L’ambasciatore italiano nei Paesi Bassi, Augusto Massari, ha consegnato una memoria integrativa di una quindicina di pagine alla Corte Penale Internazionale, per cercare di evitare il deferimento dell’Italia a causa delle inadempienze sul caso Almasri. E anche per evitare a Nordio di doversi mostrare come inadeguato, o come connivente coi trafficanti di esseri umani. O entrambe le cose.
Intanto, Roma deve dimostrare la buona fede nei provvedimenti presi per Almasri. Ma la memoria inquina ancora di più le acque con una serie di indicazioni che sono contorte, poco credibili, a volte facilmente smentibili. Innanzitutto, perché il ministro Nordio sapeva tutto per terpo sul caso, e ha agito proprio consapevole di tutte le sue responsabilità.
Per questo, il tentativo di Massari – in passato consigliere diplomatico di Nordio – di attribuire ogni responsabilità ai giudici sulla vicenda, con il ministro che si è limitato a rispettare la divisione dei poteri, fa acqua. È un principio che va bene se si rimane nella teoria, va bene per la normale amministrazione, ma nella pratica di un ricercato per crimini contro l’umanità la questione cambia.
Basterebbe il fatto che, effettivamente, il ministro può e deve intervenire in situazioni del genere, per richiamare le responsabilità politiche non assolte. Basterebbe ricordare, in generale, che esistono provvedimenti di grazia, o anche che lo stesso governo sta ora promuovendo uan riforma della giustizia che da molti viene criticata per porre i PM sotto il controllo dell’esecutivo, per smontare questa posizione.
La politica conta, altrimenti che ci sta a fare un ministro della giustizia? Un altro punto che palesa solo un’ulteriore ‘arrampicata’ sugli specchi è quello dell’estradizione. Roma avrebbe preso atto della richiesta di estradizione fatta dalla Libia: una paginetta appena, che però sarebbe stata sufficiente a rendere il quadro intorno Almasri ancora più complesso.
E qui, di nuovo, risalta l’inadeguatezza e anche l’abbandono di qualsiasi ruolo politico da parte di un ministro. Il puzzle del caso avrebbe “impedito al governo italiano di completare le proprie valutazioni prima dell’adozione da parte della Corte d’Appello di Roma della sua decisione”. Insomma, non c’era abbastanza tempo per farsi un’opinione.
Dunque, un intero ministero, per quanto sia stato informato in sostanza in tempo reale, non ha abbastanza risorse e abdica a qualsiasi decisione politica. Ripetiamo: e allora a che serve avere un ministro della giustizia? E questo nonostante gli fosse stato trasmesso, anche questo per tempo (anche se poi dicono che la notifica sia stata controllata in ritardo…), il mandato di cattura da parte della CPI.
Qualcuno ricordi a Nordio che anche l’adesione a questo organo internazionale è stato un atto politico. Il governo può decidere di non farne più parte, tanto è abbastanza evidente che il diritto internazionale non gli interessa. Ma finché Roma sarà legata alla CPI, allora i mandati di cattura vanno eseguiti, ed è responsabilità politica del ministro fare in modo che succeda.
Inoltre, Almasri è stato rimpatriato. Non estradato. E non nel paese di provenienza (Almasri aveva un passaporto dominicano), ma in quello d’origine. La separazione dei poteri, sì, ma su tutto il resto si chiude un occhio. L’unica cosa credibile nella memoria presentata all’Aja è la ribadita motivazione di ordine pubblico e sicurezza nazionale.
Ovvero, consegnare Almasri alla giustizia avrebbe significato rompere i patti con i trafficanti di esseri umani che tengono nei lager libici i migranti che la UE non vuole, perché ad ora non utili nel mercato del lavoro. È questa la sicurezza nazionale di cui parla la memoria.
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