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Donne contro guerra e genocidio. Primi passi di un fronte nazionale contro le “signore della guerra”

Sabato 6 dicembre, al Nuovo Cinema Aquila, si è svolto l’incontro promosso da Donne e persone queer contro guerra e genocidio in Palestina, al quale hanno partecipato e sono intervenute tantissime donne, libere soggettività, realtà palestinesi, sociali, politiche e sindacali e collettivi femministi e LGBTQ+.

Una partecipazione ampia, diretta espressione della composizione che abbiamo visto nelle piazze degli ultimi mesi, dove donne e libere soggettività hanno espresso con chiarezza il proprio rifiuto del genocidio in Palestina, del sionismo, del terrorismo dello Stato israeliano e delle politiche di guerra sostenute da NATO, Unione Europea e governo Meloni, evidenziando anche l’atteggiamento debole e contraddittorio dell’opposizione nel nostro Paese.

Dall’incontro è emersa una consapevolezza chiara: le donne al vertice delle istituzioni occidentali, rappresentanti di un modello di femminismo neoliberale e individualista, non tutelano in alcun modo gli interessi di donne e queer. Al contrario, ne strumentalizzano i diritti per giustificare interventi militari e narrazioni coloniali presentate come “liberazione”, praticando spesso il cosiddetto pinkwashing, mentre le politiche concrete colpiscono proprio le donne e le persone queer più vulnerabili e marginalizzate, soprattutto nelle periferie, con tagli a servizi, casa, salari e welfare, in vista della riconversione militare delle nostre economie.

L’incontro si è quindi posto un obiettivo preciso: delineare l’identità di un nuovo fronte, un’alternativa politica femminile e queer che si distingua dal modello di leadership femminile complice del genocidio in Palestina e responsabile delle politiche di guerra e riarmo in Occidente.

La giornata si è aperta con il dibattito “L’altra metà della storia: le donne contro la guerra e nei processi di liberazione”, a cui hanno partecipato Mjriam Abu Samra, Valeria Finocchiaro, Eva Muci e Donne de Borgata. La seconda sessione ha invece preso la forma di una tavola rotonda dedicata concretamente alla costruzione del fronte delle donne e delle persone queer.

Sono intervenute in questa seconda parte Maya Issa (Movimento Studenti Palestinesi), i Giovani Palestinesi d’Italia, Cinzia Della Porta (USB e FSM), Marisa Manno (Donne per la Palestina), Kriolla Culture, Strasaffica, Differenza Lesbica, Gender X, Tehseen Nisar, Patrizia Cecconi, Le Tre Ghinee, il Movimento per il Diritto all’Abitare, Asia USB, Comitato di Solidarietà per la Palestina del Terzo Municipio, Potere al Popolo.

Ciò che è emerso in modo chiaro dalla giornata è la necessità innanzitutto di recuperare l’eredità – spesso rimossa – delle donne che nella storia hanno lottato prima di noi contro guerre imperialiste e occupazioni. E da qui siamo ripartite per analizzare il presente e tradurlo nelle prossime azioni collettive, tenendo bene a mente le questioni di classe, le logiche coloniali e capitaliste che guidano il sistema in cui viviamo e riconoscendo che la liberazione femminile e di genere non può essere separata da quella economica, sociale, politica e nazionale.

La liberazione femminile e queer è possibile infatti solo con il superamento dello stato di cose presenti e nella costruzione di un’alternativa che veda la fine del dominio coloniale e imperialista e delle dinamiche di oppressione che accomunano la maggioranza della popolazione, dalle periferie, alle province ai paesi del Sud Globale. Ed è possibile solo a partire dal rafforzamento di alleanze transnazionali e della solidarietà internazionalista, dalle lotte locali alle diaspore, contro razzismo, colonialismo e imperialismo.

La storia delle donne nei processi di liberazione offre già numerosi esempi del loro protagonismo e dell’intreccio tra liberazione di genere e lotta politica. In ogni epoca e continente, le donne hanno trasformato persino la propria sopravvivenza in terreno di organizzazione politica e resistenza.

Mai figure marginali, ma protagoniste, custodi della memoria, organizzatrici di comunità, coraggiose combattenti, difensore di territori devastati, promotrici di relazioni e tradizioni capaci di garantire continuità alle lotte anche sotto forme di oppressione estreme. Ogni volta che guerra, occupazione e dominio hanno esercitato la propria violenza, le loro risposte hanno storicamente messo in crisi interi sistemi di potere.

In Palestina, le donne hanno sempre avuto un ruolo centrale nella resistenza anticoloniale, dalla militanza politica e armata all’autorganizzazione comunitaria, contraddicendo la narrazione del femminismo liberale occidentale che le ritrae come “vittime passive” e propone una solidarietà “fra donne” con quelle israeliane, ignorando il ruolo svolto da molte soldatesse nello stesso sistema genocidario, coloniale e violento, anche all’interno delle carceri, contro i palestinesi.

Esperienze analoghe si osservano nella storia delle donne comuniste sovietiche, non pacifiste per una presunta “natura femminile”, ma contrarie alla guerra quando questa è stata imperialista – come nei moti dell’8 marzo 1917 “per il pane e la pace” che accesero la miccia della Rivoluzione di Febbraio – e, al contrario, protagoniste di una “guerra giusta”, come quella contro il nazismo.

Lo stesso vale per le partigiane italiane, che nella Resistenza imbracciarono le armi ma al contempo costruirono reti di intelligence, logistica e sostegno clandestino, trasformando la quotidianità in terreno politico. E ancora, durante la guerra di Corea, quando la mobilitazione femminile in Italia fu talmente rilevante da spingere lo Stato e la Chiesa a sorvegliare per anni donne coinvolte in semplici azioni politiche, segno del potenziale sovversivo delle loro mobilitazioni.

A queste esperienze si affiancano poi altri esempi, rappresentati nell’incontro, come quelli delle donne algerine impegnate attivamente nella lotta anticoloniale, dalle campagne alle città, e delle militanti delle Black Panthers negli USA, che hanno unito la lotta per la liberazione degli afroamericani all’anticolonialismo e all’anticapitalismo, praticando l’autodifesa come pratica politica radicata nei territori, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nelle comunità.

Questi esempi sono a tutti gli effetti strumenti politici concreti per guidare la costruzione di un nuovo fronte oggi. Nessuna di queste donne – palestinesi, algerine, afroamericane – è mai stata una “vittima da salvare”, come vuole la retorica del femminismo liberale occidentale, ma soggetto politico determinato a organizzarsi contro violenza, oppressione e ingiustizia.

Dall’incontro sono emerse poi delle linee di azione concrete per i prossimi mesi. Costruire un fronte femminile e queer contro guerra, riarmo e genocidio è urgente, e il confronto di sabato ha rappresentato un primo passo per creare reti e relazioni e organizzare mobilitazioni che partano innanzitutto dai territori, dalle periferie, dalle province, dalle esperienze di occupazione abitativa, dagli spazi pubblici e da tutti i luoghi dove si realizza una resistenza concreta, capace di unire la lotta contro il genocidio in Palestina, la guerra e le logiche coloniali e imperialiste dell’Occidente alla lotta contro la precarietà economica, la violenza di genere, la mancanza di casa e i tagli ai servizi.

Due sono le prime iniziative proposte operativamente per proseguire questo percorso. La prima è quella di organizzare una raccolta firme contro la leva “volontaria” promossa dal governo, primo passo verso un possibile ritorno della leva obbligatoria: in quanto madri, sorelle, amiche, mogli e compagne dobbiamo rifiutare di dover vedere figli, fratelli, mariti, amici, compagni andare a combattere al fronte nella loro guerra; al contempo, il contesto di guerra “ibrida” e sempre più tecnologica coinvolgerà le donne e persone queer in misura maggiore rispetto al passato, per questo dobbiamo opporci fin da ora. Se a Crosetto e Meloni piace tanto la guerra, ci andassero loro!

La seconda proposta riguarda invece la costruzione di un percorso di mobilitazione, per i prossimi mesi, contro la guerra e il genocidio in Palestina e contro le “signore della guerra” che non ci rappresentano. In questo contesto assume ancora più significato riprendere le origini dell’8 marzo e il grido di “pane e pace” che lo aveva accompagnato: per questo vogliamo costruire una campagna di avvicinamento a quella data che rappresenti l’opposizione delle donne e persone queer alla guerra e al genocidio in Palestina, così come all’aumento delle spese per il riarmo a discapito della spesa per servizi, scuola, sanità e diritto all’abitare.

Per contribuire e partecipare alla campagna dei prossimi mesi contattateci sui profili social di Donne contro guerra e genodicio in Palestina o, per chi è di Roma, Donne de Borgata.

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