Edward Lorenz sosteneva che il battito delle ali di una farfalla in Brasile poteva scatenare un tornado nel Texas. Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è il tentativo, con molte meno suggestioni scientifiche e decisamente forzato, di strumentalizzare una strage di civili di religione ebraica avvenuta all’altro capo del mondo – in Australia per la precisione – per usarlo politicamente nel nostro paese.
L’obiettivo, apertamente o subdolamente dichiarato, è quello di mettere a tacere l’empatia e l’ampio movimento di solidarietà che si è manifestato a sostegno del popolo palestinese e il ripudio del genocidio commesso dagli apparati politici, militari e ideologici dello Stato di Israele a Gaza e in Cisgiordania.
Il tentativo sta andando avanti negli ultimi mesi, soprattutto dopo che grandi manifestazioni popolari nelle strade e alcuni scioperi generali nei luoghi di lavoro e di studio, hanno dato corpo all’indignazione generale cresciuta nella società.
Questo movimento ha suscitato grandi preoccupazioni in Israele, negli apparati sionisti attivi nel nostro ed altri paesi europei, ed anche nel governo di destra italiano che in ripetute occasioni ha dimostrato la propria complicità con Israele.
Possiamo individuare almeno cinque passaggi di questo tentativo di zittire il movimento di solidarietà con la causa palestinese:
1) Gli effetti del Piano Trump per Gaza;
2) Il rilancio del ricatto tramite l’equiparazione tra antisemitismo e antisionismo con diversi disegni di legge sulla materia;
3) La delegittimazione di figure pubbliche che hanno denunciato con efficacia i crimini di guerra israeliani, a partire dalla relatrice dell’Onu Francesca Albanese o Greta Thunberg;
4) Il “fuoco amico” venuto dalla decisione del presidente dell’Anp di andare alla festa di Atreju;
5) L’onda lunga della strage avvenuta sulla spiaggia di Sidney.
Andiamo per ordine.
1) Depotenziare. Avevamo colto insieme a Moni Ovadia il rischio che il Piano Trump e la cessazione delle ostilità a Gaza sarebbero stati utilizzati dalle autorità israeliane, dagli apparati ideologici sionisti e dal governo italiano per disinnescare l’ondata di indignazione e mobilitazione contro il genocidio dei palestinesi.
Il fatto che centinaia di palestinesi siano stati uccisi e feriti durante lo stesso cessate il fuoco, o che le condizioni di sopravvivenza di centinaia di migliaia di persone a Gaza siano ancora oggi minacciate dalla mancanza di aiuti e dall’inverno, non ha inciso nella drastica modifica della narrazione della copertura mediatica sugli orrori sistemici e sistematici avvenuti in questi due anni.
La questione palestinese è tornata ad essere, nella migliore delle ipotesi, un problema umanitario, degno dunque di assai minore attenzione sul piano politico.
Non solo. Nelle indicazioni operative delle offensive dei bot and troll fasciosionisti sui social media diventa frequente il refrain sul fatto che la “Palestina ci ha stancato”, “basta parlare di Gaza” etc. etc. tutte indicazioni che devono dare l’idea della stanchezza, della smobilitazione, del disinteresse verso la questione palestinese.
In compenso il governo ha cominciato a sentire meno la pressione della propria opinione pubblica e lo stesso “campo largo” dell’opposizione – già marginalizzato nelle e dalle grandi mobilitazioni sulla Palestina – ha tirato un sospiro di sollievo non dovendo avere in cima alla propria agenda politica quella che considera “la seccatura palestinese”. Le forze filo-israeliane dentro il centro-sinistra hanno così ripreso subito fiato e rialzato la testa.
2) Punire. C’è stato però un problema: nonostante l’effetto depotenziatore dell’operazione sul Piano Trump per Gaza, la gente scesa in piazza per la Palestina non se ne era tornata a casa ed ha continuato a mobilitarsi non credendo al trucco che aveva davanti.
