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Elettrosmog. Ti uccido ma lo nego, intanto fatti l’assicurazione

Esiste l’elettrosmog? E’ un pericolo reale? Beh… dipende. Dipende da quanto profitto nasce dal negarne l’esistenza, e da quanto profitto si determina dall’affermarla. Come è possibile? Eppure è quello che succede, nel surreale mondo neoliberista e turbocapitalista in cui abbiamo la sventura di vivere.

Partiamo dall’inizio: dall’elettrosmog, il particolare tipo di inquinamento che viene prodotto dai campi elettromagnetici in bassa frequenza (generati, ad esempio, dagli elettrodotti) ed in alta frequenza (parliamo di antenne, radar, telefonia cellulare, wi-fi).

Il dibattito sulla pericolosità per l’uomo di queste emissioni è in corso almeno da un paio di decenni, se non di più. Il tema si è posto con sempre maggiore forza e diffusione tra la popolazione, in particolare dal momento in cui il telefono cellulare è diventato oggetto di uso comune.

L’immensa e rapida diffusione di questa tecnologia a livello globale ha determinato da un lato l’esigenza di approfondire gli effetti dell’aumento esponenziale di esposizione a campi elettromagnetici artificiali, dall’altro ha creato infinite ed enormi possibilità di realizzare profitti.

Di certo, la diffusione dei telefoni cellulari, e di conseguenza di ripetitori ed antenne, ha destato l’attenzione di porzioni sempre più ampie di popolazione, che hanno iniziato a fare pressione sulle istituizioni per conoscere gli effetti di questa “sovraesposizione” ai campi elettromagnetici e a chiedere anche una regolamentazione rispetto alla possibilità di installare qualsiasi cosa ovunque.

L’Italia si è dotata, alla fine degli anni ’90, di una buona legislazione a livello di prevenzione e cautela che però, oltre a non essere stata del tutto attuata, ha recentemente subito un ridimensionamento: durante il governo Monti, attraverso alcune norme contenute in uno dei vari decreti che dovevano salvare o far crescere l’Italia e che invece l’hanno affossata sempre più.

Il dibattito sull’esistenza o meno dell’ “elettrosmog” è fortemente acceso anche, come è ovvio, all’interno della comunità scientifica, che sul tema è di fatto spaccata in due: da una parte chi sostiene che l’esposizione ai campi elettromagnetici non è poi così pericolosa, dall’altra chi sostiene il contrario, ed invoca interventi decisi dal punto di vista legislativo e delle scelte di governo.

Questo intenso dibattito ha portato alla pubblicazione di numerosi studi, alcuni dei quali molto approfonditi, e molto discussi: citiamo ad esempio Interphone, uno studio promosso dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) con l’obiettivo di valutare la relazione tra uso del telefono cellulare e rischio di tumori cerebrali e di alcune altre neoplasie. I risultati, pubblicati qualche anno fa, descrivevano una situazione tutto sommato rassicurante per la popolazione, almeno in un primo momento: ad una analisi un po’ più approfondita sono però emersi diversi dubbi relativi ad alcuni passaggi metodologici e sopratutto alla natura dei finanziamenti di questo studio, provenienti in parte da multinazionali ed aziende di telecomunicazione.

Parlando di inquinamento elettromagnetico la questione del “conflitto di interessi” è sempre stato assolutamente centrale: il mercato delle telecomunicazioni è uno dei più redditizi al mondo, e le pressioni che vengono esercitate a tutti i livelli sono spaventose.

Curiosamente è proprio dal mondo del “mercato” che, in controtendenza rispetto alla comunità scientifica, arrivano le certezze più nette.

