Arrivando al vertice informale dei ministri degli Esteri della NATO, svoltosi il 14 e 15 maggio nella città turca di Antalya, Antonio Tajani ha dichiarato ufficialmente che l’Italia ha raggiunto la soglia del 2% del PIL in spese militari. Anzi, ha detto che il governo ha già inviato il documento che attesta questo traguarda a Mark Rutte, segretario dell’alleanza atlantica.
Il ministro italiano ha detto che Giorgia Meloni avrebbe voluto annunciarlo al summit NATO del 24 e 25 giugno, di cui l’incontro di Antalya è un passaggio preparatorio. Ma alla fine Tajani ha preferito fregiarsene subito, durante un’occasione che aveva al centro, oltre all’espansione della produzione e il rafforzamento di deterrenza e difesa, anche l’aumento delle spese militari.
Nelle parole di Tajani c’è sicuramente la volontà di mostrarsi sulla buona strada rispetto agli impegni presi, arrivando alla soglia di spesa fissata ormai nel 2014. Ma andando più a fondo è anche una mossa di un governo che sa di non avere molto spazio fiscale, e che a fine giugno la NATO deciderà obiettivi finanziari molto più onerosi.
Infatti, nemmeno un mese fa Rutte, di ritorno da un incontro a Washington con il presidente statunitense Donald Trump, aveva annunciato la volontà di fissare una nuova soglia di spesa al 5% del PIL, da raggiungere gradualmente entro il 2032. Del resto, si prevede che entro la fine del 2025 tutti i paesi dell’alleanza raggiungeranno il 2%, e perciò si vuole spingere l’acceleratore sulla deriva bellicista.
L’idea sarebbe quella di toccare il 3,5% del PIL per la difesa in senso stretto – i core military requirements, elaborati secondo i criteri di calcolo di spesa attualmente in uso tra i membri dell’alleanza atlantica – e l’1,5% in più generiche spese per la sicurezza, i broader defence related investments, la cui definizione dovrà essere contrattata, e che sicuramente sarà tema del vertice NATO di fine giugno all’Aja.
Su questa divisione di spesa Tajani non è molto d’accordo, e ha affermato di ritenere più equilibrato un investimento del 3% nella difesa in senso stretto e del 2% nella sicurezza. La soglia del 2% raggiunta in questi giorni, annunciata da Tajani e poi anche da Crosetto, quasi sicuramente è stata raggiunta conteggiando nel totale un insieme di spese non propriamente militari.
L’osservatorio Milex ha calcolato per il 2025 una spesa militare italiana secondo i criteri NATO di poco superiore ai 35 miliardi: mancano 10 miliardi all’appello per raggiungere la soglia del 2% del PIL. Probabilmente oggi sono state conteggiate anche le pensioni militari, le spese della Guardia costiera e della Guardia di finanza, e forse altri fondi del ministero dell’Università e dell’Industria.
C’è chi valuta che, nelle spese militari largamente intese, il governo voglia considerare anche quelle per il Ponte sullo Stretto di Messina, di cui è stata dichiarata l’importanza strategica. Quello di Tajani è un annucio che mostra la buona volontà italiana nella militarizzazione dell’economia, ma che serve anche a mandare un messaggio rispetto alla trattativa che riguarderà i paesi NATO nei prossimi mesi.
L’obiettivo, ad ogni modo, è condiviso: sollevare gli Stati Uniti da parte del peso della spesa per l’alleanza atlantica. Passare dal burden shifting, ossia dal semplice spostamento degli oneri, al burden sharing, ovvero la condivisione di essi, stando al contenuto di una lettera inviata da Rutte ai membri della NATO, anticipata dalla rivista tedesca Der Spiegel.
Un percorso che asseconderebbe i desideri di Washington, ma che rappresenta anche la giustificazione del progresso nell’edificazione di una compiuta difesa europea. Proprio ieri, 16 maggio, si è svolta a Roma la quarta riunione dell’E5, un formato di cooperazione informale tra i ministri della Difesa di Italia, Francia, Germania, Polonia e Regno Unito.
L’obiettivo di questo tipo di forum, si legge sul sito della Difesa italiana, è quello di promuovere una “maggiore autonomia strategica dell’Europa nella gestione delle proprie questioni di sicurezza, pur mantenendo saldi legami con la NATO e con l’Unione Europea“. Ne fanno infatti parte i cinque grandi attori del complesso militare-industriale europeo.
Le prime tre economie della UE, il bastione del fronte orientale di Unione Europea e NATO, e il Regno Unito. Sono questi gli attori che si candidano a guidare un nuovo sistema integrato delle difese del Vecchio Continente, come strumento strategico fondamentale in questa fase della competizione globale. Per questo il 2% è solo l’inizio…
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
