La Direzione Nazionale degli Armamenti della Difesa, e nello specifico la Divisione “Propulsione ed energia” degli Armamenti navali, ha dato i tempi entro cui la Marina militare vuole raggiungere una svolta nucleare: due anni, stando a un avviso pubblicato il 13 novembre. Non parliamo di testate atomiche, ma di sistemi di propulsione navale.
Il ministero della Difesa apre una consultazione per cercare le aziende capaci di inserirsi nella costruzione di questa nuova filiera bellica. È proprio a questo scopo che è stato pubblicato il recente avviso, che ha come argomento lo studio “degli impatti nei diversi domini dell’impiego della propulsione nucleare a bordo delle unità di superficie e subacquee“.
Sono in particolare due le piattaforme navali per le quali la Difesa chiede che vengano effettuate “considerazioni relative ad impianti, materiali, tabelle d’armamento e siti di costruzione e manutenzione“: le navi da trasporto LHD, con funzioni anche anfibie, e i sottomarini U212NFS. Entrambi i modelli sono in lavorazione nei cantieri Fincantieri del Muggiano, accanto a La Spezia.
Fincantieri è la “design authority” con la quale, chiunque si sarà presentato alla scadenza dei 30 giorni successivi alla pubblicazione dell’avviso, collaborerà secondo un contratto di due anni del valore di quasi 3 milioni di euro. È facile immaginare che almeno alcuni di questi nomi rientreranno nel progetto generale: la controllata di Fincantieri Cetena, Ansaldo Nucleare, Rina Services e Università degli Studi di Genova.
Sono queste le realtà che sono coinvolte nello sviluppo di reattori di piccole dimensioni per impiego navale denominato progetto Minerva (“Marinizzazione di impianto nucleare per l’energia di bordo di vascelli armati”), parte del Piano nazionale della ricerca militare. Non si può non sottolineare la gravità del coinvolgimento di un ateneo pubblico nello sviluppo di armamenti, un tipo di rapporti contro cui migliaia di studenti si sono battuti negli ultimi mesi.
Minerva è indirizzato anche allo sviluppo di una portaerei a propulsione nucleare. Questa prospettiva era stata già annunciata da Enrico Credendino, capo di Stato Maggiore della Marina. La tendenza alla guerra, il riarmo e la trasformazione verso un’economia di guerra si intreccia sempre più evidentemente con la capacità di proiezione italiana verso il Mediterraneo allargato, per la quale la marina ha un peso fondamentale.
Andando maggiormente nel dettaglio della consultazione: “lo studio dovrà considerare l’impiego di reattori nucleari a fissione di ultima generazione (3+ e 4)“. Proprio quelle tecnologie su cui ha intenzione di lavorare anche Nuclitalia, la società nata dallo sforzo congiunto di Enel, Leonardo e Ansaldo Energia – controllata da Ansaldo Energia – qualche mese fa.
Appare dunque evidente la nuova “alleanza” imprenditoriale che sta prendendo piede intorno al ritorno al nucleare: spacciata come se fosse un’alternativa green per garantirsi autonomia energetica (anche il rifornimento di uranio potrebbe essere motivo di ulteriori dipendenze, se non di ulteriori conflitti), la ricerca sull’atomo è in realtà un settore strategico per adeguare il riarmo europeo – e in questo caso il comparto italiano – al livello della competizione globale.
Un’ultima nota, per concludere. Accanto agli studi di fattibilità di questa svolta, la Difesa richiede anche di lavorare a tutto il contorno, fatto degli stabilimenti dove costruire il reattore e integrarlo con la produzione navale, e l’adeguamento complementare delle infrastrutture portuali. Già oggi assistiamo alla trasformazione dual use di molte strutture civili, e bisogna immaginarsi che avverrà ancora di più in futuro.
Ma c’è di più. Non solo è evidente che i processi produttivi sono sempre più rimodellati verso un’economia di guerra, ma bisogna avere chiaro che la sensibilità delle tecnologie nucleari è tale da imporre una netta espansione della militarizzazione dei territori, intorno a tutta la filiera che potrebbe derivare da queste nuove opzioni di propulsione nucleare.
La guerra ci entra in casa, una filiera di aziende, guidate innanzitutto da quelle che attive nel comparto difesa, guidano questa violenza, e lo fanno rispondendo alle esigenze strategiche di Bruxelles, che cerca di recuperare il terreno perso sul piano internazionale (e anche su quello industriale) con il bellicismo. Un circolo vizioso che va rotto prima che porti al disastro definitivo.
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