A quel punto, per intimidire occorre evocare anche la punizione e le sanzioni. Se la destra si è dimostrata allineata e coperta con la politica e i crimini di guerra israeliani, anche pezzi del centro-sinistra hanno sfruttato la contingenza per rientrare in campo. La destra ha presentato il Ddl Gasparri, la “sinistra” il Ddl Delrio, perfettamente complementari tra loro. Entrambi assumono il presupposto che le critiche o l’opposizione ad una ideologia politica suprematista e dominante in Israele – il sionismo – equivalgono a sostenere la discriminazione, il pregiudizio e finanche l’ostilità verso gli ebrei in quanto tali. Dunque le espressioni di antisionismo devono essere sanzionate.
Insomma è come affermare che essere antifascisti significa essere anti-italiani. E’ vero che questo, in fondo, è quello che pensano la Meloni e i suoi sostenitori, ma che questa torsione venga fatta propria da senatori del Pd o dal Presidente Mattarella è una contraddizione bella grossa.
Sia il Ddl Gasparri che quello Delrio – e i loro supporter – si fanno forti del fatto che in altri paesi europei questa criminalizzazione del movimento di solidarietà con la Palestina è già in atto da tempo.
Contestualmente a questa campagna di rilancio del ricatto sull’antisemitismo, ha ripreso vigore l’islamofobia, nella versione in basso – alimentata sia dai sionisti che dai fascisti – nella versione in alto con interventi dei parlamentari della destra e decisioni unilaterali come quella del ministro degli Interni Piantedosi contro l’imam di Torino, fortunatamente smontata dai magistrati.
3) Delegittimare. In queste settimane è diventato perfino sguaiato il killeraggio mediatico, politico ed ora anche istituzionale, contro una figura pubblica come Francesca Albanese la quale, fino a prova contraria, è ancora la Relatrice Speciale dell’Onu per i Territori Palestinesi occupati. Il suo mandato, tra l’altro, è stato rinnovato pochi mesi fa dalla stessa Onu. Allo stesso modo viene killerata una coraggiosa giovane donna come l’attivista Greta Thunberg.
L’efficacia e la profondità delle denunce di Francesca Albanese non solo contro il genocidio ma anche verso le complicità economiche e governative con esso, le hanno attirato una ostilità mai riservata ad una figura pubblica internazionale. Certo anche gli altri relatori speciali dell’Onu sulla Palestina, da Richard Falk in poi, sono stati osteggiati e insultati in ogni modo dagli israeliani.
Anche la popolarità, soprattutto tra i giovani, di Greta Thunberg vorrebbe essere demolita. Appena ha indossato la kefiah tutta l’empatia registrata quando denunciava l’infarto ecologico del pianeta ha cominciato a traballare. Figuriamoci quando è salpata due volte con le flottiglie dirette a rompere il blocco navale a Gaza.
Contro queste due donne, e forse anche per questo, abbiamo sentito toni, parole e azioni insultanti e delegittimanti mai viste prima, in Israele come in Italia.
La commentatrice sionista Fiamma Nirestein, lamenta su Il Giornale che: “le scuole prenotano l’Albanese per insegnare ai ragazzi la balla di un mai esistito Stato palestinese “colonizzato” dagli ebrei! Il passaggio dalla sinistra nella brace proPal, capita un po’ perché i giovani sono vulnerabili, ignoranti”.
Il tentativo piuttosto evidente non è solo quello di complicargli il lavoro e la vita – a quello ci hanno già pensato le inaccettabili sanzioni degli USA – ma è quello di delegittimare in tutti i modi possibili la credibilità e la funzione di una relatrice speciale dell’Onu. Questa operazione non coinvolge solo la destra e i sionisti ma che anche ambiti non irrilevanti del centro-sinistra. Stanno agendo per tenere Francesca Albanese lontana dalle scuole, dalle università e dalle istituzioni locali, cioè quegli organismi che si sono attivati maggiormente per la Palestina di fronte all’inerzia o all’aperta complicità del governo con Israele.
4) Il “fuoco amico”. Più recentemente il tentativo di delegittimare e zittire il movimento popolare di solidarietà con la Palestina da parte del governo, ha potuto avvantaggiarsi anche del “fuoco amico” fornito dalla decisione del presidente dell’ANP, Abu Mazen, di partecipare all’evento politico di Fratelli d’Italia – la festa di Atreju – andando ben oltre il protocollo diplomatico di una visita di Stato. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha gestito l’operazione, ne ha tratto immediatamente vantaggio dichiarando che: “Con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese oggi sul palco di Atreju si fa giustizia di tante falsità che abbiamo sentito sull’operato del governo a Gaza”.
