“Il travaso di ricchezza dai lavoratori al capitale è stato pazzesco”. Parola di Riccardo Gallo, docente impegnato in uno studio dell’Osservatorio Imprese dell’Università La Sapienza di Roma sulla dinamica dei redditi nell’industria italiana.
Mentre il Governo celebra record su record e Meloni si vanta di “mai così tanti occupati dai tempi di Garibaldi”, la realtà per i lavoratori e le lavoratrici dice altro. Nel 2023 il giro d’affari delle imprese di medie e grandi dimensioni era superiore del 34% a quello del 2019, anno precedente alla pandemia. Stessa dinamica per il valore aggiunto: +33%. Più ricchezza prodotta, quindi.
Qui sulla terra, però, non ce ne siamo accorti. Perché la quota che è andata a finire nei redditi dei lavoratori è calata del 12%; quella nelle tasche degli azionisti è invece schizzata del +14%. Com’era la favoletta secondo cui per far stare meglio chi lavora bisogna produrre più ricchezza?
La verità è che se non si cambiano i rapporti di potere nella società, la maggiore ricchezza prodotta andrà sempre e solo a ingrassare i ricchi e potenti, non certo i lavoratori e le lavoratrici. Negli ultimi 30 anni l’Italia è l’unico Paese OCSE in cui i salari medi sono calati (-2,9%) anziché aumentare e dal 2008 a oggi sono crollati addirittura dell’8,7%, a causa dell’inflazione.
Se l’aumento dei prezzi ha gonfiato i profitti – soprattutto di banche, farmaceutica, imprese energetiche, assicurazioni – è perché ha fatto crollare il già scarso potere d’acquisto di lavoratori e lavoratrici, soprattutto di quelli che guadagnano meno. Profitti e salari non sono due rette parallele, ma l’una dipende dall’altra.
Quando i profitti si impennano è perché i salari sprofondano. Col risultato che oggi 1 operaio su 7 è a rischio povertà: non basta più avere un lavoro per uscire dalla trappola della povertà. Non è frutto del caso, o della sfortuna, ma di decisioni del potere politico – tanto delle destre quanto del centrosinistra – a tutela di quello economico.
Con la giustificazione da parte del potere mediatico, prontissimo a sputare veleno contro giovani e meno giovani che “non hanno voglia di lavorare”, “non sanno cosa sia il sacrificio”, ecc.. Almeno da trent’anni, ogni norma “dedicata” al mondo del lavoro ha prodotto un arretramento per chi lavora e un avanzamento per il capitale. Terreno inaugurato dalla stagione della concertazione di inizio degli anni ‘90 e che ha significato il disarmo del sindacato di fronte agli attacchi padronali.
Tutto accompagnato dalla continua frammentazione della classe lavoratrice, attraverso leggi, contratti (l’invenzione di decine di forme contrattuali diverse, così che sullo stesso posto di lavoro per la stessa mansione si trovano persone con contratti differenti o dipendenti di aziende diverse), e ideologia (a partire dal razzismo, che prima che arma “culturale” è arma “materiale” nel separare i destini di chi invece è accomunato dagli interessi).
Se oggi l’ultradestra di Meloni affonda come il coltello nel burro è perché altri questo burro l’hanno preparato.Per invertire la rotta serve un cambio di orizzonte. A partire dalla consapevolezza che mai come oggi abbiamo vissuto una tale divaricazione tra le potenzialità del nostro tempo e le condizioni reali.
Abbiamo tecnologie per poter alleggerire il lavoro di milioni di lavoratori e lavoratrici. Condizioni che permetterebbero una drastica riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. O, anche, con salari più alti. A patto di attaccare i profitti.
La pandemia ci ha reso chiaro che non abbiamo bisogno di miliardari come Bezos e Musk e che il mondo si regge su lavoratrici delle pulizie, cassiere, operai, facchini, braccianti e sulle anonime spalle di milioni di lavoratori e lavoratrici.
Cambiare i rapporti di potere significa mettere il nostro mondo nelle mani di chi lo produce e riproduce, togliendolo da quelle di eccelle solo nell’arte del parassitismo e dello sfruttamento. Gli stessi che oggi spingono per il riarmo pagato dai soldi dei lavoratori per ingrassare le imprese belliche e fare la guerra ad altri lavoratori.
Dopo questo 1 maggio, organizziamo una manifestazione nazionale a Roma in occasione del vertice NATO, contro il riarmo, che sia europeo o nazionale, e contro l’Alleanza Atlantica che spinge per più soldi alle armi e più guerra.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa

angelo
potere al popolo e M5S devono stare insieme altrimenti tutto sarà inutile il capitale vincerà ancora