta è semplice: NO. Lo vediamo con i reati di stupro, con la condivisione non consensuale di materiale intimo, con lo stalking e con ognuna delle molteplici forme di violenze e abusi che subiamo. Le condizioni materiali di chi subisce violenza restano drammatiche e lo Stato si gira dall’altra parte.

Nei quartieri popolari, dove l’accesso a un reddito dignitoso, a un alloggio stabile e a servizi di supporto è un miraggio, lo Stato è assente o, peggio, complice della violenza economica che intrappola le donne in situazioni di abuso.

La vera risposta alla violenza di genere deve affrontare le cause profonde del problema. Bisogna agire nelle scuole, nei quartieri, nei luoghi di lavoro, costruendo spazi di consapevolezza e supporto che trasformino le relazioni sociali alla radice. Non vogliamo una giustizia che si riduca solo a punire: vogliamo una giustizia che trasformi davvero la vita delle persone.

L’8 marzo il governo Meloni ha annunciato l’ergastolo per i femminicidi. Noi, invece, eravamo nelle strade di Rebibbia, Pietralata, Primavalle e alla manifestazione di Non Una Di Meno Roma per gridare a gran voce quello che può davvero prevenire la violenza: consultori pubblici, gratuiti e accessibili, case rifugio, sportelli e centri antiviolenza, il diritto alla casa per tutte e tutti e molto altro.

Mentre lo Stato e l’Unione Europea sprecano miliardi per la guerra e il riarmo, nei nostri quartieri mancano servizi essenziali e risorse per il sociale. Per questo, anche il 15 marzo saremo in piazza contro guerra, riarmo e Unione Europea.

La giustizia non avrà mai peso se nella società continuerà a vincere chi ha soldi, potere, forza, riconoscimento e agio. Un inasprimento delle pene non aiuterà le donne. Non le salverà, non le emanciperà, non le renderà consapevoli di ciò che possono fare e non offrirà loro le opportunità per farlo.

Sapete cosa invece aiuterebbe? Educare, tutte e tutti, all’affettività e alla sessualità, a un’espressione di relazioni sane e rispettose. Anche per questo stiamo portando avanti percorsi e iniziative nelle scuole. Laddove oggi si preferisce insegnare competizione, valori nazionalisti e individualismo (come evidenziato dalle riforme di Valditara e dalle linee guida sull’educazione civica), bisognerebbe invece lavorare per una crescita collettiva.

La scuola dovrebbe essere un luogo in cui si promuovono e si educa a valori di solidarietà, pari opportunità ed equità, non un centro di formazione della competitività a ogni costo, incentrato su logiche d’impresa, patria e individualismo esasperato.

Nel frattempo, ci siamo prese la responsabilità di portare avanti battaglie concrete. A Primavalle, Quartaccio e Torrevecchia, zone in cui negli ultimi anni si sono susseguiti femminicidi e violenze, abbiamo avviato una vertenza per ottenere uno sportello antiviolenza pubblico.

Siamo stanche di vedere le istituzioni fare passerelle mediatiche dopo ogni tragedia senza mai muovere un dito per cambiare davvero le cose! Vogliamo che sia garantito un punto di riferimento stabile per le donne che cercano supporto e non accetteremo più scuse.

Quello che l’attuale governo Meloni sa fare in risposta alla violenza di genere e ai femminicidi è solo mettere manette, ma dopo che il peggio è già accaduto. Infatti, le risorse investite dal governo sono destinate sempre in misura maggiore alla repressione e non alla prevenzione. In un anno di governo, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha tagliato i fondi per la prevenzione della violenza contro le donne del 70%: dai 17 milioni di euro siamo passati a soli 5 milioni per il 2023.

La paura di una punizione non serve a nulla se parallelamente non si accoglie la lotta ad un sistema che relega la donna al ruolo di vittima, ad una cultura con valori basati sull’individualismo, la logica del possesso e sulla legge del più forte in cui le disuguaglianze sono all’ordine del giorno.

Il femminicidio è la punta di un iceberg sorretto da violenze che il nostro stesso Stato normalizza e che sono prodotto di questa società e di questo sistema. Se vogliamo davvero fermare la violenza di genere, dobbiamo cambiare le condizioni materiali e culturali che la rendono possibile. E non smetteremo di lottare fino a quando questo non diventerà realtà.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *