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A 20 anni dalla battaglia di Venaus, 8 dicembre 2005

STORIA, PRESENTE E PROSPETTIVE DEL MOVIMENTO NO TAV

Intervista a due ribelli della montagna

Pubblichiamo quest’intervista in occasione del ventennale dell’8 dicembre 2005, uno dei momenti più alti di uno dei movimenti più longevi, combattivi e partecipati ad essersi mai prodotti nel nostro paese. Stiamo parlando ovviamente del movimento No TAV, che dagli anni ’90 difende con energia il proprio territorio, i suoi ecosistemi, la salute di chi lo abita.

La lotta ha pagato ma non è ancora finita: nonostante i molteplici cambi di progetto e i rallentamenti conquistati con la resistenza del popolo valsusino, i governi insistono su questa grande opera ecocida, spinti da interessi mafiosi e (soprattutto) militari.

Abbiamo parlato di questi interessi, di come il movimento si sia organizzato per opporvisi, di cosa gli abbia permesso di mantenere il suo vigore negli anni, del valore della comunità, del futuro e della storia resistente di una valle che ha saputo lottare per la propria sopravvivenza senza mai smettere di guardare oltre, a quello che succedeva nel paese e nel mondo.

Un esempio concreto per tutti coloro che oggi, in Italia e non solo, vogliano organizzarsi contro il collasso ecologico e sociale scatenato dal capitalismo.

*****

Da dove venite e come vi siete avvicinati alla lotta No TAV?

Marco: Io sono di Bussoleno. Sono nato nel ’59, in un contesto che in Valsusa era molto caldo. Già negli anni della resistenza la Valle è sempre stata molto attiva. Abbiamo iniziato molto giovani a fare politica, quando avevamo tra i 12 e i 14 anni, nel Collettivo Operai e Studenti (che poi diventò Lotta Continua). I partigiani che incontravamo nelle osterie delle borgate all’epoca avevano sui 50 anni e ci raccontavano della lotta partigiana.

Partigiani in Val di Susa

La Valle aveva anche una concentrazione operaia importante. A Susa, a Borgone, c’era tutto l’indotto della FIAT e quando chiusero i cotonifici Riva nel ’69 (il padrone dall’oggi al domani prese tutti i soldi e scappò in Libia) si aprì tutta una stagione di lotte anche in altre fabbriche.

Nel movimento No TAV si vede bene la tradizione resistente della Valle, che viene da lontano.

Molti valligiani, me compreso, andarono poi a scuola a Torino e iniziarono a fare politica lì. Dunque per parte degli anni ’70 e negli anni ’80 stetti via prendendo parte a varie esperienze di lotta (tra cui quella di Prima Linea) e poi con anche altri compagni rientrammo a Bussoleno verso l’inizio degli anni ’90.

Giulia: Io mi chiamo Giulia, del ’59 anche io. Faccio parte del comitato No TAV Torino & Cintura e mi sono avvicinata alla lotta No TAV in modo attivo nel 2011, prima ne ero solo simpatizzante. Arrivo da una famiglia con forte impronta antifascista e legata alla storia della resistenza.

Da ragazza avevo fatto attività di movimento da studentessa, avvicinandomi a Lotta Continua. Poi per vicende personali legate alla famiglia e ai figli per molti anni ho rallentato la partecipazione.

Luca Abbà inseguito dalla polizia sul traliccio, 2011

Uno dei momenti salienti che mi hanno riaccesa è stata la caduta dal traliccio di Luca Abbà, durante l’espropriazione forzata della Baita del movimento No TAV in Clarea (ndr: si parla di un agricoltore valsusino e storico militante No TAV che prese la scossa, cadde da 10 metri di altezza e finì in coma per mesi, dopo essere stato inseguito dalla polizia su un traliccio su cui si era arrampicato per protesta).

Quando situereste l’inizio della lotta No TAV?

Marco: Oggi diciamo 20 anni del Movimento NoTAV, perché si fa riferimento alle grandi vittorie del 2005, ma in realtà il Movimento NoTAV risale agli anni 90. Già a Genova 2001 i No TAV erano presenti col proprio spezzone e dal 2000 al 2005 si sono fatte molte grandi manifestazioni, marce Borgone-Bussoleno-Susa che portavano anche 30-40 mila persone in strada. Manifestazioni più piccole si vedevano già dalla fine degli anni ’90.

Il Comitato di Lotta Popolare, che è il comitato No TAV di cui faccio parte, nasce nel ’99, e nello stesso periodo si formano altri comitati come quello di Alpignano e quello di Susa. Dentro al Movimento no TAV convivevano le aree politiche più diverse, da Rifondazione Comunista, all’Askatasuna, alla componente anarchica, a compagni singoli… e la partecipazione in valle non si limitava solo ai compagni: nonostante questi rappresentassero una parte importante, c’era molto altro.

Alberto Perino

Ad esempio Perino, che è stato tra i leader e figura centrale  del movimento, proveniva da Dialogo in Valle, un’area cattolica e pacifista che fin dall’inizio è stata dentro alle lotte.

Giulia: Sottolineo su questo punto l’importanza dei presìdi No TAV. Avere luoghi occupati sul territorio che diano la possibilità di incontrarsi, fare assemblee ma anche socialità, mangiare insieme, stringere rapporti che vanno oltre alla lotta, tutto questo crea un modo diverso di stare con le persone e di viversi il rapporto con le istituzioni e con la terra. Questo è uno dei fattori che ha permesso questa unità di intenti, e infatti ancora oggi ogni volta che ne apriamo uno provano a chiudercelo, come è successo l’anno scorso con il presidio di San Giuliano nonostante manchino ancora anni prima dell’inizio previsto dei lavori.

Marco: E’ vero! Ho visto gente che mai avrei pensato potesse venire a una manifestazione partecipare al movimento convinta come noi, e dicevano di aver riscoperto un senso nella vita, di aver riscoperto la comunità. Questo discorso della comunità in Valle ha assemblato teste completamente diverse, comunisti, anarchici, cattolici, pacifisti, e c’è quasi sempre stata l’intelligenza da parte di tutti di capire quando fare un passo avanti e quando farne uno di lato, per non lasciare indietro nessuno.

Questa è una delle caratteristiche che hanno fatto sì che il movimento abbia potuto reggere per oltre 25 anni, evolvendosi e contribuendo anche ad altre lotte fuori dalla Valle (dai No MUOS, ai No Ponte, ecc.).

Altro fattore è stata l’unità nell’azione. Certo, la repressione, le denunce, gli arresti fanno male, per un movimento che vede tra la sue fila dai 15enni agli ultraottantenni. Ma una delle grandi forze del movimento è stato non separare l’iniziativa pomeridiana al presidio, dalla manifestazione tranquilla, dall’assalto notturno al cantiere.

Ricordo benissimo quando Perino, cattolico e pacifista, inaugurò il discorso del sabotaggio, della giustezza del sabotaggio. Lui lo faceva riferendosi a Gandhi, sottolineando il fatto che l’attacco al macchinario non era un attacco alle persone: quindi era una pratica da fare. Lo disse in più volte, in più manifestazioni e anche pubblicamente.

In Valle la divisione fra buoni e cattivi non è mai passata.

Giulia: Sì, questo riguarda anche gli attacchi al cantiere. Gli attacchi al cantiere sono per fermare il cantiere, per far vedere che la valle non è pacificata. Non sono attacchi alle persone, sono attacchi all’opera e a tutela del territorio. Questo è importante, perché poi questa cosa viene mistificata sempre.

Il movimento No TAV ha sempre fatto un grosso lavoro sui tecnici, e per tutelarci dalla repressione sono stati in particolar modo importanti i nostri legali che da anni e anni e anni si prestano gratuitamente e sono loro stessi No TAV. Nel 2011, quando ho iniziato a partecipare al movimento in modo più attivo, c’erano già più o meno mille indagati.

Anche io stessa ho avuto tre avvisi di garanzia, che venivano dati per ogni cosa: un adesivo su una macchina del cantiere diventava già danneggiamento.La repressione ha picchiato molto duro,con le forze dell’ordine, con l’esercito (ndr: In Val di Susa sono impiegati a scopo di repressione dei No TAV i Cacciatori di Sardegna e di Calabria, unità dell’esercito specializzate nella guerriglia montana i cui membri vengono pagati 8.000 euro al mese, come in missione speciale), con tutte le sanzioni amministrative e le multe salatissime, ed è questo che magari fa un po’ retrocedere le persone che sono avanti con gli anni, o chi è meno pronto. Però tanti scelgono di restare nella lotta, anche se magari più nelle retrovie.

Su questa questione, credete che il livello di repressione in Val di Susa negli anni abbia in qualche modo preannunciato quello vissuto oggi da movimenti sociali e ambientalisti nel resto d’Italia?

Giulia: La Val di Susa è stata un laboratorio, hanno sperimentato quello che poi hanno portato un po’ in tutta Italia, la procura di Torino in modo particolare. Dalla magistratura, siamo sempre stati trattati come “terroristi”, con i processi fatti nelle aule bunker del carcere di Torino Vallette.

Proteste in aula-bunker contro la scelta criminalizzante di tenere il processo in tale sede

C’è stata una criminalizzazione che però dopo essere stata sperimentata in Valle è stata esportata, tanto è vero che nuove lotte come quella dei No MUOS già dal principio si sono trovate di fronte a un livello e ad un tipo di repressione che in Valsusa si era sviluppata dopo anni, per quanto riguarda ad esempio la parte tecnologica, le intercettazioni ambientali nel bosco, nei cantieri, nelle case.

Il gruppo delle Mamme per la Libertà di Dissenso che abbiamo in Piemonte fa delle riunioni periodiche con realtà analoghe di altre parti d’Itala, e queste ultime rimangono spesso scandalizzate dal livello di punizione anche preventiva nei confronti degli attivisti che non si trova da altre parti.

Il decreto “sicurezza” passato di recente riprende tutta una serie di pratiche giudiziarie e poliziesche che in Valle già erano uno standard da tempo, tipo la carcerazione preventiva, i DASPO, i divieti di dimora e le sanzioni amministrative pressoché inappellabili. Qualche anno fa hanno anche impedito a una ragazza di partecipare al funerale del padre, a causa di un divieto di dimora.

Marco: Prima per spezzare il movimento hanno provato a buttarla sulla narrazione mediatica. “Tra i No TAV ci sono gli ex-lottarmatisti!”… senonché non attecchiva, perché in Valle ci conosciamo tutti di persona e queste strumentalizzazioni non funzionano. Dopo hanno provato con la divisione buoni/cattivi, che pure come dicevo non ha funzionato…

Poi hanno cominciato con le multe: a Perino ne arrivò una da circa 300mila euro, su querela di TELT, l’azienda dietro al TAV!

Il movimento si attivò e raccolse in poco tempo la somma necessaria  in tutta Italia, a riprova di quanto la lotta No TAV abbia saputo generalizzarsi e uscire dai confini della Valsusa. La multa poi è stata ridotta per una nostra azione legale perché totalmente illegittima, e quei soldi finirono nella cassa di resistenza No TAV, che finanzia le iniziative del movimento e la tutela dei compagni di fronte alla repressione.

Questa storia dei fogli di via, poi, è altrettanto assurda! Io sto a Bussoleno e ho fogli di via da Bruzolo, San Didero, Chiomonte, Giaveno…

Praticamente sei circondato, non puoi uscire dal tuo comune!

Marco: Infatti feci notare alla polizia l’assurdità della cosa, tant’è che dovevo passarci per andare a lavoro, e quindi mi scrissero che potevo “transitare” in questi posti, ma non fermarmi.

Ma nonostante tutto questo ci sono tanti giovani che non si lasciano spaventare e si uniscono alla lotta collegandola anche al quadro generale come i discorsi sul clima.

Giulia: La lotta è la stessa ma le pratiche sono differenti, c’è chi fa l’assemblea, c’è chi fa la mostra fotografica e c’è chi fa gli “attacchi” ai cantieri. Noi non siamo un movimento d’opinione: i convegni vanno fatti, ma non bastano. Noi vogliamo davvero che il treno si fermi, che questa valle non venga devastata, ed è questo è il significato delle azioni che intraprendiamo, comprese le più dure.

Marco: Altro fattore importante, a proposito del tenere insieme più piani di lotta, sono stati i sindaci. Fino al 2005 e anche un po’ dopo ne abbiamo avuto di molto combattivi, sempre in testa ai cortei. I valligiani ,anche i più timorosi,partecipavano a decine di migliaia ai cortei anche perché c’erano i sindaci che davano una forma leggermente più istituzionale e quindi la gente diceva se ci sono i sindaci dobbiamo andare anche noi.

Sindaci No TAV a processo nell’aula-bunker

Giulia: I sindaci dopo sono stati un po’ comprati, nel senso che tutto quello che riguarda la Val di Susa, dalla messa a norma nel territorio, alla rotonda, alla scuola da sistemare, è sottoposto a ricatto attraverso le compensazioni. Lo Stato e la Regione ti dicono ok, io ti do i soldi per fare questo, ma solo se tu sei favorevole al TAV o quantomeno non lo osteggi  apertamente. Questo ha fatto sì negli anni gli amministratori siano diventati più tiepidi.

Marco: I soldi non li hanno visti ancora, comunque. Il loro atteggiamento servile non li ha premiati .

Giulia: No, infatti. Nessuno ha ancora avuto una lira di queste fantomatiche compensazioni. Per questo, oramai ci siamo detti: si provano ad includere le amministrazioni locali, ma poi anche se non ci sono il movimento va comunque avanti senza di loro.

In ogni caso, questo 8 dicembre sembra che i sindaci ci saranno!

Quali sono le fasi, a grandi linee, che ha attraversato il movimento? Quali i momenti di picco?

Marco: Un punto di svolta importante è stato appunto il 2005.

La militarizzazione della valle diventava sempre più evidente e questo fece aprire gli occhi a molti. La gente non poteva neanche andare al cimitero a trovare i propri cari defunti, se non era residente in quella specifica frazione dove sorgeva il camposanto, perché la polizia aveva istituito dei checkpoint e ti fermava. 

La Stampa, ricapitolo degli avvenimenti dello sgombero di Venaus e del giorno successivo, in cui la Valle entrò in sciopero generale.

Il 31 ottobre del 2005 blocchiamo il passaggio della prima trivella sul ponte del Seghino, con la Valle interamente militarizzata. Raggiunto un accordo con le forze dell’ordine, ci ritiriamo, ma questo accordo viene tradito nella notte dalle stesse, che ritornano di nascosto.

Il popolo No Tav conquista il prato di Venaus

Pochi giorni dopo, la notte del 5 dicembre, il presidio di Venaus, che si trova dove ora si fa il Festival dell’Alta Felicità e dove all’epoca era pianificato il tunnel di base, viene sgomberato con una violenza inaudita dalla polizia, che pesta a sangue persone inermi.

L’8 dicembre il movimento risponde e riconquista il presidio: forte di 40-50 mila persone si scontra ai Passeggeri (il bivio per Venaus) con la polizia, dopodiché scende da tutti i boschi e migliaia e migliaia di persone circondano questo enorme prato, recintato dagli sbirri, e per qualche istante cala un silenzio incredibile…

Truppe d’occupazione accerchiate

Dopodiché parte uno con la bandiera, c’è un urlo e di botto tutta questa marea di gente inizia a buttare giù le inferriate, si riversa sul prato e la polizia scappa. Scappa e si chiude dove c’era l’inizio di cantiere per quello che doveva essere il tunnel di base. Da lì poi nasce una trattativa, perché queste truppe di occupazione erano rimaste chiuse lì dentro e circondate.

Mi è rimasta l’immagine, immortalata anche dai filmati, di questa colonna di poliziotti in fila che escono dal buco dove si erano rintanati e per andare via devono sfilare tra le ali del movimento…

Giulia: Epico, epico!

Marco: Fu epico davvero, ci diede di una forza incredibile! Perché avevamo impedito che facessero il buco nella montagna ed erano dovuti scappare.

Polizia costretta a sfilare disarmata sotto gli occhi dei No TAV

Da quel momento fino al 2011 la situazione fu abbastanza stagnante… il movimento era vivo e in allerta, ma la controparte non si muoveva o quasi. Poi dal 2011 inizia un periodo di giornate intense perché la polizia cominciò a occupare dei terreni per dare avvio alle espropriazioni.

Noi avevamo le sentinelle su tutta l’autostrada da tutte le parti e tutti dormivamo in scarponi: bastava che ci fosse un avviso, “c’è una colonna che parte da Torino” o si vedessero dei movimenti strani e tutta la gente si alzava e andava sul posto.

Durò parecchio, con scontri anche grossi. Da lì nacque poi, nel 2011, la Libera Repubblica della Maddalena. Si occupò tutto lo spiazzale dove oggi fanno il museo e si diede vita a una piccola repubblica, animata ogni giorno centinaia di persone che restavano lì con tendoni.

Lo sgombero del 27 giugno fu feroce ma si resistette a lungo. Poi il 3 luglio si tentò di riprendersi il posto e ci furono scontri con migliaia di candelotti lacrimogeni e centinaia di feriti che durarono fino a notte fonda.

Giulia: Non era solo una battaglia degli attivisti, c’era la gente delle Valle! Da quelli che ti portavano il tè ai blocchi a quelli che partecipavano agli scontri, c’erano valligiani di tutti i tipi e c’erano sempre.

sgombero della Maddalena, 2011

Marco: Fu un periodo particolarmente intenso e durò due o tre anni.

Non a caso hanno scelto la Val Clarea per il tunnel di base: è molto più nascosta, rispetto a Venaus!

Negli anni successivi allo sgombero della Maddalena, la conflittualità del movimento No TAV si spostò al presidio dei Mulini, poco sopra. Lo zoccolo duro c’era sempre, ma a determinare momenti di picco e partecipazione di massa erano le mosse della controparte, quando ad esempio decideva di aprire un nuovo cantiere, ma tra un cantiere e l’altro potevano passare anni.

Adesso, invece, hanno iniziato a fare un cantiere nuovo al giorno, disboscano, recintano, cementificano! E poi sgomberi, espropri di case… è arrivato tutto insieme, dall’autoporto di San Didero (2021) in poi!

sgombero del presidio di San Giuliano, 2024

Quando è che il movimento No TAV ha acquisito veramente una dimensione nazionale?

Sia a livello “orizzontale” di connessione con gli altri movimenti territoriali sia a livello “verticale” di rilevanza nelle questioni generali che attraversano il paese, come ad esempio di recente la militarizzazione.

La domanda è su entrambi i livelli perché credo che spesso interagiscano, come nello sciopero del 28 novembre scorso e nella manifestazione del 29 dove le più disparate realtà territoriali si sono ritrovate a lottare fianco a fianco sul tema comune dell’economia di guerra.

Marco: Il movimento ha sempre cercato di interagire con altri movimenti affini sul territorio nazionale e dare il proprio contributo, in base alle forze che aveva. Quando le forze erano tante, come nel 2011, il contributo era sostanzioso: ricordo manifestazioni di No Dal Molin a Vicenza dove lo spezzone No TAV contava più di 5000 persone.

Giulia: Il 2011 è il momento in cui si è molto perseguitati dalla repressione ma ugualmente molto vittoriosi. Le masse sono grandi e rappresentano la possibilità che chiunque di noi (anche fuori dalla Val di Susa) possa dire di no e mettersi di traverso rispetto alle scelte di chi comanda. Io direi che è dal 2011 in poi che il movimento capisce veramente che deve fare rete con gli altri movimenti, aiutarli a crescere per essere più forti insieme.

Marco: Abbiamo interagito in diverse situazioni con tantissime altre realtà, dal No Terzo Valico fino ai No TAP. Erano tutte realtà che hanno cercato di imparare da noi come costruire un movimento di queste dimensioni. Come abbiamo detto più volte in queste interviste, per avere un movimento così grande è necessario tenere assieme realtà completamente diverse. e non è semplice, ci vogliono molte capacità: di ascoltare, di parlare e alle volte di fare un passo indietro sul momento per poi farne due in seguito.