Se addirittura Abu Mazen ha legittimato l’operato di un governo filo-israeliano come quello della Meloni che cosa si può contestare all’esecutivo?
I danni della decisione di Abu Mazen sono diventati subito evidenti e lo saranno ancora. Altrettanto evidente è che la rottura e la distanza tra i movimenti di solidarietà con la Palestina in Italia e l’ANP di Abu Mazen è diventata definitiva.
5) Usare Sidney come una clava. Infine, e non certo per importanza, è arrivata la gestione politica qui in Italia della strage di Sidney, cioè di una realtà all’altro capo del mondo.
I commentatori sionisti e filo-israeliani si sono rapidamente scatenati cercando di massimizzarne il vantaggio politico. Gli attentatori che hanno realizzato la strage di cittadini ebrei erano pakistani e non palestinesi, erano dell’Isis e non di organizzazioni palestinesi, ma la narrazione confonde e sovrappone sistematicamente le due cose, cercando soprattutto di additare le manifestazioni e i sostenitori della solidarietà con la Palestina come i mandanti morali.
Ne possiamo vedere alcuni esempi.
Alla domanda sulla strage di Sidney del quotidiano di destra Il Tempo – Chi è che si dovrebbe fare un esame di coscienza oggi? – il capo della comunità ebraica romana Victor Fadlun risponde paro paro: “Tutti coloro che sono in testa al movimento ProPal. Questo è antisemitismo. Quindi chi lo propugna in questo modo ha la coscienza potenzialmente sporca, è moralmente complice della carneficina di questi miei fratelli, di questi ebrei”.
Emblematico quanto scrive Claudio Velardi, direttore de Il Riformista, un altro giornale sionista da mazzetta mattutina: “A Sydney tutti i ragionamenti astratti, gli arzigogoli giustificazionisti, i perversi distinguo tra antisionismo e antisemitismo – quella foglia di fico dietro cui si nasconde la viltà morale dell’intellighenzia occidentale – sono morti. E sono morti per sempre i convegni, i talk show e gli editoriali in cui si spiega, con il ditino alzato, che “criticare Israele è un diritto democratico e nulla ha a che fare con l’odio per gli ebrei”. In teoria, in un mondo ideale, sarebbe così. Nella realtà del 2025, questa è una menzogna che ha le gambe corte e le mani sporche di sangue (…) Siamo in guerra. E in guerra la zona grigia non esiste. Ogni equidistanza è complicità”.
Non arretrare di un millimetro
Dovremo dunque fare i conti nella prossima fase con un combinato disposto di ritorno al silenzio/manipolazione mediatica sul genocidio dei palestinesi – un ritorno a quel “politicidio” che lo ha preceduto e preparato nei decenni precedenti – e ad una offensiva politica e mediatica contro il movimento di solidarietà con la causa della Palestina, incluse alcune misure repressive dell’agibilità di piazza e liberticide contro la libertà di espressione.
Occorre anche in questa occasione scegliere di non arretrare di un millimetro, di tenere in piedi tutte le iniziative in corso di denuncia, informazione e boicottaggio e ridefinire una tabella di marcia delle mobilitazioni che tenga però conto di una fase diversa da quella precedente. Se è vero che “volevamo liberare la Palestina ma la è la Palestina che ha liberato noi”, va mantenuta stretta la connessione con coloro che si sono mobilitati generosamente in questi mesi ma anche la connessione tra quanto avviene sul terreno e nel campo palestinese e le iniziative che possiamo e dobbiamo sviluppare nel nostro paese.
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Anna M.
Non ci sono parole per definire Abu Mazen, infame traditore del suo paese. Quanto alla comunità ebraica italiana, se non sbaglio, avevo letto tempo fa che Moni Ovadia diceva che è una delle peggiori. Il colmo, stare coi fascisti eredi dei loro persecutori