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La posta in gioco con l’arresto di Mohammed Hannoun

L’arresto di Mohammed Hannoun e degli altri palestinesi dell’Api e dell’Abspp è una montatura che deve e può essere smantellata. E’ indubbiamente un salto di qualità – atteso e prevedibile – della campagna tesa a disinnescare e depotenziare il vasto movimento di solidarietà che si è sviluppato in Italia con la lotta del popolo palestinese.

Era evidente la grande preoccupazione che avevano sollevato le enormi manifestazioni popolari e i ben due scioperi generali che hanno invocato un gigantesco “basta!” con ogni complicità dell’Italia con il genocidio avviato dalle autorità israeliane contro i palestinesi. Questa diffusa ondata di indignazione verso Israele andava smantellata, con ogni mezzo.

Da almeno tre mesi, sia in Israele che in Italia, le forze genocidiarie e i loro complici si erano messe al lavoro per agire con tutti i mezzi su quell’obiettivo.

I giornali di destra, spesso in combutta con gli apparati politici e mediatici israeliani, da tempo stavano martellando per ottenere questo risultato.

Ma andiamo a vedere le principali contraddizioni di questa indagine avviata dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo con il beneplacito del governo.

a) Molta della documentazione utilizzata in questa ultima indagine proviene dagli apparati israeliani. Le inchieste fin qui effettuate dalla magistratura italiana in questi anni non avevano rilevato dei reati nelle attività di Hannoun e delle associazioni palestinesi.

Il movimento politico Hamas viene considerato come terrorista solo da Usa e Israele. Per l’Unione Europea lo sono infatti solo le Brigate al Qassam, cioè il braccio militare. Le Nazioni Unite, altri organismi internazionali (Corte Internazionale, Corte Penale) o 186 paesi del mondo su 195 non ritengono Hamas una organizzazione terrorista. Raccogliere fondi per le istituzioni pubbliche, ospedaliere o sociali e per le più svariate istituzioni del popolo palestinese a Gaza – anche se gestite da Hamas – va quindi ritenuto del tutto legittimo.

La torsione dell’indagine – e delle pressioni israeliane – era quella di dimostrare che gli aiuti che andavano a istituzioni riconducibili ad Hamas (movimento politico) finissero invece alle Brigate Al Qassam (ritenuto terrorista anche dalla Ue). Una linea sottile, sottilissima dunque.

Una linea che sembra essere stata varcata anche dalla dichiarazione rilasciata dal portavoce europeo di Al Fatah, Jamal Nazzal che di fatto legittima la montatura della magistratura e del governo italiano contro Hanoun e gli altri palestinesi, alimentando il legittimo sospetto che la visita alla festa della Meloni di Abu Mazen sia servita anche per dare il via libera all’operazione.

Essersi piegati alle campagne stampa della destra o alle pressioni israeliane significa che gli inquirenti hanno fatto proprie le valutazioni di entità straniere (Israele) facendole prevalere su quelle proprie.

b) Non è il primo caso. Anche nel processo contro Anaan Yaesh e altri due palestinesi, in corso a L’Aquila, sono state mosse accuse di terrorismo non sulla base di eventuali reati commessi in Italia ma su capi di accusa formulati dagli apparati israeliani per possibili azioni militari nei Territori Palestinesi occupati da Israele.

c) Questi due fattori pongono sul piatto un convitato di pietra: il mancato riconoscimento “politico” della questione palestinese che espone tutti i palestinesi all’accusa di terrorismo anche quando ricorrono al loro legittimo diritto alla resistenza – riconosciuto dall’ONU – contro una occupazione del loro territorio.

In questi anni abbiamo sottolineato spesso l’importanza che la questione palestinese non venisse ridotta a “questione umanitaria” ma venisse data priorità al riconoscimento politico della contraddizione. Non era una impuntatura.

Il fatto che i governi italiani neghino ancora il riconoscimento dello stato palestinese – e si limitino esclusivamente agli aiuti umanitari per “compensare” la loro complicità militare, economica, politica, ideologica con Israele – indubbiamente rende vulnerabili tutti i palestinesi nel nostro paese nell’esercizio delle loro attività di sostegno al popolo palestinese, alle sue organizzazioni, alle sue istituzioni.

d) Se i palestinesi venissero riconosciuti come soggetto politico, le accuse formulate cadrebbero come un castello di carte. Il mancato riconoscimento, in quanto entità non statale, li espone invece all’accusa di “terrorismo” anche quando esercitano il loro diritto alla resistenza in quanto popolo sottoposto all’occupazione israeliana, soprattutto se quest’ultima viene invece legittimata anche nella sua versione genocidiaria.

e) Queste considerazioni di fatto gettano sull’operazione che ha portato all’arresto di Mohammed Hannoun e degli altri palestinesi una luce fosca, un vulnus nella e della storia contemporanea di questo mondo. E’ una moltiplicazione legittimante la complicità con il genocidio di decine di migliaia di palestinesi a Gaza e in Cisgiordania di cui i governi occidentali sono corresponsabili, prima per non aver agito per impedirlo, poi per l’averlo assecondato, infine per essersi accaniti sulle vittime invece che sui carnefici.

Nessuno deve farsi intimidire da queste operazioni, nonostante il pesante clima che il governo e i sionisti stanno cercando di instaurare in un paese che sta rotolando sul piano inclinato della guerra. La “sinistra parlamentare” come al solito balbetta e non dovrebbe farlo. Non è il momento di abbassare la testa. Al contrario. 

La mobilitazione che deve richiedere la liberazione di Hannoun e degli altri palestinesi arrestati in Italia è una mobilitazione che difende infatti gli spazi di libertà nel nostro paese e quelli della giustizia a livello internazionale. Ma difende anche la dignità con cui potremo o meno presentarci alla storia.

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1 Commento


  • giglia bitassi

    nessuno conosce le “prove” pervenute dal governo nethanyau e dal Mossad, né quelle pervenute dagli Usa. Io mi chiedo se in queste “prove” ci sono materiali frutto di torture, questo la nostra magistratura dovrebbe immediatamente appurarlo.

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