Ci sono dei momenti in cui puoi andare avanti e altri in cui devi fermarti, dei momenti in cui puoi fare dieci passi e altri in cui puoi fare cento. Non puoi fare sempre cento passi. Lascia indietro la gente.

Manifestazione No TAV a Roma, 2012

Rispetto alle questioni più generali sollevate dal TAV, queste sono tantissime: la scusa iniziale per fare il TAV era il transito dei passeggeri, poi questa roba chiaramente non reggeva quindi hanno iniziato a parlare di traffico di camion e nel mentre il mondo è cambiato e per come funziona il capitalismo della logistica oggi è assurdo pensare che una fabbrica in Polonia che non ha più magazzino, ad esempio, metta un camion qua sul treno pensando domattina alle 6 di far ripartire la linea di produzione. Questo lo dovette ammettere pure Ambrosetti!

Rispetto poi alla questione dei militarizzazione, che col TAV ha a che fare tantissimo dato che uno dei motivi per cui lo costruiscono è che dovrebbe far parte dei corridoi di mobilità militare europea…

Giulia (ridendo): …ti interrompo, su questo parlo io e me lo rivendico, perché su alcune cose il movimento è stato un po’ lento e abbiamo dovuto insistere. Nel senso che in realtà il discorso del TAV come corridoio militare è oggetto di approfondimento inizialmente da parte di un comitato No TAV che si muove a livello europeo, che è Presidio Europa. che è presente a Bruxelles e quindi è riuscito a cogliere in anticipo tutti questi segnali verso la guerra, la militarizzazione dei territori e quant’altro.

Da Presidio Europa il discorso è stato un ripreso inizialmente da No TAV Torino & Cintura (qui l’opuscolo in .pdf). Avevamo con noi anche alcuni dei ragazzi di Cambiare Rotta, che erano molto sensibili a questo discorso. Abbiamo letto dei documenti e abbiamo fatto un fascicolo che abbiamo portato in giro per un po’ di tempo, lavorando con la Valle in questo senso: inizialmente in Valle infatti sembrava un po’ incredibile questo discorso del Tav come corridoio militare.

Progressivamente poi come sempre accade nel movimento ha prevalso l’apertura e l’approfondimento: adesso credo che la centralità della questione dei corridoi militari sia molto chiara a tutti e naturalmente si accompagna all’opposizione più generale all’economia di guerra e al sistema capitalistico.

A volte la realtà torinese ha fatto da miccia, è stata all’avanguardia nel portare dei contenuti che non riguardassero il territorio in senso stretto ma che fossero più ampi. E’ stato così anche per manifestazioni degli anni passati come quella contro la CMC di Ravenna nel 2013, cooperativa legata al Partito Democratico e pesantemente coinvolta nell’indotto TAV, o per le manifestazioni a Torino.

Bisogna sempre spingere un po’ perché la Valle fa tantissime cose meravigliose, ma a volte ha un po’ di difficoltà a uscire dal tracciato. Sulla guerra si è creato un bel dibattito a Torino anche con altre realtà, ad esempio l’assemblea antimilitarista torinese e tante altre, che poi è arrivato in Valle e adesso è uno dei contenuti che il movimento nel suo complesso porta avanti, anche perché la militarizzazione in Valsusa non si ferma ai cantieri: c’è molto da parlare anche su quello che accade nelle scuole, e sulle esercitazioni della NATO in alta Val di Susa.

Ci sono esercizioni della NATO in alta Valle? Non sapevo.

Giulia: Sì, c’erano alpini e gruppi vari che negli ultimi anni hanno incentivato tutta una serie di esercitazioni in cui si simulano scenari di guerra… Ma è un processo che ha investito tutti! La FIAT non è più FIAT, nel nostro paese produciamo cose che servono alla guerra, poi le trasportiamo col TAV e poi la guerra si guerreggia, perché se produci armi poi le usi. Tra l’altro il treno è proprio l’unico mezzo che permette il trasporto efficiente di mezzi molto pesanti come carri armati e artiglieria. La Valle questo discorso adesso  l’ha perfettamente ricevuto e condivide col resto dei movimenti del paese un’ottica fortemente antimilitarista.

