L’esercito vuole studiare filosofia, e dio sa se non avrebbe bisogno. L’esempio del militare più alto in grado e funzione – l’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del comitato militare della Nato ed ex Capo di Stato maggiore – è quasi esemplare.
Parlando della necessità di essere “proattivi” nella guerra ibrida che sarebbe stata scatenata dalla Russia (su cui non viene esibita alcuna prova credibile), l’ammiraglio ha parlato della possibilità di “attacchi preventivi“, dicendo che potrebbero essere considerati “un’azione difensiva“.
Uno studente del ginnasio – neanche un universitario del corso di filosofia – riconosce immediatamente il format della favola del lupo e dell’agnello (“anche se tu sei a valle e io a monte, quando tu bevi nel ruscello inquini la mia acqua, e quindi mi ti mangio”). E del resto questo stesso format è una costante dell’hasbara israeliana (anche quando uccide due bambini li definisce “una minaccia”), così come la “guerra al narcotraffico” contro il Venezuela che non ne ha.
Un triennale di filosofia, come scriveva l’attuale Capo di Stato Maggiore, Carmine Masiello, nella richiesta di un corso per 15-ufficiali-15 dell’Accademia di Modena, permetterebbe insomma ai futuri generali di «creare un pensiero laterale e dare la possibilità di pensare in maniera differente, uscendo dallo stereotipo». E quindi di dire le stesse cose (fai il militare, non è che cambi mestiere) sembrando più colti…
L’università di Bologna ha respinto la richiesta per ragioni tecniche ed economiche. Fare dei corsi appositi per 15-ufficiali-15 a Modena avrebbe richiesto lo spostamento di un notevole numero di docenti nell’arco dei tre anni. Più del numero degli “studenti”, addirittura. Con tanto di costi aumentati per viaggi, ore straordinarie, segreterie, ecc.
La destra al governo ha colto immediatamente al balzo il diniego straparlando di “esclusione ideologica”, ecc..
Se ci fosse nell’esecutivo qualcuno che ha frequentato con profitto l’università saprebbe come funziona e potrebbe spiegarlo ai colleghi. Ma sarebbe probabilmente inutile…
“Mettere su un corso universitario” in qualsiasi disciplina sembra una banalità per chi sta fuori. Se si parla di ingegneria, però, la prima domanda che porrebbe un rettore è “quale ingegneria?”
Si può studiare quella meccanica (ed in effetti ai militari verrebbe naturale), oppure edilizia (tecniche di demolizione?), o anche informatica (l’ideale per la “guerra ibrida”), per non dire di quella idraulica, ecc. Per ognuna di queste discipline occorrono molti docenti diversi, perché oltre al sostantivo “ingegneria” hanno ben poco in comune.
E così per tutte le discipline, sia scientifiche che umanistiche. Esistono molti piani di studio specifici, con qualche insegnamento “trasversale” (matematica, per quanto riguarda ingegneria) e molti specialistici.
Filosofia, chiedono però i militari. Quale? Quella “teoretica” è parecchio impegnativa e ben poco attinente ai compiti guerreschi. Quella “morale” forse addirittura incompatibile o controindicata. L’epistemologia scuoterebbe certezze che invece devono restare granitiche. Quella del linguaggio sembra più facile e idonea, ma nasconde trappole e ricorsività che imbarazzano anche le menti più brillanti. E così via…
Una “filosofia per guerrieri” somiglierebbe alla funzione del cappellano militare… Un’”infarinata di filosofia”, infine, è una contraddizione in termini.
Ma, a parte la disciplina scelta, perché mai un corso per 15-”studenti”-15 dovrebbe essere tenuto “in separata sede” dentro la caserma dell’Accademia? Se c’è quell’esigenza di formazione, non sarebbe enormemente più semplice che maometto vada alla montagna anziché spostare la montagna da maometto? Tradotto: non si fa prima ad iscrivere 15”studenti”-15 ai corsi da loro scelti, farli frequentare oppure no le lezioni, studiare i testi e poi dare regolarmente gli esami, prendendosi il voto che meritano?
Perché insomma si vuole un “corso speciale”? Perché i militari sono una funzione particolarmente importante per la tenuta del paese?
Ma a quel punto qualsiasi categoria meritevole di considerazione sociale potrebbe fare la stessa richiesta (vigili del fuoco, vigili urbani, e via immaginando), con conseguente spezzettamento dell’insegnamento universitario in tante mini-scuole di formazione particolare.
Una frana organizzativa ed epistemologica che distrugge il concetto stesso di “scienza” e di processo di acquisizione delle “competenze” per portarla avanti (ogni laureato, in linea teorica, dovrebbe essere potenzialmente in grado di sviluppare la disciplina che ha studiato).
La richiesta dell’esercito, insomma, sembra quasi la pretesa di un “percorso facilitato”, generico, al riparo dalla “concorrenza” con gli studenti normali. Con promozione garantita.
Un bel “27 politico” in filosofia, per fare una figura migliore e “fuori dello stereotipo” in società.
Anche no, grazie.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa

Francesco Lombardo
Bisogna fare di tutto per avvicinare i guerrieri alla filosofia: dopo pochi mesi cambierebbero mestiere.
Giorgio
In molte università ci sono stati militari che seguivano i corsi insieme agli altri studenti. Forse ora l’idea era di evitare contatti troppo stretti tra gli allievi dell’Accademia di Modena e l’ambiente studentesco generale
Redazione Contropiano
Crediamo che lo scopo, in questo caso, sia ancora più infimo… Chiedevano un regolare corso triennale (senza la specialistica) che rilascia un diploma di laurea.