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Nordio sapeva tutto per tempo sul caso Almasri

Il ministero della Giustizia era stato informato per tempo di un atto urgente da firmare per evitare l’inefficacia dell’arresto di Osama Almasri, criminale libico ricercato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità come carceriere di migranti. Ora la situazione del governo si complica.

Con la fine delle indagini del Tribunale dei ministri di Roma emergono nuove informazioni che smontano la ricostruzione dei fatti offerta inizialmente dal guardasigilli Carlo Nordio. Nella sua informativa al Parlamento, lo scorso febbraio, il ministro aveva sostenuto di essere stato avvisato solo lunedì 20 gennaio dell’arresto di Almasri, quando ormai il generale libico era stato rispedito oltre il Mediterraneo.

Invece, il capo del Dipartimento affari di giustizia Luigi Birritteri ha scritto al capo di Gabinetto Giusi Bartolozzi il pomeriggio del 19 gennaio, segnalando la necessità che Nordio mettesse la firma su un atto urgente, per osservare il mandato di cattura emanato dall’Aja e porre rimedio all’errore procedurale segnalato dalla Corte di appello di Roma nell’arresto di Almasri.

C’è una mail delle 15:28 del 19 gennaio in cui Bartolazzi informa Birritteri di essere già informata dell’accaduto, e la sua preoccupazione è quella di raccomandare il massimo riserbo, aggiungendo che preferisce una comunicazione chat su Signal piuttosto che l’uso di protocolli e mail. Un ottimo modo per cercare di nascondere quanto più possibile le proprie azioni.

Il ministero della Giustizia afferma che una mail precedente, delle 14:35, già dimostrerebbe come Birritteri aveva informato Bartolazzi, ma in essa veniva scritto che la vicenda, irrituale nella sua procedura, non vedeva coinvolto il dicastero in maniera diretta come autorità competente. “Domani faremo le nostre valutazioni – era scritto nel messaggio – sulla base della documentazione che ci verrà eventualmente trasmessa“.

Tanto basta a Nordio e al suo staff per discolparsi, perché dimostrerebbe che non avevano ancora abbastanza elementi per agire. Eppure, il magistrato di collegamento presso l’ambasciata italiana in Olanda, per quell’ora, aveva già inviato sulla piattaforma Prisma l’atto di accusa dei giudici dell’Aja.

Bartolazzi ha detto di aver aperto la piattaforma solo il 20 gennaio, quando ormai era troppo tardi per intervenire. Come se si trattasse della chat di gruppo con gli amici, che ignori qualche ora per rispondere poi la mattina successiva, e non ci fosse in gioco l’arresto di un criminale internazionale. Quindi, al di là di tutte le ‘irritualità’, c’erano tutti gli elementi per assicurare Almasri alla giustizia.

È evidente che la scelta di lasciare libero il generale libico è stata tutta politica, rispetto agli accordi coi trafficanti di esseri umani che il nostro paese ha stipulato con le autorità al di là del Mediterraneo. Del resto, nelle mail si legge esplicitamente che il caso poteva avere “una possibile valenza politica di non trascurabile entità trattandosi di questione inerente lo scenario nord-africano“.

Inoltre, si conferma che il responsabile del ministero della Giustizia ha dunque mentito al Parlamento. Non che questo sorprenda, non che questo non sia successo in passato. Eppure, non va sottovalutata la gravità di un atto del genere. Senza considerare che ciò avviene mentre Meloni, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano sono indagati per i fatti.

Un terremoto giudiziario che avviene sul terreno della complicità di Palazzo Chigi con la sistematica violazione dei diritti umani. Anche in questo caso, non una novità, soprattutto dopo due anni di genocidio dei palestinesi in diretta TV. È però un segnale evidente di una crisi irreversibile di cui è partecipe tutta la classe dirigente, che a fasi alterne si è resa responsabile, tutta insieme, delle stesse azioni.

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1 Commento


  • Oigroig

    È «crisi irreversibile» della classe dirigente solo se si tiene come punto di riferimento il diritto borghese di una volta, ma in un mondo in cui la prepotenza, il militarismo, la deportazione e la strage diventano strumenti di governo basta dire «crisi»? Se bastasse, i criminali di governo dovrebbero finire tutti a processo e invece raccontano frottole sicuri della loro totale impunità… È come per l’aereo caduto su una scuola alla periferia di Bologna negli anni Novanta: il pilota si lanciò molto prima del necessario, dodici morti, decine di feriti gravi e il tribunale stabilì che «il fatto non costituisce reato».

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