Inoltre è stato utile a capirci di più sull’insistenza dei governi nel voler portare a compimento quest’opera che è assurda e inverosimile anche dal punto di vista ingegneristico!

Le temperatura nel tunnel geognostico  superano i 50°, è impossibile lavorarci, e per di più ora sono fermi perché pare abbiano trovato dell’uranio, oltre all’amianto, nella montagna. Anche i finanziamenti non bastano, e tutti questi problemi sono solo la punta dell’iceberg… ma una volta che entra in gioco il discorso dell’uso militare, si quadra il cerchio!

Altro contributo fondamentale che è venuto dal rapporto con le altre realtà fuori dalla Valle è la connessione tra quello che succede in Valsusa e la questione ambientale e climatica più in generale.

Quando ci sono dei momenti nazionali, come il Festival dell’Alta Felicità o la marcia dell’8 dicembre, la cosa più importante è lo scambio, l’ossigeno che arriva da fuori e che ci permette di confrontarci sulla percezione di quello che sta accadendo nel paese.

Marco: Questo lo abbiamo visto anche con la Palestina nell’ultimo anno! Mentre noi ch672e abbiamo dato il via al movimento venivamo già da una certa storia politica, parte delle nuove generazioni in Valle si è avvicinata alla politica per la prima volta proprio con il movimento No TAV, e a partire da quello ha cominciato poi a muoversi anche su altro: Palestina, ambiente, militarizzazione… quello che non vogliono che accada sul proprio territorio, ora sono pronti a battersi per non farlo accadere neanche da altre parti!

Quale pensate che sia stato l’impatto del movimento No TAV sulla politica nazionale, e quale invece l’impatto di ciò che avveniva in parlamento sulle sorti del movimento?

Giulia: Rispetto ai partiti politici, il movimento è molto critico perché è stato deluso più volte e soprattutto con i 5 stelle. C’è stato un momento in cui 5 stelle, che erano da sempre No TAV, dichiaravano di voler sostenere la nostra la nostra lotta e portarla avanti anche in parlamento… ma poi sono stati fagocitati dai soliti meccanismi.

Quindi il timore è di delegare a qualcuno che poi finisce per tradire la causa, perché i meccanismi istituzionali ti schiacciano. Un principio guida è quello che ciascuno, indipendentemente da chi voti e con chi si associ, deve continuare a essere presente nelle piazze, nelle lotte, nella assemblee a fare pressione.

Marco: C’è anche da dire che noi non abbiamo mai sposato un partito, neanche Rifondazione.

Giulia: Questo è vero, però c’erano state delle vicinanze.

Marco: Specialmente nel primo periodo del movimento No TAV, dal 2000 fino al periodo dopo il 2005, tutta una serie di partiti come i Verdi, Rifondazione eccetera, venivano in Valle e ci supportavano. Noi apprezzavamo il supporto ma non gli abbiamo mai creduto del tutto, e questa cosa nel movimento è sempre stata chiara: non non ci sposiamo con nessuno.

Questo ha fatto sì che poi, anche quando i partiti mollavano, il movimento invece non mollava. Molti di noi neanche si stupivano dei voltafaccia: alla notizia che Bertinotti sarebbe andato a fare il Presidente della Camera, che cosa ci saremmo dovuti aspettare di diverso?

Nicoletta Dosio

Infatti credo che uno dei pregi del movimento sia stato svelare i non-detti della politica nazionale, ovvero quegli assunti che, indipendentemente da chi sieda in parlamento, non si permette che vengano davvero messi in discussione: la NATO, l’UE, il complesso militare-industriale e dunque anche il TAV.

