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Draghi e la globalizzazione

Il discorso di Draghi al meeting di Rimini ha attirato molta attenzione ed è già stato oggetto di commento su queste pagine. Dato il peso dell’oratore, può meritare qualche considerazione ulteriore.

Se guardiamo ai fatti per quello che sono, l’odierna Unione Europea non è nata dagli svolazzanti “valori” di Draghi. E’ nata dalla paura, dal rancore e dall’egoismo di una classe dirigente politica, industriale e finanziaria, già condannata dai propri fallimenti e dalla complicità con il fascismo, che è stata ripescata dalla pattumiera della Storia e rimessa al proprio posto solo grazie alle armate statunitensi.

Mi riferisco alla paura della forza e del prestigio raggiunti dall’URSS grazie alla vittoria sul nazifascismo, e al rancore verso i popoli sovietici, che avrebbero dovuto soltanto essere ringraziati avendo pagato il prezzo maggiore di una guerra sanguinosa.

Questi sentimenti poco nobili si innestavano sul terreno di un’atavica russofobia (leggere “il manifesto di Ventotene” per credere), e si accompagnavano all’egoismo, impegnato a preservare i propri storici privilegi all’interno come all’esterno dei propri confini, ma in particolare a danno dei popoli colonizzati e di un “Oriente” perennemente propagandato come minaccioso, quando nella realtà è sempre stato oggetto di mire espansionistiche provenienti da Occidente.

Può una casa comune costruita su queste fondamenta prosperare in un quadro di cooperazione multilaterale paritaria ed equa? O non è piuttosto condannata a ripercorrere il proprio tragico passato verso il disastro?

Draghi non può porsi queste domande, e tanto meno rispondere, perché la montagna di falsità su cui il discorso pubblico “europeista” si erge è tale che, a mio parere, i suoi protagonisti hanno perso la capacità di discriminare il vero dal falso.

Sono troppo abituati a distribuire falsità per incolpare invariabilmente qualcun altro (preferibilmente l’orco russo o l’orco cinese, ma adesso anche l’orco nordamericano) della propria incapacità di rilanciare le prospettive di uno sviluppo di qualità per i propri Paesi e del proprio rifiuto a preoccuparsi seriamente di ridurre la disuguaglianza economica, sociale e territoriale all’interno dell’UE.

Sono falsità quelle ripetute nel discorso di Draghi, che ci vuole far credere che la globalizzazione è finita e che la colpa è della Cina. La globalizzazione non è affatto finita perché è strettamente legata allo sviluppo delle forze produttive a livello mondiale e, per il momento, non siamo ancora caduti in un epoca di regressione economica e sociale, nonostante l’Occidente faccia di tutto per spingere l’umanità verso il peggio.

Affermare che “la globalizzazione è finita” serve a nascondere che le prospettive di progresso dell’umanità si reggono oggi sulle forze del Sud globale, che ha strappato la bandiera del multilateralismo dalle mani dell’Occidente per farne finalmente qualcosa di serio. Ma soprattutto serve a nascondere che l’Unione Europea ha liberamente firmato un accordo con Trump che abiura a tutti i propri supposti princìpi.

D’altra parte è comprensibile, come potrebbe uno dei massimi ideologi del liberalismo contraddire la dottrina del libero commercio? E’ molto più comodo dare la colpa a qualcun altro! Ma la realtà è che, mettendo in fila gli errori accumulati dalle classi dirigenti UE, private e pubbliche, ne viene fuori un quadro disastroso:

1. avere permesso che cominciasse in Ucraina una guerra che non sarebbe mai dovuta cominciare;

2. trovarsi fottuti da un alleato che ha trasformato l’attacco comune contro la Russia in un attacco al cuore della UE;

3. incaponirsi in una guerra già persa e impiegare risorse in spese militari che sarebbero molto meglio spese altrove, a danno di prospettive di sviluppo già precarie;

4. piegarsi a pagare montagne di denaro allo stesso alleato che ti sta fottendo;

5. essere incapace (da continente povero di combustibili fossili) di sviluppare una propria filiera industriale nelle energie rinnovabili, in particolare nel comparto strategico dell’auto;

6. essere completamente colonizzati nella sfera digitale e incapaci di contribuire significativamente agli sviluppi dell’intelligenza artificiale;

7. sottoscrivere il delirio neoprotezionista di un fascista nordamericano fuori controllo.

In conclusione, la retorica di Draghi contro la globalizzazione non è meno intossicante di quella di Trump, e le sue parole servono a coprire la cruda verità che l’Unione Europea, firmando l’accordo commerciale con gli Stati Uniti, si è accodata alla marea montante del fascismo statunitense accettandone, di buon grado e liberamente, presupposti e termini.

Il ventre oscuro dell’Occidente sta partorendo un nuovo mostro: “Non ancora si canti vittoria, uomini! Anche se il mostro giace nel fango, non crediate che sia finita la storia, perché la cagna che lo partorì è ancora in calore.” (B. Brecht)

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