L’elettrosmog non esiste, o se esiste, è un problema poco rilevante e comunque assolutamente gestito in modo cautelativo: questa è, in sintesi, la posizione di molti dei protagonisti del mercato delle telecomunicazioni, ed in particolare della telefonia mobile. Questa posizione viene spesso rafforzata dal parere di scienziati e medici, magari nel corso di convegni e meeting finanziati proprio da multinazionali ed aziende di TLC. Alcuni di questi scienziati, però, sono poi risultati essere quantomeno “in odore” di conflitto di interessi… E’ successo a livello europeo, con il caso dello scenziato svedese Anders Albhom, la cui storia è caratterizzata da un curioso “doppio ruolo”: da un lato, impegnato come ricercatore nello studio sulla pericolosità dei campi elettromagnetici, dall’altro legato ad una società di consulenza sulle telecomunicazioni di proprietà del fratello. Anche in Italia abbiamo i nostri esempi di questo fenomeno: uno dei nomi più illustri è quello del professor Veronesi, che da ex Ministro della Salute non si fece alcun tipo di problema ad impegnarsi come perito di parte nel processo contro Radio Vaticana per inquinemanto elettromagnetico. La parte a cui prestò la sua consulenza è quella di Radio Vaticana, ovviamente.

L’elettrosmog non esiste, quindi: perchè se esistesse non sarebbe possibile installare tutte quelle antenne sui tetti delle città, in prossimità di asili, ospedali, abitazioni… Se esistesse l’elettrosmog bisognerebbe avvertire gli acquirenti dei telefoni cellulari che bisognerebbe utilizzare sempre l’auricolare, e che il tempo di utilizzo del telefono dovrebbe essere minimizzato. Se esistesse l’elettrosmog bisognerebbe rivedere tutta la politica di utilizzo e diffusione della connessione a banda larga: il wi-fi diventerebbe pericoloso, considerato che comporta una esposizione h24, per cui sarebbe necessario spendere ed investire in prevenzione. Se esistesse l’elettrosmog non sarebbe possibile costruire radar ed infrastrutture ad uso militare e civile, utili sia come elementi strategici sia come remunerativi appalti.

Insomma, per chi lavora nell’ambito delle telecomunicazioni con l’obbiettivo di fare profitto, l’elettrosmog non solo non esiste, ma non può esistere.

Questo naturalmente vale fino a quando non si va a mettere in pericolo l’esistenza di un altrro tipo di profitto, che nel caso specifico è quello delle compagnie di assicurazione.

Facendo attenzione alle clausole proposte all’interno delle polizze assicurative, sempre più spesso è possibile incappare nella dicitura “campi elettromagnetici”, o “inquinamento elettromagnetico”, in riferimento, solitamente, alle cause di esclusione dal risarcimento. E’ possibile rendersi conto di persona di quanto raccontiamo, facendo una semplice ricerca su internet.

In pratica, alcune assicurazioni non risarciscono in presenza di danni causati dall’esposizione a campi elettromagnetici.

Ma come… allora l’elettrosmog esiste! Perchè se alcune compagnie di assicurazione ritengono necessario inserire questa clausola, significa che a monte è stata fatta una valutazione di tipo economico, che ha portato alla decisione di ritenere l’inquinamento elettromagnetico un rischio da “disinnescare”. Insomma, non è un elemento accessorio e “folcloristico” inserito “tanto per stare sicuri”: è piuttosto una scelta precisa, che nasce da una serie di fattori. La conoscenza di dati ed elementi probabilmente ignorati dalla maggior parte della popolazione è sicuramente il primo; poi certamente è intervenuta la consapevolezza dell’attenzione sempre più alta per la questione-elettrosmog che si registra nella comunità scientifica, nelle istituzioni e nella magistratura (da malpensanti quali siamo, riteniamo che sia quest’ultimo tipo di attenzione, a preoccuoare più delle altre).

Per cui, torniamo alla domanda con cui abbiamo aperto: esiste l’elettrosmog? La risposta più corretta, alla fine di questa riflessione, è sempre quella: DIPENDE. E la variabile non è il livello di consapevolezza scientifica, e nemmeno, che so, il fattore ambientale. E’ il profitto, legato all’affermazione o alla negazione del concetto.

Ed ecco l’illuminazione: forse siamo di fronte alla scoperta di una nuova categoria filosofoca! Il RELATIVISMO CAPITALISTICO, una visione del mondo assolutamente priva di altri punti di riferimento che non siano profitto, guadagno e speculazione.

* giornalista di Radio Città Aperta, autore insieme a Pablo Castellani di: “Onde anomale. Le verità nascoste sull’elettrosmog” e di “Bomba atomica. Inchiesta su Radio Vaticana”

 

 

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