Anche sulla rappresentanza poi, credo che il movimento No TAV sia stato in grado di rappresentare un esempio virtuoso, partendo dal principio che si diceva prima ovvero che la rappresentanza non si possa delegare ad esterni e che occuparsene non autorizzi a disertare le lotte reali sul territorio: lo abbiamo visto con la candidatura di Nicoletta Dosio con Potere al Popolo, che al movimento No TAV ha sempre dato tutto e che di certo non ha preso la propria candidatura come un’opportunità per allontanarsi dai presìdi e dalle lotte di tutti i giorni, anzi!

A questo punto vorrei porvi l’ultima domanda: Come vedete il movimento No TAV oggi? Quali sono le sue prospettive future?

Marco: Nell’ultimo anno abbiamo visto tantissimi giovani attivarsi, specialmente dalle scuole e dalla bassa Valle. Io credo che in questa fase ci sia la possibilità che il movimento riprenda vigore, perché c’è di mezzo la piana di Susa. Buttare giù le case, come hanno fatto di recente a San Giuliano, significa colpire al cuore la gente. La foto della signora anziana che piange davanti casa dove ha vissuto per 55 anni colpisce, la vedono tutti.

I cantieri adesso non sono più imboscati in Val Clarea: li vedono ogni giorno tantissime persone, e se vogliono continuare con il loro piano dovranno stravolgere una piana abitatissima, fare sopraelevate da tutte le parti, distruggere le case, bloccare per anni il treno Susa-Bussoleno. E gli studenti che ogni mattina a centinaia lo prendono per andare a scuola, dove li metti? E gli anziani che devono andare all’unico ospedale della Valle?

Per non parlare poi della questione della salute: trasferendo il materiale di scavo, contenente amianto, a Susa, la gente lo vede e si fa due domande. Nelle acque della Valle sono state rilevate quantità di PFAS cancerogeni altissime, che prima del cantiere non c’erano, e l’ARPA stessa, collusa, pasticcia i dati sui tumori e pubblica report che si contraddicono l’un l’altro (ndr: l’ARPA inizialmente ha anche cercato di evitare la pubblicazione dei dati sull’estinzione locale della farfalla protetta Zerinzia da parte di TELT con la complicità dell’università di Torino, sostenendo di non averli a disposizione e pubblicandoli solo quando messa alle strette). Queste cose la gente le vede e si incazza.

Ho molta fiducia in questa parte più giovane, è impegnata e presente a tutte le iniziative e le assemblee del movimento, c’è un’aria secondo me molto buona. La casa che hanno espropriato a San Giuliano, l’abbiamo già rioccupata e trasformata in presidio No TAV, con il sentito ringraziamento della signora 87enne che ci viveva. Poi quanto durerà, ovvero quanto ce lo faranno durare, non lo so.

Ma tutto ciò che farà la controparte lo dovrà fare alla luce del sole in piena piana di Susa, e il terreno per loro inizia a diventare scivoloso.

Giulia: Il movimento ha questa caratteristica di tenere insieme le diverse generazioni, e oggi stiamo assistendo a una fase di passaggio. C’è stata una perdita  per motivi naturali, anagrafici, di alcune vecchie figure carismatiche che non ci sono più e quindi c’è uno spazio che deve essere occupato oggi da nuove figure.

Non c’è un “capo” ed è bene che non ci sia, perché gli eccessivi protagonismi sono spesso una piaga dei movimenti, però è importante che si creino delle figure autorevoli che possano trascinare gli altri e dare sicurezza. Quello che rappresentava Alberto Perino era questo, un po’ come un “padre di famiglia”, non autoritario ma autorevole.

In questo momento c’è un passaggio graduale, che ha avuto delle criticità perché è difficile lasciare il testimone, ma che adesso è ben avviato proprio grazie all’incremento dell’attività e dell’iniziativa dei giovani, che io spero possano continuare sempre a vedere al loro fianco sia i vecchi che le generazioni di mezzo. Questo perché il dramma di molti della generazione mia e di Marco e stato quello, raggiunta una certa età, di abbandonare la lotta e ripiegarsi sulla vita privata.

È la scommessa più grande di tutte: continuare ad essere coerenti, a resistere e a lottare.

* da Noo-Sfera.org

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